Lettera di Dio agli Sposi


Lettera di Dio agli sposi 
 La creatura che hai al fianco è mia. Io l'ho creata.Io le ho voluto bene da sempre, prima di te e più di te.Per lei non ho esitato a dare la mia vita. Te la affido.La prendi dalle mie mani e ne diventi responsabile.Quando l'ha incontrata l'hai trovata amabile e bella.Sono le mie mani che hanno plasmato la sua bellezza,è il mio cuore che ha messo in lei tenerezza e d'amore,e la mia sapienza che ha formato la sua sensibilità,la sua intelligenza e tutte le qualità che trovate in lei.Ma non puoi limitarti a godere del suo fascino.Devi impegnarti a rispondere ai suoi bisogni, ai suoi desideri.Ha bisogno di serenità e di gioia, di affetto e di tenerezza,di piacere e di divertimento, di accoglienza e di dialogo,di rapporti umani, di soddisfazioni nel lavoro, e di tante altre cose.Ma ricorda che ha bisogno soprattutto di Me.Sono Io, e non tu il principio, il fine, il destino di tutta la sua vita. Aiutala ad incontrarmi nella preghiera, nella Parola,nel perdono, nella speranza. Abbi fiducia in Me.La ameremo insieme. Io l'amo da sempre.Tu hai cominciato ad amarla da qualche anno,da quando vi siete innamorati.Sono io che ho messo nel tuo cuore l'amore per lei.Era il modo più bello per dirti "Ecco te la affido.Gioisci della sua bellezza e delle sue qualità"Con le parole "prometto di esserti fedele,di amarti e rispettarti per tutta la vita"è come se mi rispondessi che sei felice di accoglierlanella tua vita e di prenderti cura di lei.Da quel momento si siamo in due ad amarla. Anzi io ti renderò capace di amarla "da Dio",regalandoti un supplemento di amore che trasformail tuo amore di creatura e lo rende simili al mio.E' il mio dono di nozze: la grazia del sacramento del matrimonio.Io sarò sempre con voi e farò di voi gli strumenti del mio amore e della mia tenerezza:continuerò ad amarvi attraverso i vostri gesti d'amore

Existencia consumada


Existência consumada



Por a fragilidade pessoal como critério de verdade e de afirmação da própria identidade e ancorar nessa os ditames de uma existência autêntica e sincera, eis  um modo para viver a serenidade de espirito e não deixar que a falsidade e as máscaras incidam em um jeito de ser e viver com fingimentos, perplexidades e mentiras.
Uma personalidade totalmente livre de engrenagens, penso ser meio difícil de encontrar, especialmente quando se preza muito pelas opiniões e pela aparência; entretanto, quando a pessoa se sente livre de ser o que é e não ter medo de se apresentar na sua mais terrível o fascinante realidade, então encontramos alguém que se pode dizer: uma pessoa autêntica,  um sujeito coerente ou uma existência livre.
Geralmente, as pessoas que são livres ou buscam viver a liberdade como tradução da própria dignidade, são destinadas a pagar um preço alto e sofrer perseguições, pois a sociedade do espetáculo não tolera quem revela a simplicidade e a espontaneidade de viver a vida. Complica-se e procura-se meios de não ser feliz, ou seja, pecamos muito em viver em função de coisas ou pessoas e esquecemos de ser feliz. Ilude-se e deseja-se o que não se tem e almeja-se ser o que não se é e tudo isso transforma a existência em um consumar-se por questões inúteis e perde-se o gosto de saborear as pequenas e reais manifestações de joia e de felicidade que se possa experimentar.
O dinamismo da experiência humana leva ao paradoxo da própria realização da pessoa como destinado à felicidade, isto é, para que uma existência seja útil e não se lamente das insatisfações e frustrações, necessita que seja uma existência consumada por razões de senso e de significado. O amor gratuito e a dedicação do próprio tempo por situações que levam os outros a viverem melhores, é o passaporte para uma vida que sente o prazer de ser vivida.
O medo de  não agradar os outros ou a pusilânime educação que incentiva a formular identidade falsa, causa dor, desesperação e perplexidade, dado que o individuo vive dividido entre o que realmente é e sente de ser e as exigências que ao longo de sua mesma vida se foi idealizando e construindo.
Chega-se um momento que se deve decidir entre a imagem de letras mortas e retratos mal elaborados e a despretensiosa fisionomia de si, que ainda que não seja a idealizada, mas é a real; nesta encruzilhada  um deve ser consciente que pode ser mal interpretado, excluído ou negado, ou seja, de pagar o preço da própria liberdade ou pode recolher os aplausos e viver na dicotomia.
Certamente existem as pessoas superficiais e que se satisfazem com a banalidade do aparecer e não entram em sincero vínculo  consigo mesmas; existem as que não prendem seriamente o próprio viver; a provisoriedade e a precariedade do ser-no-mundo não devem levar ao indiferentismo ou a lei da vantagem, mas a consumar-se por ideais e realizações que façam encontrar a própria identificação e felicidade, ainda que exija-se sacrifícios e renuncias. Para ser feliz basta ser o que se é e não o que se imagina de ser. Viver é a arte mais complexa e mais importante

L'intolleranza


L’Intolleranza



Michel de Montaigne classifica l’intolleranza come una delle cose più terribile dell’umanità.  Nel nome della ricerca di cose e di protezione e nella sfrenata fame di potere l’uomo costruisce delle realtà intolleranti e che macinano la tranquillità dell’esistenza. Allora la politica diventa assoluta e le forme di governo portano al massacro dell’altro e alla sua abiezione, chi comanda esercita una vera dittatura sul comune e inferisce l’intolleranza verso chi non è dentro del gruppo. Anche dal punto di vista dell’educazione si pratica l’intolleranza quando escludendo il dialogo e la conversazione prende via l’intellettualismo e la chiusura in una forma di conoscenza. Nel campo religioso è il dogmatismo a portare l’intolleranza, la chiusura in un modo di esercitare la fede o la marginalizzazione di quelli che non appartengono al gruppo. C’è ancora la banalizzazione antropologico e l’indifferentismo culturale che possono portare all’intolleranza, cioè da una parte vi sono i razzismi che rigettano o disprezzano i diversi e dell’altra il menefreghismo sui valori o agli altri. Queste realtà, di solito, quando si vedono minacciate o ferite nel proprio orgoglio usano di violenza e di mezzi non molto ortodossi per raggiungere i propri oggettivi, basta pensare le guerre religiose, i massacri di gruppo etnici o sociali e la dittatura della tecnologia moderna. L’intolleranza trova nella sete di potere e nella presunzione umana la sua fonte e la sua tenebrosa spiegazione, perché l’intolleranza è l’incapacità di accogliere o rispettare l’altro così come si è, così come una concezione dell’altro solo come possibilità di sfruttamento o come minaccia alla mia stabilità, allora la paura porta ad agire sempre con sfiducia o con difesa verso l’altro. 

TOLLERANZA E GIUSTIZIA


Sulla tolleranza

Ci sono due situazioni in cui si parla di tolleranza oggi, e in nessuna delle due è un valore positivo.
In un caso si tratta di tollerare caratteristiche o comportamenti che non danneggiano nessuno, come
essere omosessuali, seguire una qualche religione o appartenere a una certa etnia.
Accettare queste differenze non vuol dire essere tolleranti, vuol dire seguire le più basilari norme
del vivere civile. In questo caso anzi “tolleranza” è un termine paternalistico, quasi offensivo: dire
che chi appartiene a una minoranza deve essere “tollerato” sottintende che chi invece appartiene alla
maggioranza è in qualche modo nel giusto, ma con grande magnanimità “tollera” i comportamenti
“devianti” dalla norma. Tanto è vero che dire «io sono tollerante con gli immigrati» ha già una nota
po’ stonata, ma dire «io sono tollerante con gli ebrei» suona pericolosamente antisemita. Di più: il
termine suggerisce in modo velato che questi atteggiamenti si possano accettare solo fino a un certo
punto (va bene tollerare i gay, basta che non si bacino in pubblico. E mica si sogneranno di sposarsi
fra loro?!?).
Nell’altro caso si tratta di tollerare un comportamento che invece è dannoso: per esempio disturbare
la quiete notturna, fumare in pubblico, evadere le tasse, invadere la Polonia, eccetera.
In questo caso la tolleranza è perniciosa: i comportamenti dannosi non vanno giammai tollerati.
Questa formulazione ovviamente non è una ricetta che risolve ogni problema legale che mai si
presenterà ai giudici di tutto il mondo. Per esempio: i chiromanti e gli astrologi secondo alcuni in
fondo non fanno male a nessuno, e anzi possono dare una stampella a chi ha un disperato bisogno di
aiuto e non sa a chi rivolgersi. Secondo altri sono truffatori che circonvengono persone incapaci di
un pensiero razionale, e oltre ad approfittarsi di loro contribuiscono a perpetuare il loro stato di
minorità.
Insomma, bisogna valutare di volta in volta se il comportamento è dannoso, ma in ogni caso non è
la tolleranza il valore di riferimento. Il principio da seguire, secondo la brillante formulazione di
Martin Luther King, afferma che «My liberty ends where yours begins». Perciò se un
comportamento lede la libertà di qualcuno non va accettato; se non la lede, allora rientra nella sfera
intangibile della libertà di chi lo attua e non c’è niente da tollerare.
Breve excursus storico
Il primo trattato famoso sulla tolleranza è l’Epistola sulla tolleranza, scritta dal filosofo John Locke
nel 1685 in Olanda, e pubblicata in latino nel 1689.
Locke sostiene che si debbano “tollerare” tutte le opinioni in materia di religione: sicuramente un
concetto rivoluzionario nel Seicento. Ma con qualche eccezione: non andrebbero tollerati atei e
cattolici. Gli atei perché secondo Locke non potrebbero mantenere patti, promesse e giuramenti, che
sono i vincoli della società umana; e i cattolici perché «tutti quelli che entrano in tale Chiesa,
devono, ipso facto, abbandonarsi alla tutela e al servizio di un altro principe». Se questa Chiesa
fosse tollerata, il magistrato dovrebbe rispettare una «giurisdizione straniera» nel suo Paese e
«vedere i suoi seguaci come soldati contro il proprio governo».
Sono più ampie le vedute di Voltaire, espresse nel suo famoso Trattato sulla tolleranza, pubblicato
in Francia nel 1763: tutte le opinioni religiose vanno rispettate.
Nel 1779 poi il tedesco Gotthold Ephraim Lessing pubblica il dramma Nathan il saggio, in cui parla
della tolleranza, ma anche lui si riferisce solo alle religioni – anzi, solo a quelle monoteistiche.
Allora che tolleranza è? Questo breve excursus storico dimostra che il concetto di tolleranza
dipende dal contesto storico. Del resto è ovvio: in generale tutti i valori dipendono dal contesto.
Nell’Utopia di Thomas More, la società ideale del Rinascimento, c’erano le guerre e la pena di
morte. Allo stesso modo Locke detta la linea sulla tolleranza ma esclude atei e cattolici (Marx,
conscio di questi limiti, è più lungimirante: scrive che i valori della futura società comunista
saranno stati dettati dalla società stessa, e non può essere lui a stabilirli in anticipo).
Oggi anche la tolleranza come la intendeva Voltaire è superata. O meglio, è ormai accettata, almeno
a livello ideologico. Certo, se si parla con un vescovo fondamentalista, un ayatollah o un rabbino

Pra se pensar ....

Desespero anunciado

Desespero anunciado Para que essa agonia exorbitante? Parece que tudo vai se esvair O que se deve fazer? Viver recluso na pr...