IL buon pastore... la porta... entrare.. uscire...
Questa similitudine disse loro Gesù, ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro.
Noi il più delle volte non capiamo le parole di Gesù, perché Gesù ci parla di cose più grandi di noi, perché Gesù con le sue parabole si propone di farci conoscere i misteri del Regno dei Cieli (Mt 13, 11). Noi che siamo più che altro attaccati alle cose della terra e poco familiari con quelle del cielo, facciamo molta fatica a capirLo. E facciamo anche fatica a capirLo perché nella nostra mente c'è poca luce e molta confusione. Allora Gesù, che ci vuole bene, racconta delle storie in cui ci sono cose che riusciamo a capire; queste sono simili ad altre che non riusciamo ancora a capire, ci aiuta così a compiere il passaggio dalle cose che conosciamo a quelle che non conosciamo.
Un altro motivo per cui Gesù parla spesso in parabole è per nascondere i misteri o i tesori del Regno a coloro che non meritano che vengano loro manifestati (Mt 13, 13). Così, quelli che dimostreranno buona volontà nel cercare di comprendere quanto dice il Signore verranno illuminati, mentre quelli che non si impegnano, non pregano, non vogliono fare nessuno sforzo per comprendere la Parola di Dio o, peggio ancora, disprezzano le cose di Dio, rimarranno nelle tenebre.
Rimane il fatto che il brano di Vangelo che abbiamo ascoltato non è di facile comprensione. Il rischio di fare un po' di confusione c'è. Sant'Agostino, un giorno che doveva spiegare alla sua comunità questo stesso Vangelo, ha sentito il bisogno di rivolgersi ai suoi ascoltatori più o meno con queste parole: "Quando avrò spiegato, secondo le mie forze, queste parole, può darsi che non riesca a farmi capire, o perché il significato di queste parole è ben nascosto, o perché io non ne ho capito bene il significato, oppure perché non sono capace di spiegare quello che ho capito, o infine perché qualcuno di voi ha difficoltà a capire; chi avrà difficoltà a capire non si scoraggi, creda nelle cose che non capisce, e il Signore al momento opportuno lo illuminerà".
Il buon Pastore viene a cercare le sue pecore
Potremmo tentare di riassumere l'insegnamento principale del Vangelo che abbiamo ascoltato con queste parole: c'è un pastore buono che vuole venire a cercare le sue pecore per portarle al pascolo; per entrare nell'ovile dove le pecore sono radunate deve passare attraverso una porta e questa deve essergli aperta da un guardiano o portinaio. Quando il guardiano apre, le pecore possono sentire la voce del pastore che chiama ognuna di loro per nome; le pecore che ascoltano la voce del pastore escono dall'ovile e lo seguono. Seguendo il buon pastore, troveranno senz'altro di che sfamarsi. Un'altra cosa importante che viene detta a proposito del pastore è il suo grande amore per le pecore. Esso è tanto grande che sarebbe disposto a morire per difenderle dai nemici.
Questa storia, che tutti siamo in grado di capire, è simile ad un'altra che invece facciamo molta fatica a comprendere. Quest'altra storia è quella dell'amore di Dio per ognuno di noi. La parabola allora, incomincia col dirci a parole quello che Gesù sulla croce ci dirà con i fatti, vale a dire che Dio è disposto a morire Lui perché possiamo vivere noi...
Secondo le cose appena dette, e tenendo conto di alcune spiegazioni che ci dà il Signore stesso, potremmo spiegare la parabola in questo modo: nonostante le apparenze, nonostante le arie che gli uomini si danno, noi siamo in questo mondo come pecore senza pastore, ossia non sappiamo bene dove andare per trovare pascolo, non sappiamo dove andare per trovare qualche cosa che riempia veramente la nostra vita, che la nutra, che plachi la nostra fame e sete di amore, di giustizia, di sicurezza, di verità, di gioia. Inoltre, sempre per il fatto di essere pecore senza pastore, siamo esposti agli assalti dei ladri, dei briganti e dei lupi, ossia siamo in balia di chi, per il fatto che siamo deboli e indifesi, al fine di soddisfare i suoi meschini interessi, cerca di approfittare di noi. Questi nemici sono poi così crudeli che non esiterebbero a farci morire.
Conoscendo Dio la nostra debolezza e fragilità, conoscendo i pericoli a cui andiamo incontro, conoscendo la nostra infelicità, decide di venire in nostro soccorso, e decide di farlo passando attraverso suo Figlio, passando attraverso l'incarnazione o l'umanità di suo Figlio, per questo Gesù afferma: Io sono la porta delle pecore. Come se dicesse: - Io sono la porta attraverso la quale Dio passa per venire a salvare le sue pecore -.
Dio si presenta quindi all'uomo per salvare l'uomo con un volto umano, il volto di Gesù. Il volto di Gesù quando Gesù era su questa terra in modo visibile, e il volto dei cristiani da quando la sua presenza su questa terra non è più visibile ma nascosta. Nell'uno e nell'altro caso però, manca ancora qualche cosa perché l'incontro fra Dio e l'uomo possa avvenire. Quello che manca è l'opera del guardiano o portinaio.
Il guardiano o portinaio
Qual è il lavoro di un portinaio?... Aprire le porte. Infatti Gesù dice: Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce. Da notare che il Signore non dice: il guardiano apre ed il buon pastore entra, ma dice: il guardiano apre e le pecore ascoltano. Il buon pastore entra quando le pecore ascoltano, se il guardiano non aprisse, le pecore non potrebbero ascoltare la voce del buon pastore. Il guardiano dunque apre la porta attraverso la quale le pecore possono sentire la voce di Dio. Chi è allora questo guardiano?...
Secondo Sant'Agostino questo portinaio è il Signore stesso, e dimostra la sua affermazione facendo questo ragionamento: se il Signore non ci avesse detto chi era la porta, noi, con le nostre forze, saremmo riusciti a capirlo? Quasi certamente no; allora, come un portinaio apre una porta, così il Signore ci ha aperto il significato della porta, dicendoci che la porta è Lui stesso; è il Signore che ci ha aperto il significato, dunque, è il Signore che è anche portinaio, oltre ad essere porta e pastore.
Possiamo trovare una conferma a quanto dice S. Agostino, anche esaminando quanto è successo a San Paolo un giorno che predicava ad un gruppo di donne nei pressi della città di Filippi. Leggiamo infatti negli Atti degli Apostoli: C'era ad ascoltare, anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora della città di Tiatira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo (At 16,14). Questa donna si farà poi battezzare e diventerà cristiana.
Vediamo in questo caso come il Signore, aprendo il cuore di Lidia, ha aperto anche quella porta che le ha permesso di ascoltare la voce di Dio attraverso la voce di Paolo; se il Signore non le avesse aperto il cuore, le parole di Paolo sarebbero state per lei semplicemente umane, non parole di Dio stesso, e l'incontro con Dio non sarebbe avvenuto; invece, avendole il portinaio aperto la porta, ha potuto ascoltare la voce del buon pastore che in quel momento chiamava proprio lei.
Da quanto è stato detto si vede che per ascoltare la Parola di Dio come parola veramente di Dio, ci vuole una doppia azione: una esterna, l'altra interna. Quella esterna è l'annuncio o la predicazione della Parola di Dio, quella interna è Dio che, con la sua grazia, ci fa aderire, o accogliere, o comprendere le cose che sentono le nostre orecchie.
Le pecore vengono condotte fuori dal recinto
Questa voce o parola del buon pastore, è una voce e una parola che Dio vuole fare ascoltare ad ognuno di noi; così infatti si esprime il Signore: Egli chiama le sue pecore una per una. E chi ascolta questa voce viene condotto fuori. Fuori da dove? Dal recinto. Per andare dove? Dietro al pastore. Un buon pastore, dove conduce le sue pecore? Le conduce al pascolo. Quello che attende chi segue Gesù è dunque una bella camminata e una bella mangiata. Possiamo pensare alla moltiplicazione dei pani... alla parabola dell'invito al banchetto di nozze... al miracolo dell'acqua che si cambia in vino...
Ma che cosa vuol dire uscire dal recinto? Mentre le pecore rimangono nel recinto, godono di una certa protezione e di una certa tranquillità - finché hanno la pancia piena -, ma dopo un po' la fame incomincia a farsi sentire e lo spazio del recinto incomincia a diventare un po' stretto, non c'è molta possibilità di movimento in un recinto; si accorgono poi che le sue mura non sono così sicure, ogni tanto ladri e briganti irrompono nell'ovile, fanno razzie e seminano la paura.
Questa situazione è simile alla nostra vita in questo mondo. Anche a noi le quattro mura di questo mondo sembrano offrire, in un primo tempo, una certa protezione e tranquillità, ma col passare del tempo ed il maturare della coscienza, ci rendiamo conto che ciò che può offrire questo mondo non riesce veramente a riempirci la vita, non riesce veramente a soddisfare la nostra fame e la nostra sete. Se siamo onesti con noi stessi, dobbiamo riconoscere che rimane, nel profondo del nostro cuore, un qualche senso di vuoto, una certa insoddisfazione, un desiderio di qualche cosa d'altro, anche se non sappiamo bene di che cosa abbiamo bisogno.
Ci sono poi le paure e le insicurezze dovute ai ladri e ai briganti, quelli che rubano e ci fanno del male nelle cose materiali, e quelli, assai più pericolosi, che fanno male in vario modo alla nostra anima. Quello che Gesù vuole dirci allora con questa parabola è questo: se non ascoltiamo la sua voce, non possiamo uscire dal recinto, ma rimanere prigionieri in questo recinto significa prima o poi morire per mancanza di cibo, oppure per le angherie dei ladri e dei briganti; per uscire però, non c'è altra guida che Lui. Chi invece ascolta la sua voce, passando attraverso di Lui esce verso una meta che non è più di questo mondo. Seguendo il buon pastore si incamminerà verso un altro mondo, verso un'altra vita e, al termine del cammino, troverà veramente di che sfamarsi e di che dissetarsi, così come promette il Signore: Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.
Entrare e uscire
Quanto abbiamo appena detto ci aiuta forse a capire quello che Gesù dice al versetto 9:Io sono la porta: se uno entra attraverso me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Queste parole potremmo capirle in questo modo: passare attraverso Gesù significa entrare in un mondo dominato dalla presenza di Dio, ma entrare in un mondo dominato dalla presenza di Dio, significa contemporaneamente uscire da un mondo dominato dalla tristezza per la sua assenza o, più profondamente, dominato dalla presenza nascosta del Principe di questo mondo, vale a dire il demonio, Satana, il lupo.
La nostra salvezza consiste proprio in questo passaggio dalla ristrettezza delle cose di questo mondo, o di un mondo senza Dio, alla ricchezza e allo splendore del suo Regno; compiere questo passaggio significa anche trovare la nostra vera vita in Dio, ossia, secondo la similitudine di Gesù, trovare pascolo. Passare attraverso la porta, che è Cristo, significa anche entrare in una nuova luce, che produrrà un progressivo cambiamento del nostro modo di vedere le cose. Più entreremo nella luce di Dio più usciremo dal nostro ristretto, debole e incerto modo di vedere; in questo caso trovare pascolo significherà trovare una più ampia, più luminosa e più certa, comprensione della realtà.
La similitudine ci mostra ancora la premura e l'attenzione di Gesù per tutte le sue pecore. L'intenzione sua è di condurre fuori dalle ristrettezze e dai pericoli di questo mondo ognuno di noi. Lui non si dimentica di nessuno, e se c'è qualcuno che non sente la sua voce o non vuole uscire, è probabilmente perché è caduto sotto le grinfie del lupo, oppure di qualche ladro o brigante, oppure perché il buon Pastore non gli ha fatto ancora sentire il suo richiamo.
Si potrebbe ancora osservare che questa processione dalla terra al cielo è appunto una processione, ossia chi vi partecipa non è solo, anche se uno vivesse in un deserto sa che il Signore, insieme a lui, sta conducendo una moltitudine di fratelli verso i pascoli eterni, e la festa del banchetto eterno lo ricompenserà ampiamente di tutte le fatiche patite durante il viaggio.
Seguire Gesù nella fede
Una volta che le pecore sono state messe in movimento, il Signore cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Le pecore Lo seguono... Questo vuol dire che non sono loro a stabilire quale dovrà essere il percorso, quale l'andatura, quando fare una tappa e quando ripartire. Inoltre, se il pastore cammina davanti e loro lo seguono, significa che non vedono il suo volto mentre camminano, ma solo le sue spalle. Se non vedono il suo volto, hanno però imparato a conoscere la sua voce.
Così è per noi che stiamo camminando da questo all'altro mondo seguendo Gesù; non vediamo il suo volto ma solo le sue spalle, ossia camminiamo nella fede e non ancora in visione (2 Cor 5, 7); È per il dono della fede che siamo in grado di riconoscere la sua voce, ossia è per la fede che la sua Parola, ascoltata dalla bocca della Chiesa, diventa il criterio regolatore della nostra vita. È per la fede che riusciamo a discernere, nel variare delle situazioni della vita, quando il Signore vuole farci andare a destra o a sinistra, è per fede che accettiamo quello che ci accade come espressione della sua volontà sapendo che, in qualunque situazione ci troviamo, proprio perché stiamo seguendo un pastore buono, il suo aiuto non ci mancherà. L'occhio di un buon pastore vigila in continuazione sullo stato delle sue pecore.
Camminando nella fede, essa cresce ed il nostro orecchio diventa sempre più sensibile alla voce del pastore. Con l'aumentare della capacità di cogliere la Parola di Dio e di aderirvi, aumenta anche la nostra capacità di resistere alle voci che non hanno il carattere o il timbro dei richiami di Dio. Per questo il Signore dice: Un estraneo non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei. I discepoli di Gesù non vogliono aderire alle voci che non sono secondo Dio. È poi abbastanza evidente che seguire Gesù è cercare di mettere in pratica i suoi insegnamenti, ossia comportasi come Lui si è comportato; dice infatti Gesù: Imparate da me che sono mite e umile di cuore (Mt 11,29).
Il Signore ci chiede soprattutto di essere umili, cioè non orgogliosi, né arroganti, né prepotenti, e di agire in ogni circostanza con mitezza, ossia con dolcezza e senza agitazione. Così, tutti i richiami, esteriori o interiori, che ci invitano a praticare o a crescere nella virtù dell'umiltà, hanno il timbro o il carattere della voce del buon Pastore; mentre tutti i richiami, esteriori o interiori, che ci spingono all'orgoglio, all'arroganza, alla prepotenza, alla cattiveria, all'agitazione, sono voci estranee, voci che dobbiamo imparare a fuggire perché non sono secondo Dio. Quanto detto per l'umiltà e la mitezza vale anche per ogni altra virtù che il Signore ha praticato e ci chiede di praticare. Secondo queste riflessioni potremmo dire: ogni voce o richiamo che ci invita alla virtù, o a perfezionarne la pratica, ha il timbro della voce del buon Pastore; al contrario, ogni voce che ci distoglie dalla pratica della virtù e ci spinge al vizio, è la voce degli estranei.
Volendo fare ancora alcuni esempi potremmo dire: in un mondo in cui più che gli onesti hanno successo i disonesti e gli imbroglioni, ogni buon esempio, ogni buona parola che incoraggi a praticare l'onestà e la rettitudine in ogni circostanza, è una voce che, accolta nella fede, diventa la voce di Gesù stesso. In un mondo in cui si trova spesso poca comprensione verso chi sbaglia o ha sbagliato gravemente, ogni atteggiamento di comprensione e di misericordia, ogni mano tesa verso chi è oppresso dalle conseguenze dei propri misfatti, è come un riflesso degli atteggiamenti e della voce del buon Pastore… Sbagliare, e sbagliare gravemente, è tipico dell'uomo, chinarsi con misericordia sull'uomo per curarne le ferite è tipico di Dio e di coloro che sono abitati dal suo Spirito.
A proposito di queste ultime riflessioni, conviene ancora osservare che non possiamo mettere in pratica gli insegnamenti di Gesù o comportarci come Lui si è comportato, se non conosciamo i suoi insegnamenti e i suoi comportamenti, e questi li possiamo imparare sia leggendo o ascoltando il Vangelo, sia dal buon esempio di coloro che cercano con onestà e impegno di viverlo ogni giorno. Così, conoscendo i suoi insegnamenti ed i suoi esempi, anche di noi il Signore potrà dire: Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me.
La perfezione con la quale Gesù ci ama
La frase di Gesù continua in questo modo: Come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. Queste parole ci fanno intravedere la perfezione e l'intensità dell'amore di Dio per noi. Dio non può che operare in modo divino, vale a dire, Dio conosce come solo un Dio conosce, Dio ama come solo un Dio ama, e qui Gesù ci dice che la stessa perfezione di conoscenza e di amore che c'è all'interno della Trinità fra il Padre e il Figlio, fra il Figlio e il Padre, questa stessa perfezione Gesù la applica per amare noi; e una delle caratteristiche dell'amore, di quello vero, è che colui che ama alla persona amata vuole donare tutto; tutte le sue ricchezze ma soprattutto tutto se stesso, per questo Gesù dice: E offro la vita per le pecore.
Questa dichiarazione d'amore di Dio per noi è magnifica, ma è anche estremamente pericolosa. Pericolosa sia per Lui che per noi. Il pericolo deriva da questa proprietà del vero amore: un amore che dona tutto, chiede anche tutto. In altre parole si può dire: all'amore bisogna rispondere con l'amore, a un amore totale bisogna rispondere con un amore totale. Quando questo accade si realizza lo splendore dell'amore, lo splendore della vita, lo splendore della gioia e della pace; ma se questo non accade si ha allora la crocifissione dell'amore, Gesù sulla croce, l'Amore crocifisso. Le parole di Gesù: E offro la vita per le pecore, alludono anche o preannunciano già la sua crocifissione, ossia, fin dove arriva il suo amore per noi e fin dove arriva il nostro non amore per Lui. Ed allora la croce è l'estremo tentativo di convertirci all'amore. Come se Gesù ci dicesse: - Vedi fin dove arriva il mio amore per te?... Vedi che cosa tremenda succede se anche tu non mi ami?... Vedi quanto ho sete, sete del tuo amore... sete della tua salvezza, sete della tua gioia... -.
Il rischio che corriamo è quindi quello di far soffrire Gesù che ci ama, e lo facciamo soffrire se trascuriamo le iniziative del suo amore, o troppo a lungo vi resistiamo. Se poi lo rifiutiamo in maniera definitiva lo facciamo morire, ma se Lui muore nel nostro cuore, prima o poi moriremo anche noi, e resteremo morti per sempre, mentre Lui risorgerà perché la morte non può vincere il Signore della vita.
L'unità di coloro che sono in cammino verso il Cielo
E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Quando Gesù pronunciava queste parole era visto ed ascoltato solo dalla gente di Israele, tuttavia Lui non era venuto solo per Israele, ma per tutti gli uomini. Tutti gli uomini Lui vuole condurre fuori dall'ovile, tutti gli uomini vuole condurre dalla terra al cielo. Allora, anche se gli uomini non godono più della sua presenza visibile, sempre Lui è presente ed operante nelle parole e nelle opere di coloro che annunciano e vivono il suo Vangelo; così che, mediante l'opera esterna di coloro che annunciano, e l'opera interna di Lui che apre ed illumina i cuori, anche noi, che non Lo abbiamo visto con i nostri occhi, possiamo ascoltare la sua voce.
Questa voce crea una nuova unità nel genere umano, non più l'unità di chi parla la stessa lingua, di chi appartiene ad una stessa regione o a una stessa nazione, ma l'unità di chi, avendo ascoltato ed accolto Gesù, è uscito con il suo cuore dalle ristrettezze di questo mondo e si è incamminato, dietro a Lui, verso i pascoli del Cielo. E come unica è la voce, unica la dottrina, unica la meta, unico colui che conduce alla meta, così unico deve essere il rappresentante visibile del buon pastore. Chi vuole ubbidire sia alla voce interiore che a quella esteriore dell'unico pastore, camminerà sicuro e giungerà alla meta, mentre chi non vuole ascoltare la sua voce rimarrà chiuso nel recinto e subirà le razzie dei ladri e dei briganti, perché la scarsa protezione che può avere dai mercenari non sarà sufficiente a preservargli la vita, soprattutto se è minacciata dal sopraggiungere del lupo.
I nemici
Parlando dei ladri, dei briganti e del lupo, Gesù vuol farci riflettere sui nemici delle pecore, ossia sui nostri nemici. Dice che il comportamento caratteristico dei ladri e dei briganti consiste nello scavalcare i muri, ma se scavalcano i muri non entrano per la porta. Questa similitudine offre alle pecore un criterio per distinguere un ladro o un brigante dal buon Pastore.
Così, chiunque si presenti come guida o salvatore dell'uomo promettendo: felicità, benessere spirituale, accrescimento delle facoltà mentali, esperienze non comuni, estasi di vario genere, nuove vie, nuovi mondi, nuove ere, ordini sociali finalmente caratterizzati da giustizia e rettitudine…, se costoro, nel promettere queste cose non passano per Gesù Cristo e non vogliono far passare per Gesù Cristo, sicuramente non cercano il bene degli uomini ma, come ladri, agiscono in modo illecito per accrescere le loro ricchezze derubando chi incautamente li ascolta; e rubano il loro tempo, risorse materiali e spirituali, la vita stessa. Chi li ascolta e li segue andrà in rovina.
Di questi il Signore afferma: Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti. Se fossero venuti passando attraverso di Lui e con l'intenzione di far passare gli uomini attraverso di Lui, il Signore non li avrebbe qualificati come ladri e briganti. Con altre parole potremmo dire: gli uomini non incontrano veramente chi li liberi e li salvi se non incontrano Gesù Cristo. Tutti i liberatori e tutti i salvatori che incontrano prima di incontrare Gesù non hanno il potere di liberarli e di salvarli veramente, hanno solo il disonesto potere di rubare la loro fiducia per condurli alla rovina. San Pietro afferma con forza che Gesù è l'unico Salvatore dicendo: Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale è stabilito che possiamo essere salvati (At 4,12).
Sia lungo la storia, sia ai nostri giorni, molti sono i drammi nella società e nelle famiglie, provocati dagli eretici, dai capi di varie sette, da maghi e maghe, da imbroglioni senza scrupoli, da agitatori sociali… A proposito degli eretici, degli aderenti a certe sette, e a volte anche dei maghi, nei loro confronti si potrebbe in un primo tempo essere incerti; l'incertezza è dovuta al fatto che nei loro discorsi sembrano parlare con convinzione di Dio e di Gesù Cristo, ma parlare di Dio e di Gesù Cristo non basta, bisogna parlarne correttamente e secondo verità. Ne parla secondo verità chi ha l'approvazione delle autorità ecclesiastiche, dove non c'è questa approvazione, c'è qualcuno che non sta passando per la Porta ma sta scavalcando i muri.
Il Signore continua dicendo: Ma le pecore non li hanno ascoltati. Chi conserva nel cuore un autentico desiderio della vera salvezza, della vera liberazione, della vera vita, ha in sé qualche cosa che gli impedisce di dare ascolto, di aderire e di seguire chi si presenta nelle vesti di pastore o di salvatore, ma in realtà è un ladro e un brigante: Coloro nei quali questi desideri si affievoliscono o si corrompono rischiano invece di cadere vittime di cattivi pastori, di falsi salvatori o di mercanti di sogni e illusioni; la cosa più grave che può capitare loro è diventare incapaci di riconoscere la voce ed i richiami dell'unico e vero buon Pastore, rischiano così di trasformarsi in incorreggibili caproni e di venire esclusi dal Regno di Dio.
Il lupo
Un altro nemico di cui parla il Signore è il lupo. In questa parabola il lupo rappresenta il più terribile nemico che le pecore possano incontrare. Viene anche detto che il suo modo di agire consiste nel rapire e nel disperdere; stranamente non viene detto che il lupo uccide o sbrana le pecore, ma solo che le rapisce e le disperde. La ragione è forse perché questo lupo è figura di qualcun altro, di qualcuno che di fatto lotta con la forza e la ferocia del lupo, ma la sua ferocia è piuttosto nascosta e non immediatamente riconoscibile, è un lupo travestito da agnello.
Così, gli uomini che sono in cammino da questo all'altro mondo, che ne siano consapevoli o no, hanno bisogno di difendersi e di venir difesi da un nemico più forte di loro. L'intenzione di questo nemico è di impedire il loro arrivo nella patria celeste; colui che lotta con accanimento perché gli uomini non raggiungano il Paradiso è il diavolo, il più terribile nemico dell'uomo.
Il fatto che questo nemico sia più forte di noi è, come vedremo, piuttosto un vantaggio che uno svantaggio. Ci viene intanto detto che la sua strategia è di rapire e di disperdere. La strategia del demonio infatti è quella di rapire, con svariati mezzi, la nostra attenzione da tutto ciò che ci orienta e ci conduce verso il cielo, o verso il nostro vero bene, o verso la nostra vera felicità. Si propone in questo modo di distoglierci dal fine ultimo e definitivo della nostra vita, se vi riesce, la nostra esistenza viene privata del suo fondamentale punto di riferimento; di conseguenza, tutte le nostre forze vengono disperse nella confusa ricerca di qualche cosa che, in fondo, ci lascerà insoddisfatti.
Che poi il demonio sia più forte perché molto più intelligente di noi, torna a nostro vantaggio in quanto contribuisce a toglierci l'illusione di potercela fare da soli a trovare e percorrere la via che conduce alla felicità. Sapere che qualcuno ha il potere di farci del male fino a rovinarci per sempre, ci spinge a cercare rifugio e protezione presso chi è venuto proprio per distruggere le opere del maligno, Gesù, il buon Pastore che, per difenderci dal Demonio, offre la vita per noi. Così, se vogliamo camminare da soli, è più forte il Demonio, se invece ascoltiamo la voce del buon Pastore e gli andiamo dietro siamo più forti noi, e il demonio non può farci proprio niente di male. Il Signore ci difenderà dandoci forza e sapienza per non cedere ai suoi inganni.
Il mercenario
Non così il mercenario che, quando vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge. Il mercenario è comunque qualcuno che è stato chiamato a custodire le pecore. In parte compie il suo lavoro, ma solo fino a quando le cose procedono senza pericoli, fino a quando non ci sono nemici all'orizzonte, ma appena questi si presentano e lui dovrebbe faticare, lottare, pagare di persona per difendere le pecore, fugge e si sottrae al suo dovere.
Potremmo vedere in questo mercenario una figura di tutti coloro che sono stati chiamati, in vario modo, a governare piccole o grandi comunità umane e svolgono in maniera insufficiente il loro compito. Così, dal capo di una famiglia, al capo di un comune, di una regione o di una nazione, o in campo ecclesiastico da chi governa una parrocchia, o una diocesi, o la Chiesa intera: tutte queste persone, nell'esercitare la loro funzione di governo, a seconda del loro comportamento, possono assomigliare al buon Pastore oppure al mercenario. E se chi governa dovrebbe prendere Gesù come modello, i sudditi dovrebbero pregare il padrone della messe perché mandi veri operai nella sua messe, e nella società civile governanti onesti e competenti. Così, sia il buon andamento della società civile che di quella religiosa dipendono, in varia misura, da chi governa e da chi è governato.
Io offro la mia vita per poi riprenderla di nuovo
Gesù si avvia al termine del suo discorso con queste parole: Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Le parole: Io offro la mia vita, significano che Gesù andrà volontariamente a morire per noi, non costretto cioè da nessuno se non dal desiderio di compiere il comando del Padre suo. Questo comando era che Gesù venisse a salvarci pagando Lui il nostro debito d'amore nei confronti del Padre, manifestando così fino a che punto giunge sia l'atrocità del nostro peccato, sia l'amore di Dio per noi.
Queste parole mostrano ancora che cosa dobbiamo fare per essere amati da Dio. Per essere amati da Dio dobbiamo amare come Gesù ha amato, amare Dio e gli uomini come Lui li ha amati. E Gesù fa vedere come continua ad amare anche quando gli uomini, in cambio dell'amore da Lui offerto, rispondono con indifferenza, ostilità e odio. Odio che giunge all'accecamento estremo e alla tragedia estrema di uccidere Colui che era venuto per donarci la sua vita e il suo amore. A noi che, senza di Lui, non possiamo né vivere, né trovare amore, né dare amore. Gesù ci fa vedere che continua ad amare il Padre anche quando, nel momento estremo, nel momento in cui avrebbe avuto più bisogno di aiuto, il Padre non risponde alla sua preghiera e sembra lasciarLo morire nell'abbandono più totale. Per questa sua fedeltà eroica all'amore, il Padre lo ama.
Ma le parole: Io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo non ci parlano solo della sua morte, ma anche della sua risurrezione. Se Gesù non fosse morto per noi amando e perdonando, non potremmo capire fino a che punto Dio ci ami. Se però Gesù fosse morto, ma non fosse risorto, noi cadremmo nella disperazione, perché l'indifferenza, la stoltezza, l'odio, la morte, avrebbero avuto ragione dell'amore, della sapienza, della bontà, della vita. Gesù invece, con l'annuncio della sua risurrezione, oltre ad affermare la sua assoluta signoria sulla vita e sulla morte, annuncia anche che, nonostante le apparenze, se saremo fedeli fino alla fine, vedremo l'amore vincere l'odio, la bontà vincere la cattiveria, la sapienza vincere la stoltezza, la luce vincere le tenebre, la vita vincere la morte.