A che gioco giochiamo?

A CHE GIOCO GIOCHIAMO
Eric Berne


Il libro di Berne “A che gioco giochiamo” è del 1964. Dopo di questo Berne ha scritto
altri testi in cui riprende e approfondisce il tema dei “giochi psicologici” come ad
esempio in “Ciao!…. e poi?”.
La comprensione di questo tema prevede la conoscenza degli elementi di base della
teoria e del metodo che va sotto il nome di Analisi Transazionale.
Questo nuovo tipo di analisi terapeutica, fu elaborata da Eric Berne durante gli anni
Cinquanta a S. Francisco negli Usa. Essa risente delle conoscenze psicoanalitiche che
hanno costituito la formazione dell’autore prima presso l’Istituto Psicoanalitico di New
York con Paul Federn, poi presso l’Istituto Psicoanalitico di S. Francisco con Eric Erikson.
Accanto a questa influenza, nel costruire la sua teoria, Berne sviluppa un sistema
basato sull’osservazione dell’esperienza e in particolare dell’esperienza intersoggettiva
con un’attenzione specifica ai comportamenti comunicativi (transazioni) e a quel
piano di vita (il copione) che la persona costruisce nell’interazione dinamica con il
proprio ambiente.
Berne, quindi “pensa”, “costruisce” la sua teoria come un ampliamento in termini
fenomenologici e interpersonali della psicoanalisi da cui è partito.
La teoria generale di Berne prevede:
1. lo studio degli stadi dell’io,
2. l’analisi del copione psicologico
3. l’analisi transazionale propriamente detta
4. l’analisi dei “giochi psicologici”
I primi due punti riguardano il funzionamento intrapsichico dell’A.T.; gli ultimi due
l’aspetto propriamente interpersonale.
1. La personalità umana può essere compresa come il funzionamento di tre istanze
psichiche o Stati dell’io, rispettivamente Bambino (B), Genitore (G) Adulto(A). Ogni
stato dell’io può essere definito fenomenologicamente come un sistema coerente di
sentimenti, ed operativamente come un insieme di tipi di comportameno coerenti.
In altre parole ciascun stato dell’io è un modo di pensare-sentire-comportarsi.
Il Bambino ha origine dalle esperienze infantili significative del bambino fino agli 8-10
anni. Tali esperienze rimangono sedimentate nella psiche per riemergere più tardi nel
corso della vita in condizioni adatte.
Il Genitore è lo stato dell’io che abbiamo introiettato attraverso le relazioni che
abbiamo stabilito con figure genitoriali significative.

Date voi stesso da mangiare

Date voi stesso da mangiare





Da cosa abbiamo fame?
Quale cibo sfama il cuore dell’uomo?
Come possiamo saziare tutte le fame che abbiamo?
Orizzonte più pallido e indistinto: senza inizio e senza tramonto.
              

Dare da mangiare è un gesto nobile
Un grande atto di amore: di generosità e di donazione
Alleanza di comunicazione, ospitalità e accoglienza
Illusione del nostro deserto: Abbraccio di speranza e di comunione.


Ho fame di te: fame di vita, di sogni, di gioia e di futuro
Tutto è possibile a un cuore che crede nella forza dell’amore
Il mio cuore è insoddisfatto: ho tanto bisogni e tante necessità
Chi o cosa potrà mai colmare questi desideri e palpitazioni che porto dentro?


Come mai queste sensazioni di non possedere nulla?
Perché questa ricerca sfrenata di senso, di ragione e di significato?
La povertà e la miseria sono i miei padroni.
Quando e come sarò saziati da queste innumerevoli esigenze esistenziali?


Dopo la notte un altro giorno e sempre così
Persone, momenti, situazioni e poi tutti si svaniscono
Ritorno a me: il vuoto, le reticenze, le lacrime, i dubbi
Come dare da mangiare se io patisco di tante fame?


Occhi di avventura, cuore di pellegrino e sogni di bambini
Nell’attesa di un miracolo per me per l’umanità affamata
Magari potessimo dividere e condividere i nostri pani
Chissà ci fossi uno per moltiplicare il pane e placare la sete di infinito.


P. Jorge Ribeiro

31 maggio ’13

VOGLIO LIBERARMI

Voglio liberarmi




Voglio liberarmi
Voglio liberarmi di te
Voglio liberarmi di te che mi fa male
Voglio liberarmi di te che mi fa male smisuratamente!


Voglio liberarmi
Voglio liberarmi di tutto
Voglio liberarmi di tutto che mi prende
Voglio liberarmi di tutto che mi prende in questo mondo!


Voglio liberarmi
Voglio liberarmi del peso
Voglio liberarmi del peso della fatica
Voglio liberarmi del peso della fatica quotidiana!


Voglio liberarmi
Voglio liberarmi del passato
Voglio liberarmi del passato e del futuro
Voglio liberarmi del passato e del futuro e vivere il presente!


Voglio liberarmi
Voglio liberarmi di me
Voglio liberarmi di me e dei miei sogni
Voglio liberarmi di me e dei miei sogni e delle sue conseguenze!


Voglio liberarmi
Voglio liberarmi delle possibilità
Voglio liberarmi delle possibilità e delle paure
Voglio liberarmi delle possibilità e delle paure di liberarmi!



Jorge Ribeiro

Le frontiere culturali del cibo

Le frontiere culturali del cibo



 Secondo molti antropologi attraverso il cibo, la cucina rappresenta un modo per porre in relazione diversi piani di analisi, da quello ecologico a quello tecnico, da quello sociale a quello simbolico. I gusti alimentari rappresentano quindi un effetto del contesto socio-culturale di appartenenza, per cui gusto e disgusto non dipendono dalla natura ma sono spesso determinati dalla cultura e quindi dalle abitudini. Come ha sostenuto Fishler “La variabilità delle scelte alimentari umane procede forse in gran parte dalla variabilità dei sistemi culturali: se non mangiamo tutto quello che è biologicamente commestibile, è perché non tutto ciò che si può biologicamente mangiare è culturalmente commestibile.” 
Come ha osservato Mary Douglas, il cibo oltre ad essere un elemento di sostentamento del corpo, è anche un importante medium, in quanto rappresenta un mezzo di comunicazione, attraverso il quale l’individuo esprime se stesso e allo stesso tempo si differenzia dagli altri, ovvero da coloro i quali non hanno le stesse abitudini alimentari. Il cibo può rappresentare una “frontiera culturale simbolica”, così come si può osservare con i tabù alimentari. Ma allo stesso tempo il cibo segna dei confini ben precisi anche all’interno di una stessa società, come ha dimostrato Bourdieu quando ha descritto i sistemi alimentari delle classi popolari e di quelle borghesi. 
L’atto stesso del cucinare ci fa riflettere su alcuni elementi. Come ha detto Fishler, la cottura rappresenta simbolicamente una sottomissione della natura alla cultura, in quanto una volta preparato il cibo perde la sua naturalità e assume significati e sapori diversi a seconda della cultura. Come scrive Fishler “Ogni cultura possiede una cucina specifica che implica delle classificazioni, delle tassonomie particolari e un complesso di regole fondato non solo sulla preparazione e sulla combinazione degli alimenti ma anche sulla loro raccolta e sul loro consumo. Possiede anche dei significati, che sono strettamente dipendenti dal modo in cui le regole culinarie vengono applicate. Per riprendere l’analogia con il linguaggio, si può dire che, come gli errori di grammatica possono danneggiare o annullare il significato, gli errori di «grammatica culinaria» possono determinare delle improprietà inquietanti per chi mangia.” 
L’alimentazione fa parte di quelle pratiche del sé che ci aiutano a tracciare delle barriere simboliche fra noi e l’Altro ed in questo modo ci aiutano a capire meglio i significati del sé. Così, come ci hanno mostrato le diverse civiltà di cui ci siamo occupati, da quella greca a quella italiana o francese o cinese, la condivisione dello stesso cibo introduce le persone nella stessa comunità e le rende membri di un’unica cultura. Il cibo così come crea delle appartenenze, allo stesso modo sottolinea le differenze e serve a separare “noi” dagli “altri”. “Attualmente l’alimentazione è uno dei display più importanti per delimitare barriere ideologiche, etniche, politiche, sociali, o al contrario uno dei mezzi più utilizzati per conoscere le culture “altre”, per mescolare le civiltà, per tentare la via dell’interculturalismo; il cibo è anche un meccanismo rivelatore dell’identità etnica, culturale, sociale. [Scholliers, 2001]” 
Quindi con questa tesi ho cercato di delimitare i confini simbolici rappresentati dal cibo inteso come artefatto culturale anziché frutto della natura. Mi sono servita di alcune categorie come popolo, nazione, etnia, casta e classe per perimetrare i confini di appartenenze consolidate attraverso le abitudini culinarie. Sono partita dalla costruzione gastronomica dell’identità nazionale attraverso alcuni momenti chiave della storia italiana, come le Corti Cinquecentesche e l’Unità d’Italia, per poi passare successivamente all’analisi dei tabù alimentari come artifici simbolici per legittimare appartenenze comunitarie. Ma anche segnare insormontabili frontiere fra caste e classi facendo leva su idiosincrasie del gusto e dei regimi alimentari oltreché del costume, soffermandomi sulla grammatica culinaria come sistema culturale 

IO E LE MIE CIRCOSTANZE

ORTEGA Y GASSET 

"Vivere significa, fin dall'inizio, essere costretti ad interpretare la nostra vita " ("Aurora della ragione storica")



L' INDIVIDUO, LA CIRCUM-STANTIA E IL MONDO

Nelle "Meditazioni sul Chisciotte", Ortega scrive una frase che ben circoscrive la sua concezione dell'uomo: " io sono io e la mia circostanza ". Per "circostanza ", Ortega non vuole indicare soltanto l'ambiente fisico in cui ogni essere umano vive, ma anche l'ambiente sociale. La "circostanza" orteghiana è la base che si impone ad ogni uomo già a partire dalla sua nascita: è il luogo, il tempo, la società: " circostanza! Circum-stantia! Le cose mute che stanno nei nostri più prossimi dintorni! ". Con questo insieme di poliedriche concretezze, con questo orizzonte al cui centro è il singolo, l'uomo deve costantemente rapportarsi. Si giunge ad una prospettiva che non è mai decisa una volta per tutte, anzi, la prospettiva adottata va di volta in volta messa tra parentesi. L' Io deve continuamente impegnarsi in questo rapporto gnoseologico-etico con il suo circostante e operare uno sguardo di se stesso proiettato all'esterno per non arenarsi in una visione soggettiva e unilaterale delle decisioni prese, seguendo la propria personalissima vocazione. La visione orteghiana della circostanza quale cifra del vitale soggettivismo, non è da confondere con un esasperato individualismo. Anzi, si crea un legame, un ponte di connessione estremamente inscindibile tra il mio mondo e il mondo. Si è all'interno di uno scambio alchemico tra ambiente ed essere. Non vi è in Ortega un essere ontologico astratto, certo, perché la metafisica sistematica, come lo spirito spagnolo vuole, non è accettata dal filosofo del razio-vitalismo. Per essere si intende l'essere concreto, proprio come l'amico filosofo Unamuno, che parlava di " uomo in carne ed ossa ", o della sua allieva Maria Zambrano, che ebbe la fortuna di assistere alle lezioni di Ortega, docente di metafisica all'Università di Madrid. E' essenziale mettersi in relazione problematica ed autentica con la propria "circostanza", perché questo rapporto elastico, mai rigido, permette all'uomo di trovare il senso della vita, della propria vita, trovando la propria vocazione e permettendogli di attuarla. Così spiega Josè Ortega: " il senso della vita consiste nell'accettare ciascuno la propria inesorabile circostanza e, nell'accettarla, convertirla nella propria vocazione ". Riassumendo questi passaggi essenziali: Ortega presenta l'essere reale che deve essere legato all'osservazione delle cose concrete e non astratte e universali: la loro immediatezza non costituisce la totalità, così come la circostanza individuale non è un mondo chiuso, ma una parte dell'universo. L'uomo singolo esamina parti dell'universo, costituito dalla sua circum-stantia in cui egli stesso è incluso, e ha un'idea astratta del totale. Le parti e il totale hanno bisogno l'uno dell'altra al fine di un'autentica comprensione: come non è ammissibile una scelta estrema tra i due poli, così è imprescindibile un vitale e prospettico dialogo tra il limitato conosciuto e l'illimitato sconosciuto. Per conosciuto e sconosciuto, si intende una conoscenza fenomenologica. La verità è pertanto la verità di singole parti della realtà, del circum-stante di cui ho avuto percezione sensoriale: l'ho visto, l'ho toccato. Io ne ho fatto esperienza hic et nunc . La verità assoluta è riscontrabile, quindi, nell'immediatezza di una personale percezione, nasce dall'incontro tra il punto di vista soggettivo e corporale con l'oggetto osservato, scoperto, esperito. Per fare un semplice esempio: se dico che qui c'è un cane, nessuno può dubitare che ci sia, nemmeno Dio, ma questo è vero qui e ora, non in un altro luogo e in un altro momento. La verità ha quindi sempre un valore prospettico: ciò che ho visto in quel ben determinato momento è esattamente ciò che ho visto e non è detto che, ad uno sguardo successivo, non scopra un aspetto prima magari celato o da me ignorato. Allo stesso modo non è detto che la mia personale scoperta successiva non implichi una verità opposta alla precedente. Quando osservo un oggetto non ho mai una visione tridimensionale, ma bidimensionale. Per vedere ciò che sta dietro o di lato, devo cambiare prospettiva e allora scopro qualcosa che precedentemente non avevo visto perché non potevo vederlo. Quindi: il punto di vista mi offre una verità, sì, ma mai globale bensì prospettica. Si potrebbe fraintendere Ortega e attribuirgli un certo dualismo tra soggetto/oggetto. In realtà, per quanto finora si sia fatta menzione di soggetto conoscente e oggetto conosciuto, era solo a fini esemplaristici. Non dimentichiamo la frase iniziale con cui si è aperto il paragrafo: " io sono io e la mia circostanza " e la spiegazione successiva con cui si indicava il legame di continuità ( continuum ) tra i due termini. C'è un soggetto, l' "io", e c'è un oggetto, che è la circum-stantia, ossia una realtà che è composta dal concreto sociale, temporale, esperenziale del singolo. "Io" e "circostanza" non sono due insiemi separati e nemmeno la contiguità sarebbe un termine adatto: perché "io" e "circostanza" non si toccano soltanto, bensì si integrano e uno dà senso all'altro, si situano sul medesimo piano del reale: " questo settore della realtà circostante costituisce l'altra metà della mia persona: solo con il suo tramite posso integrarmi ed essere pienamente me stesso io sono io e la mia circostanza, e se non salvo lei non salvo neppure me ". Quali sono le implicazioni nell'ambito della vita del singolo, dell'uomo? Vivere hic et nunc , essere operanti, presenti, adattarsi all'ambiente e adattare l'ambiente a noi stessi, scoprire ed attuare la propria vocazione. Vita non è mera biologia, ma anche biografia e soprattutto una particolare autobiografia che si scrive in tempo reale: si è più volte accennato alla "vocazione" del singolo e alla necessità di scoprirla ed attuarla. Questo implica un ulteriore passaggio: " l'uomo è l'essere condannato a tradurre la necessità in libertà ". Analizziamo innanzitutto il concetto orteghiano di libertà: alla sua base c'è la fantasia. E' questo il tramite per cui l' "io" inventa la propria esistenza. Si tratta di una forza che rende l'uomo essere progettante, che senza tregua confronta i progetti elaborati nel mondo interiore del soggetto con la situazione del mondo esterno. Si esercita la libertà per " decidere ciò che dobbiamo essere in questo mondo ": "dobbiamo", scrive Ortega. Quindi esercitare la libertà individuale, fantasticare e attuare il proprio personale progetto seguendo la propria vocazione è una necessità . E' necessario esercitare la libertà e autoprogettarsi. La vita è necessariamente anche immaginazione, fantasia che guida la ragione nella scoperta di nuovi orizzonti, dando corpo a concetti inediti per la formulazione di nuove idee. Cosa che la ragione, per sua costituzione, non potrebbe fare da sola.. Chi è quindi l'uomo? Niente di estremo, né angelo né bestia (corre il ricordo all' Oratio de hominis dignitate di Pico della Mirandola e al discorso di Dio ad Adamo al momento della creazione) ma un essere finito e limitato dalla propria circostanza, da un punto di vista prospettico del mondo e da ciò che la realtà concreta gli offre, un essere concreto che deve cercare di corrispondere alla sua vocazione, migliorando se stesso e il circostante. L'uomo quindi agisce e trasforma non solo il suo "io", ma anche la realtà fisica e quella sociale. In tal caso è utile soffermarsi sul concetto di generazione . Ortega ne individua ben tre, ognuna con una propria peculiarità.
  • La generazione cumulativa è la generazione all'interno della quale ogni individuo appartiene, un insieme di persone che condividono, nella stessa categoria spazio-temporale, il medesimo retroscena fatto di problemi, emergenze, difficoltà, speranze.
  • La generazione polemica è invece formata da quell'insieme di uomini che si oppongono al lascito di chi li ha preceduti, anche se spesso è una rottura più apparente ed ideologica che reale, perché i mutamenti collettivi hanno in genere vita breve.
  • Tuttavia la generazione polemica può divenire decisiva e apportare vere e proprie rivoluzioni che concretizzano una nuova configurazione alla collettività. All'interno della generazione (cumulativa), questi individui sono sempre minoranze scelte dotate di fantasia e coraggio. La storia quindi si muove, si sviluppa, si trasforma. E' uno sviluppo comprensibile a partire dall'azione creatrice di individui intraprendenti, che hanno corrisposto alla propria vocazione. 
  • Il vuoto dentro di te

    Co'è questo vuoto dentro?


    Raffaele Morelli scrive:
    "Buon giorno a tutti. Continuiamo a guardarci dentro? Guardare dentro in modo ?nitido-; nitido vuol dire che non devo aggiungere nulla. Sentite cosa mi scrive Loredana: «Sto cominciando a stare in compagnia di me stessa». Non ci deve essere lo sforzo di stare in compagnia di te stessa, devi soltanto accorgerti delle cose che vengono a trovarti dentro di te, qua e là, quando te ne accorgi durante la giornata. Dice ancora Loredana: «Sto cominciando a stare in compagnia di me stessa sentendo e accogliendo tutto ciò che mi abita, ora lascio venire fuori nel mondo quella che sono». Bisogna togliersi dalla testa l?idea che devo diventare più libero, che accogliendo i miei disagi diventerò una persona magari più aggressiva, più forte? No, quello che intendo io per ?guardarsi dentro- è guardare cosa capita nel momento in cui sto guardando, senza un progetto. «Gli attacchi di panico più o meno intensi li ho da tre anni». Gli attacchi di panico durano tanto perché noi andiamo nella direzione opposta, non accogliendoli creiamo due personalità: una che pensa, che ragiona, che si struttura nella vita, lontana dall?energia vitale. Gli attacchi di panico sono tutta l?energia vitale che prorompe, allora, dobbiamo cambiare il modo che abbiamo di stare con noi stessi. Dice Loredana: « La sera è il momento peggiore?» Perché la sera è il momento peggiore? Perché arriva il buio. Il buio è un?energia preziosa perché, cosa fa? Il buio ?annulla- . Annulla soprattutto il tuo peggior nemico. Qual è il tuo peggior nemico? Quello che credi di essere, quello che vuoi essere. La nostra anima non ha bisogno del nostro parere. Come le piante germogliano, dentro di noi c?è una forza ?germogliante?, solo che noi ci siamo fatti un?idea di noi. È questa idea di noi il nostro peggior nemico, allora il buio viene per sgominarla, come se dicesse: « Dai, per favore dormi! Spegniamo la luce, sono stufa di sentirti dire che cosa credi di essere. Lascia fare a me!» L?anima vuole -fare lei-. L?anima, che è quell?immagine di noi unica e irripetibile, è un essere molto speciale, molto particolare, l?anima  è come una donna. Come sono le donne? Le donne sono ?un po? si e un po? no?. Quando un uomo è geloso è geloso per davvero, va fino in fondo, è disposto a tutto. Una donna no, una donna un po? è gelosa e un po? ironizza. L?anima come le donne adora il cambiamento, adora le sorprese, detesta la routine, è esattamente l?opposto degli uomini. L?anima non sopporta assolutamente, (come anche le donne non sopportano), le certezze assolute; sono sempre pronte alla novità, eppure sono tradizionali. Quanto l?anima adora le tradizioni! Nella nostra cultura si è spenta questa idea, tutto è diventato un -tutto uguale-, c?è un senso di inutilità. Se volete capire l?anima guardate i bambini quando ci sono le feste: la Pasqua, il Natale, la primavera che sorge, il tramonto.
    L?anima è naturale, come le mestruazioni che tornano ogni mese e quando non serviranno più si spegneranno, come avviene nella menopausa. Questa è l?anima: ha leggi differenti da quelle che pensiamo. L?anima non ha certezze, non ha nessuna certezza, come le donne. Le donne sono pronte a tutte le novità, però sono molto tradizionali: la biancheria, la pulizia, tutto deve ?tornare?. Quando ci allontaniamo dai codici femminili dell?anima ci ammaliamo: ecco l?attacco di panico. Il panico è tutta la vita che soffochiamo e che non viviamo. A costo di soffocarci l?anima irrompe con l?attacco di panico. «La sera era il momento peggiore » dice Loredana, «Il pensiero mi dominava dalla mattina alla sera. Ora sento ciò che accade dentro di me. A volte chiudendo gli occhi c?è il vuoto». Ecco, quando c?è il vuoto significa che tu stai facendo con te stessa un lavoro molto importante: stai ?svuotando?, come se dicessi: il Raffaele che conosco non conta più nulla, conta questo vuoto. Vuoto! Un?energia, quella del vuoto, che il pensiero cinese diceva essere il ?latte dell?anima?. Noi stiamo bene quando siamo vuoti, non quando siamo pieni di pensieri, dobbiamo impararlo, i pensieri ci fanno ammalare. Sentite cosa ci dice Loredana: «Chiudendo gli occhi c?è il vuoto e mi sembra di non esistere, poi aspetto, sto calma, cerco di non scappare dal vuoto ed ecco che arriva un?emozione, un desiderio, un profumo». Quante cose contiene il vuoto? Quante cose nasconde il panico? Avrebbe mai detto Loredana, che guardando qualche blog e affidandosi al vuoto il panico si sarebbe allontanato e si sarebbe trasformato in un profumo, in un desiderio e io aggiungerei in un?immagine? Che immagine di donna nasconde il tuo attacco di panico? Magari una cavallerizza, magari una pittrice, magari una danzatrice del ventre. Se vogliamo aiutare l?anima a essere se stessa dobbiamo trasformare le malattie in immagini. «È stata dura arrivare a sentirmi e il buio ancora un po? mi spaventa». Ecco, è bello poter dire: il buio ancora un po? mi spaventa, è bello essere spaventati! Significa che in qualche modo siamo in un territorio dove non ci sono le paludi, dove potremmo anche precipitare ma qualcosa sta cambiando, perché non c?è più quella spaccatura tra me che ragiono, che penso e che vado in giro e tra il mio femminile che invece vuole sorprese, immagini e fantasie. «Voglio fidarmi di me stessa», non c?è da fidarsi di sé stessi, c?è da abbandonarsi a ciò che capita. ?Voglio fidarmi di me stesso è un progetto-, accogliere l?ansia quando arriva invece non è un progetto ma un elemento pratico, veramente pratico, ecco, questo dobbiamo imparare, guardarsi dentro è questo. Quanto vuoto c?è stato nella mia giornata oggi? A cena con Roberto o con Francesca ho sentito vuoto? Cercare il vuoto significa non avere identità o meglio non avere quell?identità conosciuta. Smetterla di essere quello che credi e quando smetti di essere quello che credi sei nella casa dell?anima. Buona giornata a tutti".

    La paura dell'altro: nuovo barbarismo?

    La paura dell'altro

    La paura dell'altro

    La paura dell'altro accompagna la storia dagli uomini sin dalle sue origini, nonché lo sviluppo del singolo individuo. Il bambino prende coscienza della propria identità soltanto quando incomincia a rendersi conto che c'è un interno ed un esterno, l'io e il non io.
    Le persone che lo circondano, i suoi genitori, la sua famiglia, il suo ambiente, gli fungono inizialmente da specchio, ma anche da avversari, che gli permettono di riconoscersi, quindi di percepirsi, come unico e diverso. Solo intorno agli otto mesi sviluppa una reazione di paura nei confronti delle persone estranee. L'estraneità viene identificata come segnale di pericolo, di conseguenza l'attaccamento nei confronti della madre si rafforza: questo tipo di reazione era indispensabile alla sopravvivenza della specie.

    L'ansia è insita nell'uomo e lo accompagna dalla nascita alla morte. È un segnale d'allarme che lo avverte di un pericolo o di una minaccia, che permette al corpo e alla mente, di attivare le difese necessarie e si può manifestare anche senza cause apparenti. La paura del buio permette al bambino di combattere più efficacemente l'angoscia d'abbandono. Le piccole ossessioni e compulsioni dell'adolescente gli permettono di gestire meglio le sue prime emozioni sessuali. La xenofobia (dal greco xenophobia, ossia "paura del diverso"), non sfugge a questa logica. La paura dello straniero, come reazione individuale o collettiva, rappresenta certamente una risposta incosciente a tutta una serie di ansie primitive.
    I meccanismi psicologici che si trovano alla base di questa fobia, secondo la teoria evoluzionistica di Haldane sono:

    La forte identificazione col proprio gruppo; le persone sviluppano velocemente un'identità di gruppo sulla base di indizi minimi, che hanno la funzione di identificazione. Gli individui si aggrappano a ogni tipo di indizio suscettibile di distinguere quelli che fanno parte del proprio gruppo, da quelli che non ne fanno parte. Di conseguenza le persone vengono suddivise fra "noi" e "loro" sulla base dell'aspetto esteriore, della religione, dei costumi, del luogo di provenienza, del linguaggio e della sessualità. Si tratta di criteri molto diversificati per decidere chi eliminare e chi aiutare. 

    Gli stereotipi negativi nei confronti dei membri di altri gruppi; concetti generalmente collegati ad altri, con cui si caratterizzano tutti i membri di un gruppo, che possono dar luogo all'insorgezza di pregiudizi.

    Oggi il pregiudizio xenofobo è frutto di sottocultura e si manifesta nei confronti degli extracomunitari, dei rom, dei venditori ambulanti e dei barboni, dello straniero e del "diverso", che viene percepito come estraneo, come sconosciuto e, in quanto tale, come pericolo perché sfugge al nostro controllo. La mancanza di controllo spaventa e fa attivare le difese, che facilmente rischiano di diventare rifiuto, chiusura. La xenofobia, poi, dilaga dal singolo individuo al gruppo, sulla spinta spesso di pregiudizi e di incomprensioni, che portano alla nascita dell'odio e dell'intolleranza. Nonostante quindi la paura per la diversità sembri appartenere alla natura umana, è importante attivarsi per razionalizzare questa reazione istintiva attraverso la conoscenza, il rispetto e l'accoglienza, evitando che diventi una forma di razzismo preventivo, dannosa per noi e per chi ci circonda.

    Bibliografia: 
    Arcuri L. –"Razzismo. Il pregiudizio automatico" - Psicologia contemporanea 
    Mazzara B.M. –"Stereotipi e pregiudizi" Il Mulino
    PsicoScrittura.it @ Scienze Psicologiche e Psicologia della Scrittura – "Il punto di vista evoluzionistico"

    LE BARBARIE DELL'UOMO

    Barbarie dell’uomo”
    l’ultimo libro di Cinthia De Luca racconta delle barbarie sugli animali in
    Europa.


    In un'Europa che si dichiara moderna e civilizzata, si verificano ancora fenomeni “agghiaccianti” come
    quello che riguarda le famigerate Perreras (canili-gattili lager), moderne Auschwitz per animali, in un
    paese che si dichiara evoluto e progressista come la Spagna. Qui gli animali vengono impiccati, impalati,
    bruciati vivi nei forni crematori che lavorano ininterrottamente accanto alle celle. Le Comunidades
    Spagnole sono disposte a pagare, in un'epoca di crisi, fino ad 80 euro per ogni “esecuzione”.
    In alcune Comunidades è lecita l'uccisione in strada di randagi, pagata dagli enti locali, da parte degli
    stessi veterinari comunali, con iniezioni letali.
    Famosa è la “pila dei morti”: 6 tonnellate di cadaveri di cani e gatti nella sola Madrid, alla fine del 2010.
    In Spagna questa vergogna è già conosciuta, senza che abbia però provocato una petizione popolare,
    massiva e decisiva, che basterebbe forse da sola, ad arrestare questa “macchina di morte”.
    In Ucraina è stata attivata un' ulteriore “macchina di sterminio” con uccisioni di massa dei randagi,
    spesso sepolti ancora vivi nel cemento, in vista degli Europei di Calcio 2012, una manifestazione sportiva
    che avrebbe dovuto unire e non creare invece logiche di morte sistematizzata.
    Nonostante la petizione al Parlamento Europeo nello scorso novembre e l'interessamento di numerose
    Associazioni animaliste e di volontari, l'Italia vergognosamente tace, assieme a tutta l'Unione Europea,
    sconfessando i principi espressi nella “Dichiarazione dei Diritti dell'Animale” redatta a Parigi il 15 Ottobre
    1978, presso la sede dell'Unesco, difendendo appieno il “Diritto alla Vita” di tutte le specie nell'ambito
    dell'equilibrio.
    “La grandezza di una nazione ed il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli
    animali” diceva Gandhi.
    Recentemente anche Striscia la notizia ha dedicato alcune puntate sull’argomento:
    http://www.striscialanotizia.mediaset.it/video/videoextra.shtml?12961
    http://www.striscialanotizia.mediaset.it/video/videoextra.shtml?12971
    Cinthia De Luca, medico chirurgo presso la “Facoltà di Medicina e Chirurgia” della Sapienza di Roma,
    attivista O.I.P.A. (Organizzazione Internazionale Protezione Animali), rivela tutto ciò nel suo ultimo
    saggio “Barbarie dell’uomo”, edito da Abelbooks.net, documentando con un’attenta e comprovata
    documentazione scientifica come la vivisezione, inutile da un punto di vista medico, sia a volte anche
    lesiva per il raggiungimento di risultati fallaci.
    La tesi che esponi nel tuo “Lo sterminio - La barbarie dell'uomo sugli animali” è che dietro allo sterminio
    generalizzato perpetrato ai danni di molte specie animali non ci siano solo interessi economici o
    commerciali, ma qualcosa di più profondo. Cosa?
    Credo fermamente che ci sia la profonda volontà, anche a livello governativo, in molti stati, di annichilire
    di annientare ogni aspirazione di giustizia e di verità, anche attraverso una profonda “desensibilizzazione
    delle coscienze”. E alla “morte degli ideali” incoraggiata dalla società stessa, si è sostituita una naturale
    “barbarie di ritorno”, caratterizzata dalla voglia di fare del male, gratuitamente, in un tempo accelerato,
    fortemente autodistruttivo, in cui la nostra umanità sta scomparendo come esile ombra di un'epoca ormai
    finita, di un sogno perduto. Naturalmente anche gli interessi economici hanno un loro peso in tutta questa
    allucinante situazione. Sapevate, ad esempio, che molte marche, anche conosciute, producono i loro cibi
    per animali, nell'ambito della cosiddetta industria del Pet–Food, proprio con la carne di questi cani e gatti
    così brutalmente uccisi o con carne di animali malati ed addirittura “eutanasizzati” per patologia
    tumorale? E' utile documentarsi
     , per poter conoscere le tante verità nascoste; forse, chissà, questo sterminio di massa serve ad
    alimentare anche l'industria del Pet–Food? E' stato ipotizzato anche questo e credo che in una società
    senza più valori tutto sia possibile.
    Qual è la tua posizione – come medico – nei confronti della vivisezione?
    La mia posizione è molto chiara ed origina da un cammino tortuoso. Nelle scelte che facciamo per cercare
    di migliorare il mondo (è un'utopia?) o comunque per dare testimonianza non possono esserci vie di
    mezzo. Ho dovuto conseguentemente rifiutare tutte le opportunità di lavoro, e sono tante, che
    comportavano protocolli di ricerca sulle cavie di qualsiasi genere. Devi sapere che la maggior parte dei
    Dottorati di Ricerca medica si fondano ancora sull'uso di cavie, anche se fortunatamente si stanno
    affacciando metodologie alternative molto più valide, come è esposto nel libro, che forse negli anni
    rivoluzioneranno questo settore. Comunque per me il primo passo è stato non scendere a compromessi;
    non potrei infatti torturare ed uccidere un essere vivente e senziente come me e poi avere la “coscienza
    pulita”. Non sarebbe nemmeno intelligente, ben sapendo che sperimentando su sistemi biologici
    profondamente diversi, non si otterrà mai nulla. Naturalmente anche il problema vivisezi  one è ampiamente trattato nel libro. Il secondo passo, fondamentale, è quello di creare più informazione
    possibile, attraverso volantini, opuscoli, trattati scientifici altamente attendibili, e ce ne sono; basti
    pensare all'attività del dott. Stefano Cagno, uno dei più preparati ed attivi medici antivivisezionisti italiani
    (LIMAV). Naturalmente l'informazione deve raggiungere tutti, ma forse soprattutto i colleghi, che spesso
    sono disinformati al riguardo e sono stati abituati a considerare gli “animali non umani” - sia per
    educazione che per formazione - come oggetti animati invece che come esseri viventi, senzienti. E'
    fondamentale inoltre proporre, soprattutto ai giovani, l'idea dell'obiezione di coscienza, ossia la possibilità
    di scegliere, di conoscere le mille nuove opportunità che la tecnologia propone, i mille metodi alternativi
    di ricerca, pienamente esistenti ed adottati già con successo in alcuni Centri sia italiani, che della Gran
    Bretagna, spesso invece abilmente nascosti. Un esempio per tutti è rappresentato dalla famosa
    “Fondazione Grigioni” di Milano per la ricerca sul Parkinson, all'avanguardia in tutti i sensi.
    Dopo aver letto il tuo libro, cosa può fare una persona comune per lottare contro questo massacro, per
    cambiare le cose?
    Non ci sono “persone comuni”, concedimi l'espressione, in quanto ognuno di noi è unico e speciale e può
    portare un proprio prezioso contributo: un primo passo sicuramente utile è collegarsi ai siti delle varie
    associazioni. Personalmente consiglio l'OIPA (Organizzazione Internazionale Protezione Animali), alla
    quale mi sono rivolta dopo tante delusioni; naturalmente questo non vuol dire che non esistano altre
    Associazioni serie. È solo che quest'ultima ha sicuramente carattere più risolutivo; si tratta infatti di
    un'Associazione che cerca di risolvere sia i grandi problemi, anche a livello governativo con vari
    interventi, inviando anche i propri delegati sul luogo per mesi. Basti pensare alla strage canina e felina
    avvenuta in Ucraina in vista degli Europei di Calcio in questi ultimi due anni: sono state prese numerose
    iniziative in proposito, in primo luogo i delegati che combattevano, nel senso letterale del termine, a
    fianco della popolazione locale, che veniva anche maltrattata se mostrava di aiutare i randagi; si è
    arrivati più volte infatti anche allo scontro fisico con le autorità stesse che sparavano o malmenavano i
    cittadini inermi; poi gli importanti incontri con le autorità locali stesse. Inoltre, per chiunque voglia, come
    ad esempio avveniva quest'estate per il massacro in Ucraina, è possibile la collaborazione sia attiva, con
    manifestazioni, che a distanza, comprensiva della possibilità di inviare “lettere preformate”, dunque già
    preparate, agli indirizzi governativi indicati, che hanno costituito, ad esempio, una protesta massiva, che
    insieme agli altri interventi, sta mitigando un poco le cose in quei luoghi o ha contribuito a fermare
    completamente altri massacri che avvenivano fino a poco tempo fa in Romania.
    Utili, a mio avviso, anche i convegni informativi, o la proposta dell' “obiezione di coscienza”, di cui parlavo
    prima, per cui occorrerebbe una campagna di conoscenza e sensibilizzazione.
    Infine, qualunque rifugio serio, che proponga di salvare, anche una sola vita, è da sostenere, perché è la
    “coscienza sociale” quella che conta in fondo e che forse cambierà il mondo. 

    La sventura delle virtù

    Justine o le disavventure della virtù



    Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
    bussola Disambiguazione – Se stai cercando il film di Jesús Franco, vedi Justine ovvero le disavventure della virtù.
    Justine o le disavventure della virtù
    Titolo originaleJustine ou les Malheurs de la vertu
    Sade 1.jpeg
    AutoreDonatien Alphonse François de Sade
    1ª ed. originale1791
    GenereRomanzo
    SottogenereErotico
    Lingua originalefrancese
    ProtagonistiJustine
    Justine o le disavventure della virtù è un romanzo del 1791, la prima opera pubblicata da Donatien Alphonse François de Sade.

    Indice

      [nascondi

    Trama [modifica]

    Il racconto è incentrato sulla figura di Justine, una giovane ragazza di nobile lignaggio improvvisamente divenuta orfana che, complice la sua cieca devozione al Cristianesimo, intende guadagnarsi da vivere lavorando onestamente e seguendo una rigorosamorale cattolica.
    Tutti gli sforzi della ragazza sono vani: rapimentistupri e false incriminazioni sono solo l'inizio di una vita dolorosa. Justine viene successivamente imprigionata e liberata da personaggi sempre più perversi che la coinvolgeranno in orgeomicidi e torture, spesso vissute in prima persona dalla protagonista, che tuttavia mantiene inalterata la propria integrità morale a discapito di ciò che le accade intorno.
    Nel finale, ove Justine sta per essere giustiziata per crimini a lei ingiustamente imputati, viene salvata da sua sorella Juliette che, al contrario di Justine, ha assecondato vizi e perversioni ed ha fatto fortuna.

    Justine [modifica]

    La protagonista si può identificare con la figura della bella Catherine Trillet (soprannominata proprio Justine), cameriera al servizio al castello di La Coste appartenente al marchese, la quale, nonostante fosse periodicamente vittima dei desideri libidinosi del marchese, non volle mai ritornare dal padre che ne reclamava costantemente il ritorno; probabilmente Catherine non lasciò mai Sade per i sentimenti che covava intimamente per lui (così come Justine nei confronti del conte di Bressac, benché agghiacciata dalla sua spietatezza e efferatezza).

    Temi [modifica]

    Justine è il primo di due romanzi in cui lo scrittore espone la sua teoria su come la purezza sia capace di risvegliare le perversioni umane e di come questa non favorisca le speranze del virtuoso. L'altra visione sociale del marchese presentata nel libro, riguarda le persone diverse da Justine che, viziose e libertine, sono accettate dalla società e spesso riescono a modificare il loro ceto di appartenenza. Emblema di questa situazione è la prostituta Juliette che divenendo la favorita di un nobiluomo gode di una vita agiata e acquisisce una diversa posizione sociale.
    Temi filosofici
    • rigetto delle tradizioni
    • soggettività delle idee di virtù e vizio
    • male dell'assolutismo anche nell'obiettivo del bene
    • Natura come unica dominatrice dell'uomo
    • la Ragione come sistema dominante non coinvolto
    Temi politici e sociali
    • gerarchie e disuguaglianze sociali
    • corruzione della chiesa e della giustizia
    • necessità di fiducia tra le persone (lo stesso De Sade definirà questa idea un'utopia assieme al socialismo)

    Pra se pensar ....

    Desespero anunciado

    Desespero anunciado Para que essa agonia exorbitante? Parece que tudo vai se esvair O que se deve fazer? Viver recluso na pr...