IL BUON PASTORE


IL buon pastore... la porta... entrare.. uscire...




Gv 10, 1-18
Questa similitudine disse loro Gesù, ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro.
Noi il più delle volte non capiamo le parole di Gesù, perché Gesù ci parla di cose più grandi di noi, perché Gesù con le sue parabole si propone di farci conoscere i misteri del Regno dei Cieli (Mt 13, 11). Noi che siamo più che altro attaccati alle cose della terra e poco familiari con quelle del cielo, facciamo molta fatica a capirLo. E facciamo anche fatica a capirLo perché nella nostra mente c'è poca luce e molta confusione. Allora Gesù, che ci vuole bene, racconta delle storie in cui ci sono cose che riusciamo a capire; queste sono simili ad altre che non riusciamo ancora a capire, ci aiuta così a compiere il passaggio dalle cose che conosciamo a quelle che non conosciamo.
Un altro motivo per cui Gesù parla spesso in parabole è per nascondere i misteri o i tesori del Regno a coloro che non meritano che vengano loro manifestati (Mt 13, 13). Così, quelli che dimostreranno buona volontà nel cercare di comprendere quanto dice il Signore verranno illuminati, mentre quelli che non si impegnano, non pregano, non vogliono fare nessuno sforzo per comprendere la Parola di Dio o, peggio ancora, disprezzano le cose di Dio, rimarranno nelle tenebre.
Rimane il fatto che il brano di Vangelo che abbiamo ascoltato non è di facile comprensione. Il rischio di fare un po' di confusione c'è. Sant'Agostino, un giorno che doveva spiegare alla sua comunità questo stesso Vangelo, ha sentito il bisogno di rivolgersi ai suoi ascoltatori più o meno con queste parole: "Quando avrò spiegato, secondo le mie forze, queste parole, può darsi che non riesca a farmi capire, o perché il significato di queste parole è ben nascosto, o perché io non ne ho capito bene il significato, oppure perché non sono capace di spiegare quello che ho capito, o infine perché qualcuno di voi ha difficoltà a capire; chi avrà difficoltà a capire non si scoraggi, creda nelle cose che non capisce, e il Signore al momento opportuno lo illuminerà".
Il buon Pastore viene a cercare le sue pecore
Potremmo tentare di riassumere l'insegnamento principale del Vangelo che abbiamo ascoltato con queste parole: c'è un pastore buono che vuole venire a cercare le sue pecore per portarle al pascolo; per entrare nell'ovile dove le pecore sono radunate deve passare attraverso una porta e questa deve essergli aperta da un guardiano o portinaio. Quando il guardiano apre, le pecore possono sentire la voce del pastore che chiama ognuna di loro per nome; le pecore che ascoltano la voce del pastore escono dall'ovile e lo seguono. Seguendo il buon pastore, troveranno senz'altro di che sfamarsi. Un'altra cosa importante che viene detta a proposito del pastore è il suo grande amore per le pecore. Esso è tanto grande che sarebbe disposto a morire per difenderle dai nemici.
Questa storia, che tutti siamo in grado di capire, è simile ad un'altra che invece facciamo molta fatica a comprendere. Quest'altra storia è quella dell'amore di Dio per ognuno di noi. La parabola allora, incomincia col dirci a parole quello che Gesù sulla croce ci dirà con i fatti, vale a dire che Dio è disposto a morire Lui perché possiamo vivere noi...
Secondo le cose appena dette, e tenendo conto di alcune spiegazioni che ci dà il Signore stesso, potremmo spiegare la parabola in questo modo: nonostante le apparenze, nonostante le arie che gli uomini si danno, noi siamo in questo mondo come pecore senza pastore, ossia non sappiamo bene dove andare per trovare pascolo, non sappiamo dove andare per trovare qualche cosa che riempia veramente la nostra vita, che la nutra, che plachi la nostra fame e sete di amore, di giustizia, di sicurezza, di verità, di gioia. Inoltre, sempre per il fatto di essere pecore senza pastore, siamo esposti agli assalti dei ladri, dei briganti e dei lupi, ossia siamo in balia di chi, per il fatto che siamo deboli e indifesi, al fine di soddisfare i suoi meschini interessi, cerca di approfittare di noi. Questi nemici sono poi così crudeli che non esiterebbero a farci morire.
Conoscendo Dio la nostra debolezza e fragilità, conoscendo i pericoli a cui andiamo incontro, conoscendo la nostra infelicità, decide di venire in nostro soccorso, e decide di farlo passando attraverso suo Figlio, passando attraverso l'incarnazione o l'umanità di suo Figlio, per questo Gesù afferma: Io sono la porta delle pecore. Come se dicesse: - Io sono la porta attraverso la quale Dio passa per venire a salvare le sue pecore -.
Dio si presenta quindi all'uomo per salvare l'uomo con un volto umano, il volto di Gesù. Il volto di Gesù quando Gesù era su questa terra in modo visibile, e il volto dei cristiani da quando la sua presenza su questa terra non è più visibile ma nascosta. Nell'uno e nell'altro caso però, manca ancora qualche cosa perché l'incontro fra Dio e l'uomo possa avvenire. Quello che manca è l'opera del guardiano o portinaio.
Il guardiano o portinaio
Qual è il lavoro di un portinaio?... Aprire le porte. Infatti Gesù dice: Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce. Da notare che il Signore non dice: il guardiano apre ed il buon pastore entra, ma dice: il guardiano apre e le pecore ascoltano. Il buon pastore entra quando le pecore ascoltano, se il guardiano non aprisse, le pecore non potrebbero ascoltare la voce del buon pastore. Il guardiano dunque apre la porta attraverso la quale le pecore possono sentire la voce di Dio. Chi è allora questo guardiano?...
Secondo Sant'Agostino questo portinaio è il Signore stesso, e dimostra la sua affermazione facendo questo ragionamento: se il Signore non ci avesse detto chi era la porta, noi, con le nostre forze, saremmo riusciti a capirlo? Quasi certamente no; allora, come un portinaio apre una porta, così il Signore ci ha aperto il significato della porta, dicendoci che la porta è Lui stesso; è il Signore che ci ha aperto il significato, dunque, è il Signore che è anche portinaio, oltre ad essere porta e pastore.
Possiamo trovare una conferma a quanto dice S. Agostino, anche esaminando quanto è successo a San Paolo un giorno che predicava ad un gruppo di donne nei pressi della città di Filippi. Leggiamo infatti negli Atti degli Apostoli: C'era ad ascoltare, anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora della città di Tiatira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo (At 16,14). Questa donna si farà poi battezzare e diventerà cristiana.
Vediamo in questo caso come il Signore, aprendo il cuore di Lidia, ha aperto anche quella porta che le ha permesso di ascoltare la voce di Dio attraverso la voce di Paolo; se il Signore non le avesse aperto il cuore, le parole di Paolo sarebbero state per lei semplicemente umane, non parole di Dio stesso, e l'incontro con Dio non sarebbe avvenuto; invece, avendole il portinaio aperto la porta, ha potuto ascoltare la voce del buon pastore che in quel momento chiamava proprio lei.
Da quanto è stato detto si vede che per ascoltare la Parola di Dio come parola veramente di Dio, ci vuole una doppia azione: una esterna, l'altra interna. Quella esterna è l'annuncio o la predicazione della Parola di Dio, quella interna è Dio che, con la sua grazia, ci fa aderire, o accogliere, o comprendere le cose che sentono le nostre orecchie.
Le pecore vengono condotte fuori dal recinto
Questa voce o parola del buon pastore, è una voce e una parola che Dio vuole fare ascoltare ad ognuno di noi; così infatti si esprime il Signore: Egli chiama le sue pecore una per una. E chi ascolta questa voce viene condotto fuori. Fuori da dove? Dal recinto. Per andare dove? Dietro al pastore. Un buon pastore, dove conduce le sue pecore? Le conduce al pascolo. Quello che attende chi segue Gesù è dunque una bella camminata e una bella mangiata. Possiamo pensare alla moltiplicazione dei pani... alla parabola dell'invito al banchetto di nozze... al miracolo dell'acqua che si cambia in vino...
Ma che cosa vuol dire uscire dal recinto? Mentre le pecore rimangono nel recinto, godono di una certa protezione e di una certa tranquillità - finché hanno la pancia piena -, ma dopo un po' la fame incomincia a farsi sentire e lo spazio del recinto incomincia a diventare un po' stretto, non c'è molta possibilità di movimento in un recinto; si accorgono poi che le sue mura non sono così sicure, ogni tanto ladri e briganti irrompono nell'ovile, fanno razzie e seminano la paura.
Questa situazione è simile alla nostra vita in questo mondo. Anche a noi le quattro mura di questo mondo sembrano offrire, in un primo tempo, una certa protezione e tranquillità, ma col passare del tempo ed il maturare della coscienza, ci rendiamo conto che ciò che può offrire questo mondo non riesce veramente a riempirci la vita, non riesce veramente a soddisfare la nostra fame e la nostra sete. Se siamo onesti con noi stessi, dobbiamo riconoscere che rimane, nel profondo del nostro cuore, un qualche senso di vuoto, una certa insoddisfazione, un desiderio di qualche cosa d'altro, anche se non sappiamo bene di che cosa abbiamo bisogno.
Ci sono poi le paure e le insicurezze dovute ai ladri e ai briganti, quelli che rubano e ci fanno del male nelle cose materiali, e quelli, assai più pericolosi, che fanno male in vario modo alla nostra anima. Quello che Gesù vuole dirci allora con questa parabola è questo: se non ascoltiamo la sua voce, non possiamo uscire dal recinto, ma rimanere prigionieri in questo recinto significa prima o poi morire per mancanza di cibo, oppure per le angherie dei ladri e dei briganti; per uscire però, non c'è altra guida che Lui. Chi invece ascolta la sua voce, passando attraverso di Lui esce verso una meta che non è più di questo mondo. Seguendo il buon pastore si incamminerà verso un altro mondo, verso un'altra vita e, al termine del cammino, troverà veramente di che sfamarsi e di che dissetarsi, così come promette il Signore: Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.
Entrare e uscire
Quanto abbiamo appena detto ci aiuta forse a capire quello che Gesù dice al versetto 9:Io sono la porta: se uno entra attraverso me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Queste parole potremmo capirle in questo modo: passare attraverso Gesù significa entrare in un mondo dominato dalla presenza di Dio, ma entrare in un mondo dominato dalla presenza di Dio, significa contemporaneamente uscire da un mondo dominato dalla tristezza per la sua assenza o, più profondamente, dominato dalla presenza nascosta del Principe di questo mondo, vale a dire il demonio, Satana, il lupo.
La nostra salvezza consiste proprio in questo passaggio dalla ristrettezza delle cose di questo mondo, o di un mondo senza Dio, alla ricchezza e allo splendore del suo Regno; compiere questo passaggio significa anche trovare la nostra vera vita in Dio, ossia, secondo la similitudine di Gesù, trovare pascolo. Passare attraverso la porta, che è Cristo, significa anche entrare in una nuova luce, che produrrà un progressivo cambiamento del nostro modo di vedere le cose. Più entreremo nella luce di Dio più usciremo dal nostro ristretto, debole e incerto modo di vedere; in questo caso trovare pascolo significherà trovare una più ampia, più luminosa e più certa, comprensione della realtà.
La similitudine ci mostra ancora la premura e l'attenzione di Gesù per tutte le sue pecore. L'intenzione sua è di condurre fuori dalle ristrettezze e dai pericoli di questo mondo ognuno di noi. Lui non si dimentica di nessuno, e se c'è qualcuno che non sente la sua voce o non vuole uscire, è probabilmente perché è caduto sotto le grinfie del lupo, oppure di qualche ladro o brigante, oppure perché il buon Pastore non gli ha fatto ancora sentire il suo richiamo.
Si potrebbe ancora osservare che questa processione dalla terra al cielo è appunto una processione, ossia chi vi partecipa non è solo, anche se uno vivesse in un deserto sa che il Signore, insieme a lui, sta conducendo una moltitudine di fratelli verso i pascoli eterni, e la festa del banchetto eterno lo ricompenserà ampiamente di tutte le fatiche patite durante il viaggio.
Seguire Gesù nella fede
Una volta che le pecore sono state messe in movimento, il Signore cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Le pecore Lo seguono... Questo vuol dire che non sono loro a stabilire quale dovrà essere il percorso, quale l'andatura, quando fare una tappa e quando ripartire. Inoltre, se il pastore cammina davanti e loro lo seguono, significa che non vedono il suo volto mentre camminano, ma solo le sue spalle. Se non vedono il suo volto, hanno però imparato a conoscere la sua voce.
Così è per noi che stiamo camminando da questo all'altro mondo seguendo Gesù; non vediamo il suo volto ma solo le sue spalle, ossia camminiamo nella fede e non ancora in visione (2 Cor 5, 7); È per il dono della fede che siamo in grado di riconoscere la sua voce, ossia è per la fede che la sua Parola, ascoltata dalla bocca della Chiesa, diventa il criterio regolatore della nostra vita. È per la fede che riusciamo a discernere, nel variare delle situazioni della vita, quando il Signore vuole farci andare a destra o a sinistra, è per fede che accettiamo quello che ci accade come espressione della sua volontà sapendo che, in qualunque situazione ci troviamo, proprio perché stiamo seguendo un pastore buono, il suo aiuto non ci mancherà. L'occhio di un buon pastore vigila in continuazione sullo stato delle sue pecore.
Camminando nella fede, essa cresce ed il nostro orecchio diventa sempre più sensibile alla voce del pastore. Con l'aumentare della capacità di cogliere la Parola di Dio e di aderirvi, aumenta anche la nostra capacità di resistere alle voci che non hanno il carattere o il timbro dei richiami di Dio. Per questo il Signore dice: Un estraneo non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei. I discepoli di Gesù non vogliono aderire alle voci che non sono secondo Dio. È poi abbastanza evidente che seguire Gesù è cercare di mettere in pratica i suoi insegnamenti, ossia comportasi come Lui si è comportato; dice infatti Gesù: Imparate da me che sono mite e umile di cuore (Mt 11,29).
Il Signore ci chiede soprattutto di essere umili, cioè non orgogliosi, né arroganti, né prepotenti, e di agire in ogni circostanza con mitezza, ossia con dolcezza e senza agitazione. Così, tutti i richiami, esteriori o interiori, che ci invitano a praticare o a crescere nella virtù dell'umiltà, hanno il timbro o il carattere della voce del buon Pastore; mentre tutti i richiami, esteriori o interiori, che ci spingono all'orgoglio, all'arroganza, alla prepotenza, alla cattiveria, all'agitazione, sono voci estranee, voci che dobbiamo imparare a fuggire perché non sono secondo Dio. Quanto detto per l'umiltà e la mitezza vale anche per ogni altra virtù che il Signore ha praticato e ci chiede di praticare. Secondo queste riflessioni potremmo dire: ogni voce o richiamo che ci invita alla virtù, o a perfezionarne la pratica, ha il timbro della voce del buon Pastore; al contrario, ogni voce che ci distoglie dalla pratica della virtù e ci spinge al vizio, è la voce degli estranei.
Volendo fare ancora alcuni esempi potremmo dire: in un mondo in cui più che gli onesti hanno successo i disonesti e gli imbroglioni, ogni buon esempio, ogni buona parola che incoraggi a praticare l'onestà e la rettitudine in ogni circostanza, è una voce che, accolta nella fede, diventa la voce di Gesù stesso. In un mondo in cui si trova spesso poca comprensione verso chi sbaglia o ha sbagliato gravemente, ogni atteggiamento di comprensione e di misericordia, ogni mano tesa verso chi è oppresso dalle conseguenze dei propri misfatti, è come un riflesso degli atteggiamenti e della voce del buon Pastore… Sbagliare, e sbagliare gravemente, è tipico dell'uomo, chinarsi con misericordia sull'uomo per curarne le ferite è tipico di Dio e di coloro che sono abitati dal suo Spirito.
A proposito di queste ultime riflessioni, conviene ancora osservare che non possiamo mettere in pratica gli insegnamenti di Gesù o comportarci come Lui si è comportato, se non conosciamo i suoi insegnamenti e i suoi comportamenti, e questi li possiamo imparare sia leggendo o ascoltando il Vangelo, sia dal buon esempio di coloro che cercano con onestà e impegno di viverlo ogni giorno. Così, conoscendo i suoi insegnamenti ed i suoi esempi, anche di noi il Signore potrà dire: Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me.
La perfezione con la quale Gesù ci ama
La frase di Gesù continua in questo modo: Come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. Queste parole ci fanno intravedere la perfezione e l'intensità dell'amore di Dio per noi. Dio non può che operare in modo divino, vale a dire, Dio conosce come solo un Dio conosce, Dio ama come solo un Dio ama, e qui Gesù ci dice che la stessa perfezione di conoscenza e di amore che c'è all'interno della Trinità fra il Padre e il Figlio, fra il Figlio e il Padre, questa stessa perfezione Gesù la applica per amare noi; e una delle caratteristiche dell'amore, di quello vero, è che colui che ama alla persona amata vuole donare tutto; tutte le sue ricchezze ma soprattutto tutto se stesso, per questo Gesù dice: E offro la vita per le pecore.
Questa dichiarazione d'amore di Dio per noi è magnifica, ma è anche estremamente pericolosa. Pericolosa sia per Lui che per noi. Il pericolo deriva da questa proprietà del vero amore: un amore che dona tutto, chiede anche tutto. In altre parole si può dire: all'amore bisogna rispondere con l'amore, a un amore totale bisogna rispondere con un amore totale. Quando questo accade si realizza lo splendore dell'amore, lo splendore della vita, lo splendore della gioia e della pace; ma se questo non accade si ha allora la crocifissione dell'amore, Gesù sulla croce, l'Amore crocifisso. Le parole di Gesù: E offro la vita per le pecore, alludono anche o preannunciano già la sua crocifissione, ossia, fin dove arriva il suo amore per noi e fin dove arriva il nostro non amore per Lui. Ed allora la croce è l'estremo tentativo di convertirci all'amore. Come se Gesù ci dicesse: - Vedi fin dove arriva il mio amore per te?... Vedi che cosa tremenda succede se anche tu non mi ami?... Vedi quanto ho sete, sete del tuo amore... sete della tua salvezza, sete della tua gioia... -.
Il rischio che corriamo è quindi quello di far soffrire Gesù che ci ama, e lo facciamo soffrire se trascuriamo le iniziative del suo amore, o troppo a lungo vi resistiamo. Se poi lo rifiutiamo in maniera definitiva lo facciamo morire, ma se Lui muore nel nostro cuore, prima o poi moriremo anche noi, e resteremo morti per sempre, mentre Lui risorgerà perché la morte non può vincere il Signore della vita.
L'unità di coloro che sono in cammino verso il Cielo
E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Quando Gesù pronunciava queste parole era visto ed ascoltato solo dalla gente di Israele, tuttavia Lui non era venuto solo per Israele, ma per tutti gli uomini. Tutti gli uomini Lui vuole condurre fuori dall'ovile, tutti gli uomini vuole condurre dalla terra al cielo. Allora, anche se gli uomini non godono più della sua presenza visibile, sempre Lui è presente ed operante nelle parole e nelle opere di coloro che annunciano e vivono il suo Vangelo; così che, mediante l'opera esterna di coloro che annunciano, e l'opera interna di Lui che apre ed illumina i cuori, anche noi, che non Lo abbiamo visto con i nostri occhi, possiamo ascoltare la sua voce.
Questa voce crea una nuova unità nel genere umano, non più l'unità di chi parla la stessa lingua, di chi appartiene ad una stessa regione o a una stessa nazione, ma l'unità di chi, avendo ascoltato ed accolto Gesù, è uscito con il suo cuore dalle ristrettezze di questo mondo e si è incamminato, dietro a Lui, verso i pascoli del Cielo. E come unica è la voce, unica la dottrina, unica la meta, unico colui che conduce alla meta, così unico deve essere il rappresentante visibile del buon pastore. Chi vuole ubbidire sia alla voce interiore che a quella esteriore dell'unico pastore, camminerà sicuro e giungerà alla meta, mentre chi non vuole ascoltare la sua voce rimarrà chiuso nel recinto e subirà le razzie dei ladri e dei briganti, perché la scarsa protezione che può avere dai mercenari non sarà sufficiente a preservargli la vita, soprattutto se è minacciata dal sopraggiungere del lupo.
I nemici
Parlando dei ladri, dei briganti e del lupo, Gesù vuol farci riflettere sui nemici delle pecore, ossia sui nostri nemici. Dice che il comportamento caratteristico dei ladri e dei briganti consiste nello scavalcare i muri, ma se scavalcano i muri non entrano per la porta. Questa similitudine offre alle pecore un criterio per distinguere un ladro o un brigante dal buon Pastore.
Così, chiunque si presenti come guida o salvatore dell'uomo promettendo: felicità, benessere spirituale, accrescimento delle facoltà mentali, esperienze non comuni, estasi di vario genere, nuove vie, nuovi mondi, nuove ere, ordini sociali finalmente caratterizzati da giustizia e rettitudine…, se costoro, nel promettere queste cose non passano per Gesù Cristo e non vogliono far passare per Gesù Cristo, sicuramente non cercano il bene degli uomini ma, come ladri, agiscono in modo illecito per accrescere le loro ricchezze derubando chi incautamente li ascolta; e rubano il loro tempo, risorse materiali e spirituali, la vita stessa. Chi li ascolta e li segue andrà in rovina.
Di questi il Signore afferma: Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti. Se fossero venuti passando attraverso di Lui e con l'intenzione di far passare gli uomini attraverso di Lui, il Signore non li avrebbe qualificati come ladri e briganti. Con altre parole potremmo dire: gli uomini non incontrano veramente chi li liberi e li salvi se non incontrano Gesù Cristo. Tutti i liberatori e tutti i salvatori che incontrano prima di incontrare Gesù non hanno il potere di liberarli e di salvarli veramente, hanno solo il disonesto potere di rubare la loro fiducia per condurli alla rovina. San Pietro afferma con forza che Gesù è l'unico Salvatore dicendo: Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale è stabilito che possiamo essere salvati (At 4,12).
Sia lungo la storia, sia ai nostri giorni, molti sono i drammi nella società e nelle famiglie, provocati dagli eretici, dai capi di varie sette, da maghi e maghe, da imbroglioni senza scrupoli, da agitatori sociali… A proposito degli eretici, degli aderenti a certe sette, e a volte anche dei maghi, nei loro confronti si potrebbe in un primo tempo essere incerti; l'incertezza è dovuta al fatto che nei loro discorsi sembrano parlare con convinzione di Dio e di Gesù Cristo, ma parlare di Dio e di Gesù Cristo non basta, bisogna parlarne correttamente e secondo verità. Ne parla secondo verità chi ha l'approvazione delle autorità ecclesiastiche, dove non c'è questa approvazione, c'è qualcuno che non sta passando per la Porta ma sta scavalcando i muri.
Il Signore continua dicendo: Ma le pecore non li hanno ascoltati. Chi conserva nel cuore un autentico desiderio della vera salvezza, della vera liberazione, della vera vita, ha in sé qualche cosa che gli impedisce di dare ascolto, di aderire e di seguire chi si presenta nelle vesti di pastore o di salvatore, ma in realtà è un ladro e un brigante: Coloro nei quali questi desideri si affievoliscono o si corrompono rischiano invece di cadere vittime di cattivi pastori, di falsi salvatori o di mercanti di sogni e illusioni; la cosa più grave che può capitare loro è diventare incapaci di riconoscere la voce ed i richiami dell'unico e vero buon Pastore, rischiano così di trasformarsi in incorreggibili caproni e di venire esclusi dal Regno di Dio.
Il lupo
Un altro nemico di cui parla il Signore è il lupo. In questa parabola il lupo rappresenta il più terribile nemico che le pecore possano incontrare. Viene anche detto che il suo modo di agire consiste nel rapire e nel disperdere; stranamente non viene detto che il lupo uccide o sbrana le pecore, ma solo che le rapisce e le disperde. La ragione è forse perché questo lupo è figura di qualcun altro, di qualcuno che di fatto lotta con la forza e la ferocia del lupo, ma la sua ferocia è piuttosto nascosta e non immediatamente riconoscibile, è un lupo travestito da agnello.
Così, gli uomini che sono in cammino da questo all'altro mondo, che ne siano consapevoli o no, hanno bisogno di difendersi e di venir difesi da un nemico più forte di loro. L'intenzione di questo nemico è di impedire il loro arrivo nella patria celeste; colui che lotta con accanimento perché gli uomini non raggiungano il Paradiso è il diavolo, il più terribile nemico dell'uomo.
Il fatto che questo nemico sia più forte di noi è, come vedremo, piuttosto un vantaggio che uno svantaggio. Ci viene intanto detto che la sua strategia è di rapire e di disperdere. La strategia del demonio infatti è quella di rapire, con svariati mezzi, la nostra attenzione da tutto ciò che ci orienta e ci conduce verso il cielo, o verso il nostro vero bene, o verso la nostra vera felicità. Si propone in questo modo di distoglierci dal fine ultimo e definitivo della nostra vita, se vi riesce, la nostra esistenza viene privata del suo fondamentale punto di riferimento; di conseguenza, tutte le nostre forze vengono disperse nella confusa ricerca di qualche cosa che, in fondo, ci lascerà insoddisfatti.
Che poi il demonio sia più forte perché molto più intelligente di noi, torna a nostro vantaggio in quanto contribuisce a toglierci l'illusione di potercela fare da soli a trovare e percorrere la via che conduce alla felicità. Sapere che qualcuno ha il potere di farci del male fino a rovinarci per sempre, ci spinge a cercare rifugio e protezione presso chi è venuto proprio per distruggere le opere del maligno, Gesù, il buon Pastore che, per difenderci dal Demonio, offre la vita per noi. Così, se vogliamo camminare da soli, è più forte il Demonio, se invece ascoltiamo la voce del buon Pastore e gli andiamo dietro siamo più forti noi, e il demonio non può farci proprio niente di male. Il Signore ci difenderà dandoci forza e sapienza per non cedere ai suoi inganni.
Il mercenario
Non così il mercenario che, quando vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge. Il mercenario è comunque qualcuno che è stato chiamato a custodire le pecore. In parte compie il suo lavoro, ma solo fino a quando le cose procedono senza pericoli, fino a quando non ci sono nemici all'orizzonte, ma appena questi si presentano e lui dovrebbe faticare, lottare, pagare di persona per difendere le pecore, fugge e si sottrae al suo dovere.
Potremmo vedere in questo mercenario una figura di tutti coloro che sono stati chiamati, in vario modo, a governare piccole o grandi comunità umane e svolgono in maniera insufficiente il loro compito. Così, dal capo di una famiglia, al capo di un comune, di una regione o di una nazione, o in campo ecclesiastico da chi governa una parrocchia, o una diocesi, o la Chiesa intera: tutte queste persone, nell'esercitare la loro funzione di governo, a seconda del loro comportamento, possono assomigliare al buon Pastore oppure al mercenario. E se chi governa dovrebbe prendere Gesù come modello, i sudditi dovrebbero pregare il padrone della messe perché mandi veri operai nella sua messe, e nella società civile governanti onesti e competenti. Così, sia il buon andamento della società civile che di quella religiosa dipendono, in varia misura, da chi governa e da chi è governato.
Io offro la mia vita per poi riprenderla di nuovo
Gesù si avvia al termine del suo discorso con queste parole: Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Le parole: Io offro la mia vita, significano che Gesù andrà volontariamente a morire per noi, non costretto cioè da nessuno se non dal desiderio di compiere il comando del Padre suo. Questo comando era che Gesù venisse a salvarci pagando Lui il nostro debito d'amore nei confronti del Padre, manifestando così fino a che punto giunge sia l'atrocità del nostro peccato, sia l'amore di Dio per noi.
Queste parole mostrano ancora che cosa dobbiamo fare per essere amati da Dio. Per essere amati da Dio dobbiamo amare come Gesù ha amato, amare Dio e gli uomini come Lui li ha amati. E Gesù fa vedere come continua ad amare anche quando gli uomini, in cambio dell'amore da Lui offerto, rispondono con indifferenza, ostilità e odio. Odio che giunge all'accecamento estremo e alla tragedia estrema di uccidere Colui che era venuto per donarci la sua vita e il suo amore. A noi che, senza di Lui, non possiamo né vivere, né trovare amore, né dare amore. Gesù ci fa vedere che continua ad amare il Padre anche quando, nel momento estremo, nel momento in cui avrebbe avuto più bisogno di aiuto, il Padre non risponde alla sua preghiera e sembra lasciarLo morire nell'abbandono più totale. Per questa sua fedeltà eroica all'amore, il Padre lo ama.
Ma le parole: Io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo non ci parlano solo della sua morte, ma anche della sua risurrezione. Se Gesù non fosse morto per noi amando e perdonando, non potremmo capire fino a che punto Dio ci ami. Se però Gesù fosse morto, ma non fosse risorto, noi cadremmo nella disperazione, perché l'indifferenza, la stoltezza, l'odio, la morte, avrebbero avuto ragione dell'amore, della sapienza, della bontà, della vita. Gesù invece, con l'annuncio della sua risurrezione, oltre ad affermare la sua assoluta signoria sulla vita e sulla morte, annuncia anche che, nonostante le apparenze, se saremo fedeli fino alla fine, vedremo l'amore vincere l'odio, la bontà vincere la cattiveria, la sapienza vincere la stoltezza, la luce vincere le tenebre, la vita vincere la morte.

Cos'è la delusione?


È la delusione il grande setaccio che fa la differenza tra gli esseri umani
di Francesco Lamendola 



Gli antichi Romani non avevano la parola, e quindi neanche il concetto, corrispondente a “delusione”. Per indicare l’inganno, parlavano di “fallacia”, oppure di “ludificatio”, ma quest’ultimo vocabolo nel senso di “beffa”; altrimenti dicevano, semplicemente: “spes decepta”, “speranza delusa”.
La delusione, come l’intendiamo noi moderni, non è, tuttavia, solamente una speranza delusa. I Romani erano un popolo molto pratico, molto concreto: una speranza delusa è una cosa, la delusione è tutta un’altra cosa. L’idea di delusione non si riferisce ad una singola esperienza negativa, o a due, o a tre; ma rimanda a una categoria più vasta, che può abbracciare tutto un certo atteggiamento nei confronti della vita e dell’esistente.
Un antico Romano si poneva un certo fine, un certo obiettivo; e, se non lo raggiungeva, parlava di “spes decepta”. Certo, esisteva anche il concetto di “taedium”, ma meno generico di quel che non si creda: non tanto “taedium vitae”, quanto piuttosto “taedium laboris”, per esempio (avversione al lavoro: Quintiliano); oppure “taedium belli” (disgusto per la guerra: Livio); o, anche, “taedium movere sui” (rendersi odioso: Tacito).
Insomma, la delusione, così come noi la concepiamo oggi, è una cosa tutta moderna: è il vuoto esistenziale, il disincanto del mondo; che deriva, sì, da singole esperienze negative, ma che poi le generalizza e ne fa un vero e proprio atteggiamento filosofico.
La delusione sta dilagando e sta diventando alla moda nei salotti buoni dell’intellighenzia, specialmente dall’Esistenzialismo in avanti. Non parliamo poi della generazione post sessantottesca, che ha visto crollare uno dopo l’altro, e nella maniera più deludente, tutti i propri miti; e che si è adattata alla nuova situazione, dominata da un consumismo becero e da un ritorno al privato in chiave ultra egoistica, con molti rimpianti e con segreta cattiva coscienza.
Sì: la professione del deluso dalla vita è una attività che rende, e oseremmo dire che è quasi divenuta d’obbligo, fra gli intellettuali i quali, oggi, svolgono la funzione che fu già di Petronio alla corte neroniana: quella di «arbiter elegantiae». Alla generazione dei disperati alla Sartre e a quella dei ribelli alla Cohn-Bendit, è succeduta ora una generazione di delusi, di stanchi, di nauseati dalle cose di questo basso mondo; il che non impedisce loro, il più delle volte, di ritagliarvisi una nicchia più che confortevole, sfruttando appunto la loro filosofia della delusione.
Per fortuna ci sono anche delle voci fuori dal coro, talvolta di personalità autorevoli, che non seguono questo comodo andazzo.
Bei tempi, quelli in cui un settimanale popolare senza pretese culturali, come «Gente», pubblicava le riflessioni di un filosofo della statura di Nicola Abbagnano; solo pochi decenni sono passati, ma sembra che sia trascorso un secolo. Bei tempi, quelli in cui un editore serio e intelligente, che pubblicava sia libri sia riviste periodiche, sapeva trovare spazio in queste ultime per le migliori penne che scrivessero all’epoca (ed era passato già qualche anno da quando, su «Il Corriere della Sera», scriveva un certo Pier Paolo Pasolini). Oggi, sulla stampa periodica popolare, si trovano quasi solo volgarità e sciocchezze.
In uno dei suoi articoli, semplici nella scrittura, ma profondi nel contenuto, e quindi “popolari” nel senso migliore della parola, intitolato «Dove ci porta il nuovo pessimismo», Abbagnano svolgeva una acuta riflessione sul fenomeno del pessimismo cronico e alla moda ostentato da tanti, troppi intellettuali, sia italiani che stranieri (in: N. Abbagnano, «La saggezza della vita», Milano, Rusconi, 1985, 30-31):
«Tutte le strade sembrano portare ad un pessimismo facile e comodo che dà l’apparenza, a chi lo sostiene, di essere accorto e alla moda.  È facile infatti giudicare il mondo umano, nella sua totalità,  sulla scorta dei fatti di cronaca, dell’incertezza e dei conflitti politici, delle difficoltà economiche e dell’immoralismo dominante. Ed è comodo trarre da questi fatti la linea di condotta della rinuncia e del conformismo. Perché preoccuparsi, lottare difendere i valori della vita quando tutto va male?  Meglio acconciarsi alla realtà, fare come fanno tutti, occuparsi soltanto dei propri interessi egoistici e vivere giorno per giorno nella ricerca del massimo piacere.  E così i mali in base ai quali si condanna il mondo pessimisticamente, diventano i beni che orientano e dominano la vita dei singoli e delle comunità. Se il vecchio pessimismo, quello difeso dalle religioni e dalle filosofie tradizionali, invitava gli uomini all’ascetismo, cioè alla rinuncia dei “beni mondani”, il nuovo pessimismo non fa che invitare ala ricerca  disordinata e squallida di tali i beni.
È questo il vicolo cieco in cui vanno a finire certi indirizzi della vitae della cultura contemporanee. Ma finire in questo vicolo cieco significa per l’uomo chiudersi le porte dell’avvenire.  La lotta per la vita, che l’uomo ha ingaggiato da che è venuto al mondo,  è retta dalla speranza, e dal coraggio che la speranza alimenta. Si lotta per l’integrità fisica e morale di se stessi e dei propri cari, per ottenere e difendere il proprio lavoro, per mantenere in vita la comunità sociale e politica cui si appartiene. Si lotta contro il sopruso e la violenza, contro l’invidia e la gelosia, per acquistare un minimo di pace e di serenità e per la possibilità di godere delle cose belle che si preferiscono.
La lotta per la vita non contente tregue e abbandono perché anche ciò che si è conquistato si può perdere da un momento all’altro. Ma appunto per questo la speranza è la sua forza maggiore, la condizione essenziale della sua riuscita. Ciò che l’intelligenza calcolatrice prospetta come una possibilità per l’avvenire diventa la meta effettiva dello sforzo umano solo perché mette in opera la speranza attiva e fattiva del’uomo. Nella sua forma radicale, la rinuncia alla speranza, la disperazione, porta solo alla distruzione di sé, con il suicidio o con la droga.  Ed anche nelle peggiori condizioni possibili, l’uomo si aggrappa alla vita se un barlume di speranza gli si prospetta per l’avvenire.
La personalità forte, l’uomo coraggioso non è quello che si limita soltanto a vedere il pericolo o la difficoltà. È quello che conta sulla sua forza per vincerli e spera, appunto, che la sua forza abbia la meglio.»
Certo, la delusione non è solo un gioco, e magari un gioco redditizio per pseudo-intellettuali che scimmiottano, fuori tempo, Humphrey Bogart in «Casablanca», occhio spento e piega della bocca all’ingiù, ovviamente con l’immancabile sigaretta fra  le labbra.
È anche qualcosa di tremendamente serio per milioni di persone che non si divertono a giocare con essa, o che, quanto meno, non lo fanno consapevolmente; ma che in essa trovano il loro tormento e perfino la loro più amara e segreta soddisfazione. Una soddisfazione sterile e proibita, certo; ma che farci: qualcosa è sempre meglio di niente.
Vivere nella delusione è angosciante e conduce ad una sorta di tranquilla disperazione, che spoglia il mondo della sua bellezza e lo consegna al grigiore e alla monotonia di ciò che non desta più meraviglia, di ciò che non fa mai battere il cuore.
Ci deludono le persone; ci deludono le situazioni; ci deludono i luoghi, le professioni e perfino il tempo libero. Le cose non sono come ce l’eravamo immaginate, come le avevamo a lungo desiderate; insomma, è tutta una frana.
Eppure, a ben guardare, bisogna pur avere l’onestà intellettuale di riconoscere che, in moltissimi casi, la nostra delusione è la conseguenza inevitabile di un errore di valutazione da parte nostra, di una aspettativa esagerata e, in gran parte, ingiustificata. Si rimane delusi perché ci aspettava qualcosa che non esiste, qualcosa che non era assolutamente realistico attendersi.
Che cosa c’è di male a sognare una realtà più bella, più poetica, più seducente di quella d’ogni giorno? Nulla; purché si sia ben consapevoli che la cosa comporta dei rischi. Noi possiamo puntare all’ideale per quanto riguarda noi stessi, nel senso che possiamo sforzarci di lavorare su di noi allo scopo di trascendere la nostra condizione presente ed accedere a un livello superiore di esistenza; ma non abbiamo alcun motivo di aspettarci la stessa cosa dagli altri.
Troppo spesso tendiamo a scambiare la realtà per i nostri desideri; troppo spesso crediamo di essere in perfetta sintonia con l’altro, di pensare e sentire alla stessa maniera, di volere gli stessi obiettivi, mentre le cose stanno altrimenti. Quando, poi, sopraggiunge l’inevitabile delusione, ci sentiamo feriti, ingannati, traditi; ma, a voler essere veramente onesti, non sono poi molti i casi in cui quel senso di inganno e di tradimento è davvero giustificato. La verità è che, molto più spesso di quel che non si creda, abbiamo fatto tutto da soli.
D’altra parte, la delusione può diventare un comodo atteggiamento mentale per giustificare la nostra rassegnazione, il nostro essere rinunciatari e la nostra diffidenza sistematica nei confronti della vita. Agendo così, però, non facciamo altro che castigare ulteriormente noi stessi: perché ogni porta che chiudiamo davanti a noi, per amarezza o per paura di subire una nuova delusione, è una occasione di apertura e  una possibilità di essere felici cui volontariamente rinunciamo, e senza nemmeno aver provato a lottare.
Certo, aprire delle porte è sempre un rischio; e bisogna imparare a farlo con qualche cautela, con qualche accortezza; spalancarle e gettarsi oltre di esse, senza sapere minimamente che cosa vi sia al di là, non è una forma di coraggio, ma di follia. E tuttavia, rimane il fatto che solo correndo qualche rischio noi possiamo esperire delle ulteriori possibilità di evoluzione spirituale, di arricchimento della nostra anima. Nulla di ciò che ha valore, nella vita, ci viene regalato; ma sempre deve essere il risultato di un impegno, di uno sforzo, di un sacrificio.
In questo senso crediamo si possa dire che la delusione è un grande setaccio che separa il grano dalla pula e fa la vera differenza tra gli esseri umani. Tutti gli esseri umani, infatti, devono fare i conti con essa, o prima o dopo; ma quello che importa è che ne sappiano uscire ancora integri nel proprio equilibrio spirituale, nel rispetto di se stessi e nella capacità di guardare al mondo con stupore, ammirazione e gratitudine. 
Quelli che si piegano sotto il suo peso, che imprecano e maledicono il mondo, che vanno in cerca dei “colpevoli” cui addossare la propria delusione, magari per vendicarsi, non hanno superato la prova e accumulano scoraggiamento e amarezza, forse rancore, che condizionano negativamente tutta la loro vicenda terrena. Essi sono gli sconfitti della vita, un esercito sterminato che non  raccoglie chi non abbia avuto successo esteriore, ma chi ha mancato l’occasione di trasformare le proprie delusioni in fattori di crescita e di consapevolezza spirituale.
Questo esercito di sconfitti ammorba l’aria con le vibrazioni negative che promanano dalle delusioni in esso accumulate: vibrazioni a bassa frequenza che tendono a riprodurre, in una incessante spirale distruttiva, emozioni e sentimenti negativi quali frustrazione, senso di impotenza, rabbia, desiderio di vendetta.
Noi tutti, per vivere bene, avremmo bisogno di essere avvolti e carezzati da vibrazioni ad alta frequenza, che solo le energie positive sono in grado di mettere in circolo, attraverso l’apertura, l’entusiasmo, lo stupore, la gioia, la contemplazione della bellezza. Una sala da concerti ove una folla rapita in estasi ascolta un brano organistico di Bach, è una vera e propria sorgente di energie positive e, quindi, di vibrazioni ad alta frequenza.
Una folla abbrutita dalla noia, dall’ansia, dalle preoccupazioni, dalla delusione, come lo è quella che si muove nello squallore di una grande città congestionata dal traffico e resa invivibile da rumori e da odori sgradevoli, rilascia ondate di energia negativa e, perciò, di vibrazioni a bassa frequenza, che tendono ad autoalimentarsi incessantemente.
Il segreto è comprendere che la scelta di vivere all’Inferno o in Paradiso dipende sostanzialmente da noi stessi. Possiamo coltivare la speranza e la gioia anche in un contesto sfavorevole; e, viceversa, potremmo lasciarci sopraffare dalla delusione e dalla negatività anche in una situazione di per sé favorevole. Abbiamo più potere di quel che non crediamo e, quindi, anche più responsabilità.


Uomini: fragilità e debolezza


Uomini: fragilità e debolezza



Attenzione: apre in una nuova finestra.
































Scritto da Massimo M.Greco



di  Massimo M. Greco
Converrebbe anche ai maschi cominciare a mettere in discussione la propria identità. Alcuni hanno cominciato a farlo, sull’esempio delle femministe, mediante l’autocoscienza di gruppo e l’approccio autobiografico. Un resoconto in prima persona delle difficoltà incontrate quando i maschi cercano di parlare di se stessi.
“Sei amato solo dove puoi mostrarti debole senza provocare in risposta la forza”, Theodor W. Adorno.


Scrivo sui generi partendo da me stesso, dai vissuti con uomini e donne importanti nella formazione delle mie intenzionalità. Cercherò anche di seguire il consiglio di Robert Musil in L’uomo senza qualità: “Quei pensieri che fanno giganteschi passi sui trampoli e toccano l’esperienza solo con minuscole suole, destano a maggior ragione il sospetto di illegittimità”.
Autobiografie maschili
Le mie considerazioni nascono dal confronto con donne e uomini che hanno messo a tema la decostruzione dei significati che la tradizione attribuisce al maschile e al femminile. Su questi argomenti ho lavorato su di me, con gli altri e con le altre, soprattutto mediante l’autocoscienza di gruppo e l’approccio autobiografico. La prima  è una pratica che deriva dal femminismo e prevede la condivisione e il confronto in gruppo a partire da sé e dal proprio vissuto. Il secondo si rifà all’approccio autobiografico come metodologia di autoformazione:  la scrittura di sé, individuale ma condivisa in gruppo, è orientata in questo ambito alla riflessione sui generi.
Negli ultimi decenni è diventata sempre più urgente la richiesta femminile di una decostruzione del modello maschile tradizionale, per lasciare spazio agli altri modi d’essere nel mondo. Questo genera in me ansie e resistenze: la costruzione della mia persona come “genere maschile” non è stata completata, oppure è stata ridotta a rovina, oppure abito il genere maschile come fosse rudere (sono di Roma…), oppure sono come quelle ville sull’Appia Antica costruite con il gusto della commistione fra architetture antiche e moderne. Comunque sia, come si sosterrà questa struttura se leverò quella colonna antica, ereditata dai miei padri, che sembra reggere (così mi hanno convinto educazione, modelli e censure) l’integrità della mia persona?
Le dimensioni della violenza
Sul tema della violenza maschile contro le donne, insieme ad altri uomini, da soli e in gruppo, abbiamo preso posizione e ci siamo confrontati (vedi box), partendo dall’idea che il problema della violenza non riguardasse figure devianti, ma uomini che si muovono all’interno di categorie del maschile generalmente condivise.
Mi preme ora non tanto riportare le proposte emerse da queste iniziative, quanto una perplessità che sento nel constatare come, nonostante le attività avviate, ancora non si veda un coinvolgimento maschile forte, una messa in gioco di energie tali da avviare un processo di vera trasformazione. Avverto insomma una resistenza maschile, nella coscienza e nelle emozioni, che sabota in me un maggiore impegno e in altri la disponibilità all’ascolto.
“Violenza degli uomini contro le donne” evoca gravi abusi ma anche piccole prevaricazioni e di questi diversi ordini logici bisogna tenere conto, per non calibrare le proposte di cambiamento solo sugli stati d’eccezione. E’ necessario poi riflettere anche sugli atteggiamenti che, come uomini, possiamo più o meno consapevolmente assumere verso il non-maschile, ovvero verso quelle condizioni in cui è proprio un maschio a compiere l’apostasia della religione tradizionale maschile, nei comportamenti (l’omosessuale, l’effeminato) o addirittura nel corpo (il travestito, il transessuale).
Quindi, la violenza si realizzerà in una dimensione materiale o immateriale: ad essere violata potrebbe essere l’integrità dell’altrui corpo, ma anche il suo campo d’autodeterminazione e libertà. Corpo, linguaggio, politica, prassi, cultura, spazi leciti e non leciti: le dimensioni dove rintracciare la mancanza di equità sono molteplici e intrecciate.
L’immobilità identitaria
Chiamati a interrogarsi sulle radici della violenza, alcuni uomini ne individuano il fondamento nella tradizione culturale, altri nel corredo biologico, altri ancora si tengono in equilibrio fra natura e cultura. Tutti quanti corriamo così il rischio di irrigidirci in un’immutabilità identitaria: testimoniamo senza accorgercene un’impotenza irriflessiva e non cogliamo l’opportunità di un apprendimento trasformativo.
Così, invece di stimolare un ripensamento, il discorso sulla violenza maschile diventa il solo ambito entro il quale come maschi riusciamo a fare ammenda. Quando però si cominciano a mettere in discussione le strutture profonde che stanno dietro la violenza, cade il senso di approvazione, autorevolezza e persino legittimazione politica da parte di non pochi uomini.
Come osserva Stefano Ciccone in Oltre la miseria del maschile: “Un uomo che sceglie di investire nella riflessione sulla propria identità sessuata appare ancora oggi, soprattutto nel nostro Paese, un po’ strano, mentre se questa scelta è dettata da una presa di responsabilità nei confronti della violenza o dell’oppressione verso le donne, la sua autorevolezza e la sua virilità ne vengono incrinate”. Partecipare a un gruppo d’autocoscienza insomma sull’identità maschile vorrebbe dire apparire nel senso comune non-proprio-uomo. A nostro parere invece, biasimare la violenza senza mettere in discussione l’identità maschile non può bastare.
Riconoscersi oppressi
La richiesta delle donne di ripensare i ruoli è vista come unilaterale, senza coglierne l’aspetto di reciproca opportunità.
Neghiamo così a noi stessi la possibilità di riconoscerci come oppressi, esiti di una pedagogia del maschile che ci costruisce con violenza morale e fisica. Abbiamo infatti imparato perfino a incorporare i presupposti del maschile tradizionale, cioè a costruire il nostro corpo e le sue relazioni con il mondo in maniera tale che non fossero espressione di esperienze ed emozioni, ma solo strumenti.
Ci appelliamo alla Natura, ma forse difendiamo solo la nostra sicurezza psicologica e l’omertà delle emozioni, quando pensiamo che l’uomo vero non piange, non sente la stanchezza, controlla il suo eros ed è impenetrabile alle emozioni come una macchina da guerra.
In realtà, ciò che questi dispositivi culturali difendono, e quindi confermano, è una precarietà e un’insicurezza nell’essere corpo maschile. Anche quando siamo politicamente corretti, ci riserviamo spazi e comportamenti dove approfittare dei privilegi ereditati, per sfuggire a quel senso di incompletezza che, se pure attiene alla condizione umana, si articola in modo peculiare quando la si sperimenta dal punto di vista maschile.
La sacralità della Tradizione
Alcune volte una sensazione implicitamente mistica mi anima quando sono sulla difensiva su certi argomenti che riguardano il maschile. Difendo una tradizione che non può essere messa in discussione, e che vivo in modo rassicurante come un fluire metafisico e archetipico perché riferito ad un Uomo come è stato e come sarà sempre. Trascendente e non verificabile, questo tabù è capace di sedare le angosce della libertà, dell’autodeterminazione, del cambiamento e della conseguente assunzione di rischio.
Sto leggendo Adorno e con la spericolatezza del dilettante lo introduco nel discorso. In Minima moralia l’esponente della Scuola di Francoforte individuava lucidamente una delle contraddizioni della società del Novecento: con la scusa di una natura indeformata, “là dove finge di essere umana, la società maschile educa nelle donne il proprio correttivo e rivela, attraverso questa limitazione, il suo volto di padrone spietato”, tornando così “a rigettare la dedizione femminile nella situazione della vittima sacrificale da cui ha liberato le donne”. Donna e uomo perdono così non solo “la possibilità oggettiva” ma anche “l’attitudine soggettiva” alla realizzazione di sé e al raggiungimento del piacere, che “appartiene solo al regno della libertà”. Quella reciproca “dedizione illimitata di sé” di cui parla Adorno, alla base del piacere, è ostacolata tanto nella donna, quando è oppressa, quanto nel maschio, quando opprime, e viceversa.
Perché la donna viene usata ancora oggi come vittima sacrificale dell’uomo? Quale è il sacrum facere nelle relazioni fra uomini e donne? Cosa c’è di sacro, maledetto e benedetto insieme, nei generi sessuati?
Non so trovare risposte, ma mi domando quanto la violenza prevaricatrice maschile sia inevitabile e costitutiva del sacro. Dietro potrebbe esserci un irrigidimento, una difesa, una paura del singolo, ma anche uno strumento politico per ottenere, in nome della salvaguardia del sacro, l’indiscutibile e conveniente statuto d’essere difensori d’una qualche verità, in questo caso della supremazia dell’Uomo sulla Donna.
Il sacro è stato da sempre colonizzato da poteri che ne hanno usurpato il nome, che si sono autocertificati come unici garanti dell’esperienza religiosa caratterizzandola con simboli, codici e finalità moralisti, obbligati e indiscutibili. Contro la violenza di questi poteri, anche nell’ambito delle relazioni fra i generi alcune voci chiedono l’abolizione del sacro , come se il sacro appartenesse in sé ed esclusivamente ad una civiltà da cambiare. Individuo anch’io l’artificiosità di molte fabbricazioni culturali attorno all’esperienza del sacro, ma pongo alla base della mia ricerca l’idea che il sacro non sia un attributo di qualcosa di esterno a noi, ma un’emozione interiore individuale, quand’anche raccontabile e condivisibile. Esso entra in gioco quando si vuole proteggere qualcosa a cui si attribuisce grande valore, carattere di fondatività e estrema fragilità, in questo caso l’idea tradizionale del maschile. Allora l’interrogativo diventa come conservare la libertà di emozionarsi sacralmente senza procedere violentando la libertà dell’Altro, e con quali pratiche di libertà esprimere di volta in volta armonia e conflitto, predominanza e arrendevolezza, talento e incapacità.
 

Jim Morrison

Frasi di Jim Morrinson

Vivi la vita attimo per attimo, come se fosse l'ultimo


L'idea di essere libera terrorizza la gente, che si aggrappa alle proprie catene e avversa Chiunque tenta di distruggerle. Sono la sua sicurezza

Meglio una triste verità che una bellissima bugia

Tutti finiamo per dimenticare la nostra vera essenza, per cancellare le nostre individualità, e stiamo appiccicati alle nostre maschere ignorando per sempre il nostro vero "io". E se qualcuno ce lo fa notare, arriviamo a odiarlo: crediamo che sia pazzo, o che voglia violare i nostri più riposti segreti

Spesso veniamo amati per ciò che sembriamo, per ciò che fingiamo di essere. E per mantenere l'amore di qualcuno, continuiamo a fingere, a recitare una parte, finendo così per rendere la finzione autentica a noi stessi

Tra il reale e l'irreale c'è una porta: quella porta siamo noi

Quando la guerra sarà finita, saremo troppo stanchi per goderci la vita

A questo mondo siamo come attori sciolti dalla catena per andare alla ricerca di un fantasma, alla ricerca interminabile dell'ombra semi dimenticata della nostra realtà perduta

Quando ti sveglierai e non vedrai più il sole, o sarai morto o sarai tu il sole

Voglio essere libero di provare ogni cosa, voglio sperimentare tutto, almeno una volta

Vivi come se dovessi morire domani. Pensa come se non dovessi morire mai

La felicità è fatta d'un niente che al momento in cui lo viviamo ci sembra tutto

Un giorno piangevo perché non avevo le scarpe, poi vidi un uomo senza piedi e smisi di piangere

Il sesso può essere una forma di liberazione, ma può anche essere una trappola. Tutto sta nella capacità di dare ascolto ai nostri più reconditi desideri

Dicono che sbagliando s'impara, allora lasciatemi sbagliare

C'è una grande differenza tra la ribellione, e il fatto di rifiutare un qualcosa. Ribellarsi significa contrapporre con dignità e identità a ciò cui ci si ribella; il rifiuto è solo una fuga senza responsabilità

Non si può dire di aver vissuto se prima non si è provato ciò che è proibito

Non lasciare che le lacrime attraversino il tuo viso, perché la gente è cattiva e sulle rovine delle tue sconfitte, costruisce i muri delle sue vittorie

Per molti, anche la sessualità è una catena dell'oppressione sociale: vivono il sesso convenzionale come copertura dei propri veri istinti

La più importante accezione del termine "libertà" consiste nel riuscire davvero ad essere se stessi. Tutti vengono a patti con la realtà per acquisire un ruolo, tutti barattiamo i nostri sensi per avere approvazione sociale. Rinunciamo alla nostra autenticità interiore per averne in cambio una maschera da indossare

Ho dato tutto ciò che potevo, sono un poeta che racconta le sue storie e che canta i suoi versi. Se volete ascoltarmi tutti insieme, andremo lontano; se non vorrete ascoltarmi…

Chi vuole la libertà deve essere pronto a rinunciare a tutto, non solo alla ricchezza: tutte le puttanate che ti hanno insegnato, tutto il lavaggio del cervello che ti ha fatto la società. Devi liberarti di tutto ciò, se vuoi passare al di la della barricata. La maggior parte delle persone non sono disposte a un cambiamento cosi' radicale

La liberazione interiore è la sola cosa per cui valga la pena morire, la sola cosa per cui valga la pena vivere

Gli individui sono stati educati alla paura di se e dei loro sentimenti. Tutti parlano di amore, ma è una parola vuota: in realtà si ha paura dell'amore e dei sentimenti, perché sono elementi perturbatori e possono portare sofferenza. Per cui gli individui recitano l'amore, che in quanto messinscena non può destabilizzare ne portare sofferenza

C'è stato un periodo in cui bevevo moltissimo. Ero troppo sotto pressione e non ce la facevo. E poi credo che bere sia un modo per rendere sopportabile la vita in una situazione di sovraffollamento e anche una conseguenza della noia. So che molti devono perché si annoiano. Amo bere. Talvolta stimola la conversazione, perché le persone si sciolgono. E' un po' come il gioco d'azzardo: si esce di casa per passare la serata a bere e non si sa dove ci si ritroverà il giorno dopo!!

Impara a dimenticare

Se per vivere devi strisciare, alzati e muori

Il sesso è zeppo di bugie. Il corpo cerca di dire la verità, ma viene represso dalle regole sociali e finisce per legarsi alla finzione, paralizzandosi nella menzogna

Solo chi non conosce il dolore, può ridere di chi soffre

I dubbi te li crea la libertà

Quando imparerai a fregartene della gente, solo allora sarai grande

Forse l'amore è soltanto uno tra i numerosi espedienti che abbiamo a disposizione per riempire il nostro vuoto esistenziale, per superare provvisoriamente le vacuità della nostra vita

Sperimenta tutto quello che c'è, tutte le strade del possibile, non porti limiti, e via via mettiti in relazione con il resto del mondo: così facendo, finirai per trovare la tua vera identità

Incontrami per la città, mentre vago per la città, in cerca di qualcosa che non so, incontrami e sorridimi, poi va per la tua strada

Nelle tue braccia ho trovati un'isola, nei tuoi occhi un paese - braccia che incatenano occhi che mentono

Esiste un motivo sul fatto la poesia mi attira cosi' tanto: perché è talmente eterna!! Finche' ci saranno persone , ci sarà qualcuno in grado di ricordare parole e combinazioni di parole. Poesie e canzoni potrebbero essere le uniche cose in grado di sopravvivere ad un olocausto

I sogni sono come le stelle, basta alzare gli occhi e sono sempre là

Ascoltando attentamente il nostro corpo, allarghiamo la portata dei nostri sensi. Il corpo diviene la gabbia dell'anima, se non riusciamo a sviluppare completamente i cinque sensi facendone così le finestre dell'anima. Quando la sessualità riesce a coinvolgere totalmente i sensi, raggiunge l'estasi di un'esperienza mistica

Non arrenderti mai, perché quando pensi che sia tutto finito, è il momento in cui tutto ha inizio

Alcuni dicono che la pioggia è brutta, ma non sanno che permette di girare a testa alta con il viso coperto dalle lacrime

La vera felicità non è in fondo a un bicchiere, non è dentro a una siringa: la trovi solo nel cuore di chi ti ama

Lasciati fotografare l'anima, e fissare i tuoi percorsi su un eterno rullino

Dentro ciascuno di noi c'è un'intera zona di immagini, emozioni e sentimenti, inespressa nella vita quotidiana. Talvolta, quando questa zona d'ombra riesce faticosamente a riemergere e a manifestarsi, finisce per assumere forme oscure e perverse. E' per l'appunto il nostro "lato oscuro", e scoprendolo ciascuno ravvisa in se le medesime perversioni. E' il riconoscimento di forze primordiali che raramente emergono alla luce del giorno

Se le persone che parlano male di me, sapessero quello che dico io di loro, parlerebbero peggio

Quando morirò andrò in paradiso, perché l'inferno l'ho già vissuto quaggiù

Credo che il serpente sia l'incarnazione di tutti i nostri timori!

Non ha importanza che una cosa sia vera, l'importante è crederci!

Fuoco, cammina con me!

Non ho chiesto a nessuno di nascere, perciò lasciatemi vivere come voglio

Mi considero un essere umano intelligente e sensibile con l'anima di un buffone. Ed e' questa che prende il sopravvento nei momenti più importanti mandando tutto a puttane !!

L'essere umano oggi teme la sofferenza, ma teme ancora di più la morte. E' strano che si tema di più la morte, poiché la vita è sofferenza, e quando la morte arriva la sofferenza cessa

Loro hanno i fucili, ma noi abbiamo le "canne".

Amare significa pensare intensamente a qualcuno, dimenticando se stessi

Beato chi non avrà sogni da realizzare, perché non sarà mai deluso

Darei la vita per non morire

La gente cerca di nascondere la propria sofferenza, ma sbaglia. Si è consapevoli di se soprattutto attraverso la cognizione del proprio dolore. Ciascuno dovrebbe rivendicare il diritto al proprio dolore

Darei tutti i miei giorni per un unico ieri

Ciascun giorno è farsi un giro nella storia…

Io sono così perché rispecchio quello ho dentro

Datemi un sogno in cui vivere, perché la realtà mi sta uccidendo

Quando imparerai a fregartene della gente, solo allora sarai grande

Parole mi hanno ferito, parole mi guariranno

Non voglio morire di vecchiaia, o di overdose, o andarmene nel sonno. Non voglio scivolare via da questa vita senza accorgermene, perché voglio sentire com'è. Voglio assaporarla, la morte, ascoltarla arrivare e gustarla fino in fondo

IL VALORE DELLA LIBERTA'





Oggi tutti parlano di libertà senza però precisare il suo vero significato. La libertà è un sentimento umano che si può manifestare in determinati modi: senso di oppressione, paura, timore di dire la propria opinione agli altri. Ma oggi la nostra storia non è di certo come quella che noi conserviamo e conserveremo per sempre dentro di noi: tanti uomini, donne e bambini ebrei venivano rinchiusi nei campi di concentramento dove chi riusciva a salvarsi e a sopportare le atrocità era considerato un uomo fortunato a cui era avvenuto un miracolo. Insomma, era come una vera e propria lotta alla sopravvivenza. Tutta quella povera gente aveva almeno un minimo di speranza di trovare magari la libertà un giorno, ma dall’altra parte temeva di poter morire in ogni momento e vedeva come la sua libertà veniva calpestata sotto i piedi sempre di più ogni giorno che passava. E non potremo mai capire com’era immenso il loro sentimento di angoscia e frustazione, specialmente per i bambini. Vedendo un film intitolato “Il bambino con il pigiama a righe”, film troppo commovente e triste, mi sono resa conto di quanto sia importante la parola libertà. Basti pensare che una volta tutte le donne erano completamente escluse dal diritto di voto, non potevano prendere parte a niente, neanche a svolgere un lavoro. E la loro sensazione di sentirsi isolate, fuori dal mondo era per loro un fatto terribile soprattutto perché anche a mio parere, tutto questo era inutile e non trovo il perché loro non debbano votare o lavorare. Erano tempi in cui l’uguaglianza non veniva minimamente presa in considerazione e si credeva che solo gli uomini erano capaci di votare, di svolgere qualsiasi attività importante, mentre il compito delle donne era solo quello di occuparsi della propria casa. Se pensiamo a tutto questo possiamo capire davvero il significato della parola libertà e ci possiamo ritenere abbastanza fortunati in quanto ai nostri tempi la concezione della vita su vari aspetti è mutata completamente. La libertà è un valore troppo grande: non perdiamolo mai di vista.

Pra se pensar ....

Desespero anunciado

Desespero anunciado Para que essa agonia exorbitante? Parece que tudo vai se esvair O que se deve fazer? Viver recluso na pr...