INCONTREO DELLE FAMIGLIE


INCONTRO DEL 22 APRILE 2012
PRESSO L’EREMO DI AGLIATI


E’ domenica. Un pomeriggio di sole e vento ha spazzato via la pioggia che fino a poco prima sferzava la nostra terra. E adesso, giunti all’Eremo di Agliati veniamo accolti da padre Daniele, un uomo con la letizia dipinta in volto. Tutto è solare qui, tutto è quieto e meravigliosamente silenzioso. Salutiamo il nostro ospite che ci accoglie con un sorriso timido. Gli spieghiamo chi siamo e cosa stiamo tentando di fare. Lo invitiamo ad accompagnarci nel nostro momento di preghiera e gli chiediamo una sua testimonianza.
La piccola chiesa ci accoglie nella sua antica e sempre giovane semplicità. Pochi affreschi, mura candide ed un raggio di sole (sempre lui) che, filtrando dal rosone posto sopra alla porta, ci illumina e ci abbraccia discretamente. Quella luce così naturale ci disvela la bellezza della casa di Dio, fino a pochi attimi prima celata con pudore da una penombra soffusa. Ci scalda il corpo e l’anima quel raggio, quasi fosse un invito a raccogliere i nostri cuori nella preghiera. E chi legge la Parola di Dio si avvede come quel bagliore illumini il suo foglio, quasi a dire: “ti sto facendo luce affinché tu non possa sbagliare; ti sto illuminando perché tu possa concentrarti ad assaporare ciò che stai leggendo”.
Sempre lì, in quella piccola chiesa raccolti nella nostra preghiera, padre Daniele ci racconta qualcosa di sé. Ci spiega che è un monaco trappista da quarantatré anni e che da poco più di venti vive stabilmente in quell’eremo. Da solo. “Ora et labora” è la santa regola di vita che padre Daniele ha ereditato da San Benedetto ed è proprio sulla fedeltà diuturna di quel prezioso precetto che ha modellato la sua vita quotidiana: il lavoro dei campi scandito dai momenti di preghiera e lode a Dio. E così anche lui, forse molto meglio di noi, ha riscoperto il valore prezioso del tempo della festa come momento di ringraziamento al Padre celeste e di affrancamento dalle sue attività lavorative.
E noi? – ci chiediamo – siamo in grado di vivere il tempo della festa in quello spirito? Riusciamo ad assaporare la domenica per dedicarla alla nostra famiglia? Spesso il significato di “festa” viene travisato. Da qualche parte è stato scritto che l’uomo moderno si è ritagliato il proprio “tempo libero”, riservato solo a sé stesso, ma ha parimenti perso di vista il concetto, ben più fondante, di “festa”. Quella “festa” intesa come luogo d’incontro della famiglia, lontano per quanto possibile dal tran tran della vita. Quella “festa” dove il reale significato deve rinvenirsi nel nucleo familiare che ha l’opportunità di vivere – insieme – una giornata di pace alla luce di quel forte legame che si chiama “amore” e che unisce marito e moglie, genitori e figli. Quella “festa” che permette a sua volta di rinfocolare quello stesso legame e che dà senso al nostro vivere.

Spesso si sente parlare, a volte a sproposito, di “vocazione”. La vocazione degli uomini di Chiesa, così come la vocazione al matrimonio, intesa quest’ultima come la risposta a ciò che Dio ci chiede come sposi prima e genitori poi. Ma siamo sicuri di aver compreso ciò che ci viene chiesto? Nella sua disarmante semplicità Padre Daniele ce ne ha dato un prova tangibile e realizzabile: i calli sulle mani, il viso abbronzato dal duro lavoro della terra e quel sorriso. Quel sorriso che solo a vederlo ti apre il cuore, che ti commuove e ti dice tutto senza proferire parola. Quel sorriso che non esprime solo gioia, ma qualcosa di più ancora, qualcosa di sovrannaturale. Ed è proprio quel sorriso che vorremmo custodire per donarlo. E la cosa stupenda è che è possibile, e Padre Daniele ce lo ha dimostrato.
Nel pomeriggio i nostri ragazzi hanno preso d’assalto la piazzetta dell’eremo. Le urla chiassose di quel nugolo di bambini che rincorrevano la palla e la facevano ruzzolare tra la chiesa ed i pini hanno risvegliato l’intera vallata. Quello dev’essere il rumore che fa la felicità. Quella stessa identica felicità che trovi anche in un eremo silenzioso.
La sera, prima di ripartire, abbiamo salutato Padre Daniele. Una stretta di mano, un sorriso, ed uno sguardo profondo. Poche parole, le sue, ma quell’uomo di Dio è riuscito lo stesso ad impartirci una lezione di vita e d’amore come pochi altri sanno fare.
Arrivederci Padre Daniele.



SOBRE O TEMPO

Corre sem destino e nao se deixa embotilhar;
é implacavel em iludir e nao se permite enganar.
Invade e domina a vida e nao se retrai aos sofrimentos;
Colhe todos os dinamismos e nao se bloqueia em tormentos.
Grande monstro que tudo engole em saltos e retumbantes desejos;
De infinitos gemitos e terrores, mas sem logica, sem fingimentos e sem despejos.
é a cicatriz de experiencias mal-vividas e a nostalgia de afetos consumados;
é o motor de coraçoes eperançosos e o medo de fatalistas desesperados.
Define-se a si sem exaurir em si mesmo, és sem conceitos e sem precisaçoes;
é o tudo e o nada de cada coisa, a melhor desculpa e a mola de preocupaçoes.
Alma e substancia das açoes e balsamo das feridas ensaguentadas: ninguém prende, mas tudo toca, porque és o mistério do existir e o faça-se das vidas recriadas.

FERNANDO PESSOA – TABACCHERIA


Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso voler essere niente.
A parte questo, ho dentro me tutti i sogni del mondo.
Finestre della mia stanza,
della stanza di uno dei milioni al mondo che nessuno sa chi è
(e se sapessero chi è, cosa saprebbero?),
vi affacciate sul mistero di una via costantemente attraversata da gente,
su una via inaccessibile a tutti i pensieri,
reale, impossibilmente reale, certa, sconosciutamente certa,
con il mistero delle cose sotto le pietre e gli esseri,
con la morte che porta umidità nelle pareti e capelli bianchi negli uomini,
con il Destino che guida la carretta di tutto sulla via del nulla.
Oggi sono sconfitto, come se conoscessi la verità.
Oggi sono lucido, come se stessi per morire,
e non avessi altra fratellanza con le cose
che un commiato, e questa casa e questo lato della via diventassero
la fila di vagoni di un treno, e una partenza fischiata
da dentro la mia testa,
e una scossa dei miei nervi e uno scricchiolio di ossa nell’avvio.
Oggi sono perplesso come chi ha pensato, trovato e dimenticato.
Oggi sono diviso tra la lealtà che devo
alla Tabaccheria dall’altra parte della strada, come cosa reale dal di fuori,
e alla sensazione che tutto è sogno, come cosa reale dal di dentro.
Sono fallito in tutto.
Ma visto che non avevo nessun proposito, forse tutto è stato niente.
Dall’insegnamento che mi hanno impartito,
sono sceso attraverso la finestra sul retro della casa.
Sono andato in campagna pieno di grandi propositi.
Ma là ho incontrato solo erba e alberi,
e quando c’era, la gente era uguale all’altra.
Mi scosto dalla finestra, siedo su una poltrona. A che devo pensare?
Che so di cosa sarò, io che non so cosa sono?
Essere quel che penso? Ma penso di essere tante cose!
E in tanti pensano di essere la stessa cosa che non possono essercene così tanti!
Genio? In questo momento
centomila cervelli si concepiscono in sogno geni come me,
e la storia non ne rivelerà, chissà?, nemmeno uno,
non ci sarà altro che letame di tante conquiste future.
No, non credo in me.
In tutti i manicomi ci sono pazzi deliranti con tante certezze!
lo, che non possiedo nessuna certezza, sono più sano o meno sano?
No, neppure in me…
in quante mansarde e non-mansarde del mondo
non staranno sognando a quest’ora geni-per-se-stessi?
Quante aspirazioni alte, nobili e lucide -,
sì, veramente alte, nobili e lucide -,
e forse realizzabili,
non verranno mai alla luce del sole reale nè troveranno ascolto?
Il mondo è di chi nasce per conquistarlo
e non di chi sogna di poterlo conquistare, anche se ha ragione.
Ho sognato di più di quanto Napoleone abbia realizzato.
Ho stretto al petto ipotetico più umanità di Cristo.
Ho creato in segreto filosofie che nessun Kant ha scritto.
Ma sono, e forse sarò sempre, quello della mansarda,
anche se non ci abito;
sarò sempre quello che non è nato per questo;
sarò sempre soltanto quello che possedeva delle qualità;
sarò sempre quello che ha atteso che gli aprissero la porta davanti a una parete senza porta,
e ha cantato la canzone dell’Infinito in un pollaio,
e sentito la voce di Dio in un pozzo chiuso.
Credere in me? No, nè in niente.
Che la Natura sparga sulla mia testa scottante
il suo sole, la sua pioggia, il vento che trova i miei capelli,
e il resto venga pure se verrà o dovrà venire, altrimenti non venga.
Schiavi cardiaci delle stelle,
abbiamo conquistato tutto il mondo prima di alzarci dal letto;
ma ci siamo svegliati ed esso è opaco,
ci siamo alzati ed esso è estraneo,
siamo usciti di casa ed esso è la terra intera,
più il sistema solare, la Via Lattea e l’Indefinito.
(Mangia cioccolatini, piccina; mangia cioccolatini!
Guarda che non c’è al mondo altra metafisica che i cioccolatini.
Guarda che tutte le religioni non insegnano altro che la pasticceria.
Mangia, bambina sporca, mangia!
Potessi io mangiare cioccolatini con la stessa concretezza con cui li mangi tu!
Ma io penso e, togliendo la carta argentata, che poi è di stagnola,
butto tutto per terra, come ho buttato la vita.
Ma almeno rimane dell’amarezza di ciò che mai sarà
la calligrafia rapida di questi versi,
portico crollato sull’Impossibile.
Ma almeno consacro a me stesso un disprezzo privo di lacrime,
nobile almeno nell’ampio gesto con cui scaravento
i panni sporchi che io sono, senza lista, nel corso delle cose,
e resto in casa senza camicia.
(Tu, che consoli, che non esisti e perciò consoli,
Dea greca, concepita come una statua viva,
o patrizia romana, impossibilmente nobile e nefasta,
o principessa di trovatori, gentilissima e colorita,
o marchesa del Settecento, scollata e distante,
o celebre cocotte dell’epoca dei nostri padri,
o non so che di moderno – non capisco bene cosa -,
tutto questo, qualsiasi cosa tu sia, se può ispirare che ispiri!
Il mio cuore è un secchio svuotato.
Come quelli che invocano spiriti invoco
me stesso ma non trovo niente.
Mi avvicino alla finestra e vedo la strada con assoluta nitidezza.
Vedo le botteghe, vedo i marciapiedi, vedo le vetture passare,
vedo gli esseri vivi vestiti che s’incrociano,
vedo i cani che anche loro esistono,
e tutto questo mi pesa come una condanna all’esilio,
e tutto questo è straniero, come ogni cosa.
Ho vissuto, studiato, amato, e persino creduto,
e oggi non c’è mendicante che io non invidi solo perchè non è me.
Di ciascuno guardo i cenci e le piaghe e la menzogna,
e penso: magari non ho mai vissuto, nè studiato, nè amato, nè creduto
(perchè si può creare la realtà di tutto questo senza fare nulla di tutto questo);
magari sei solo esistito, come una lucertola cui tagliano la coda
e che è irrequietamente coda al di qua della lucertola.
Ho fatto di me ciò che non ho saputo,
e ciò che avrei potuto fare di me non l’ho fatto.
Il domino che ho indossato era sbagliato.
Mi hanno riconosciuto subito per quello che non ero e non ho smentito, e mi sono perso.
Quando ho voluto togliermi la maschera,
era incollata alla faccia.
Quando l’ho tolta e mi sono guardato allo specchio,
ero già invecchiato.
Ero ubriaco, non sapevo più indossare il domino che non mi ero tolto.
Ho gettato la maschera e dormito nel guardaroba
come un cane tollerato dall’amministrazione
perchè inoffensivo
e scrivo questa storia per dimostrare di essere sublime.
Essenza musicale dei miei versi inutili,
magari potessi incontrarmi come una cosa fatta da me,
e non stessi sempre di fronte alla Tabaccheria qui di fronte,
calpestando la coscienza di esistere,
come un tappeto in cui un ubriaco inciampa
o uno stoino rubato dagli zingari che non valeva niente.
Ma il padrone della Tabaccheria s’è affacciato sulla porta e vi è rimasto.
Lo guardo con il fastidio della testa piegata male
e con il disagio dell’anima che sta intuendo.
Lui morirà ed io morirò.
Lui lascerà l’insegna, io lascerò dei versi.
A un certo momento morirà anche l’insegna, e anche i versi.
Dopo un po’ morirà la strada dove fu stata l’insegna,
E la lingua in cui furono scritti i versi.
Morirà poi il pianeta che gira in cui tutto ciò accadde.
In altri satelliti di altri sistemi qualcosa di simile alla gente
continuerà a fare cose simili a versi vivendo sotto cose simili a insegne,
sempre una cosa di fronte all’altra,
sempre una cosa inutile quanto l’altra,
sempre l’impossibile, stupido come il reale,
sempre il mistero del profondo certo come il sonno del mistero della superficie,
sempre questo o sempre qualche altra cosa o nè una cosa nè l’altra.
Ma un uomo è entrato nella Tabaccheria (per comprare tabacco?),
e la realtà plausibile improvvisamente mi crolla addosso.
Mi rialzo energico, convinto, umano,
con l’intenzione di scrivere questi versi per dire il contrario.
Accendo una sigaretta mentre penso di scriverli
e assaporo nella sigaretta la liberazione da ogni pensiero.
Seguo il fumo come se avesse una propria rotta,
e mi godo, in un momento sensitivo e competente
la liberazione da tutte le speculazioni
e la consapevolezza che la metafisica è una conseguenza dell’essere indisposti.
Poi mi allungo sulla sedia
e continuo a fumare.
Finche il Destino me lo concederà, continuerò a fumare.
(Se sposassi la figlia della mia lavandaia
magari sarei felice.)
Considerato questo, mi alzo dalla sedia.
Vado alla finestra.
L’uomo è uscito dalla Tabaccheria (infilando il resto nella tasca dei pantaloni?).
Ah, lo conosco: è Esteves senza metafisica.
(Il padrone della Tabaccheria s’è affacciato all’entrata.)
Come per un istinto divino Esteves s’è voltato e mi ha visto.
Mi ha salutato con un cenno, gli ho gridato Arrivederci Esteves!, e l’universo
mi si è ricostruito senza ideale ne speranza, e il padrone della Tabaccheria ha sorriso.
FERNANDO PESSOA – TABACCHERIA

Festa della Liberazione

Il 25 aprile in Italia è la Festa della Liberazione, si ricorda cioè l'anniversario della liberazione dal nazifascismo
Durante la seconda guerra mondiale (1939-1945), dopo il 1943, l'Italia si ritrovò divisa in due: al nord Benito Mussolini e i Fascisti avevano costituito la Repubblica Sociale Italiana, vicina ai tedeschi e al Nazismo di Hitler, mentre al sud si formò in opposizione il governo Badoglio, in collaborazione con gli Alleati americani e inglesi. 
Per combattere il dominio nazifascista si era organizzata la Resistenza, formata dai Partigiani. Questi erano uomini, donne, giovani, anziani, preti, militari, persone di diversi ceti sociali, diverse idee politiche e religiose, ma che avevano in comune la volontà di lottare personalmente, ognuno con i propri mezzi, per ottenere in patria la democrazia e il rispetto della libertà individuale e l'uguaglianza. 

Festa della Liberazione
Il 25 aprile 1945 i Partigiani, supportati dagli Alleati, entrarono vittoriosi nelle principali città italiane, mettendo fine al tragico periodo di lutti e rovine e dando così il via al processo di liberazione dell'Italia dall'oppressione fascista.
Qualche anno dopo, dalle idee di democrazia e libertà, è nata laCostituzione Italiana

Di seguito vi elenchiamo alcuni esempi di libri che sono ambientati e parlano del periodo della Resistenza italiana. Gli autori sono stati essi stessi testimoni della Seconda Guerra Mondiale e vogliono raccontare, ognuno a suo modo, le esperienze fatte e i segni lasciati da uno dei periodi che più ha segnato il nostro Paese. 

Il sentiero dei nidi di ragno - Italo Calvino
Sentiero dei Nidi di RagnoAmbientato in Liguria, tra gli stretti vicoli di un paesino della Riviera di Ponente, durante la Resistenza. Il protagonista è Pin, un ragazzino solo e senza guida. La sorella fa la prostituta e tra i clienti ha anche i militari tedeschi; per questo motivo Pin viene scartato e insultato. Per ripicca e per avere la considerazione degli adulti, il bambino decide di rubare la pistola all'amante della donna e di nasconderla. Questo gesto scatenerà una serie di eventi che lo porterà ad essere messo in prigione dai tedeschi e, una volta scappato, ad entrare in contatto con i gruppi di partigiani che si nascondevano tra i monti, diventandone parte integrante. Nel condividere con loro la difficile vita da ribelli, con l'oppressione degli invasori tedeschi, imparerà ad affrontare la realtà di un paese in guerra, con l'aiuto del nuovo amico Cugino, diventato una sorta di padre adottivo. 

La casa in collina - Cesare Pavese
Casa in Collina - Cesare PaveseIl libro narra le vicende di Corrado, durante l'estate del 1943, in piena Seconda Guerra Mondiale. L' uomo è un professore quarantenne che vive sulle colline antistanti Torino, non è sposato e ha due donne, madre e figlia, che si occupano di lui e dell'andamento domestico. Corrado tutte le sere si rifugia sulle colline per scampare ai bombardamenti tedeschi sulla città e, così come sfugge alla guerra e ad un quasi obbligato schieramento politico, evita anche di prendersi responsabilità negli altri campi della vita. Tra i partigiani ha amici, Cate, una fiamma del passato, e il figlio di lei, probabilmente suo; nonostante questo non si sbilancia seguendo i loro ideali e le loro azioni. La guerra incombe, i tedeschi incalzano e i suoi amici vengono arrestati, forse uccisi, ma lui fugge e per salvarsi abbandona anche il giovane ragazzo, affidatogli da Cate: niente sembra scrollarlo dalla sua vigliaccheria. Un giorno però si imbatte per caso nella cruda uccisione di alcuni fascisti, da parte dei partigiani di zona. La morte e il sangue così vicini e reali lo fanno riflettere amaramente sulla sua vita e sul periodo storico in cui si trova: la guerra tocca tutti, prima o poi, nessuno riesce a sottrarsi. Tramite Corrado si vive il duro periodo della guerra e dell'inizio della creazione dei gruppi partigiani. 

Il partigiano Johnny - Beppe Fenoglio 
Partigiano Johnny - Beppe FenoglioE' il settembre del 1943 quando Johnny, un giovane studente di letteratura con l'amore per la cultura anglosassone, decide di unirsi ai partigiani della sua città Alba, nel Monferrato piemontese. Lo fa non tanto per convinzione ideologia, quanto più forse per aver immaginato poeticamente e astrattamente quella vita avventurosa. La realtà però si rivela tutt'altro che epicamente magica: è una lotta quotidiana contro la morte, la fame, la solitudine e soprattutto la guerra che provoca tutto questo. Le guerriglie e le lotte portano il giovane a trovarsi solo, senza più nessun amico, solo con la natura che lo circonda. Ha così la possibilità di fare un'attenta analisi introspettiva, che lo porta a realizzare quanto la guerra possa distruggere un uomo, le sue certezze, i suoi sogni e i suoi desideri. Johnny torna tra la gente, ma non è più in grado di integrarsi normalmente. Il libro è incompiuto, ma è comunque considerato uno dei più pragmatici e originali romanzi sulla Resistenza italiana. Nel 2000 è stato anche tratto un film, che ha lo stesso titolo. 

Il clandestino - Mario Tobino 
Il Clandestino di Mario TobinoIl romanzo è ambientato nella Toscana della Resistenza. Racconta di un gruppo di ragazzi, colti e ben educati, che per combattere il fascismo si dedica ad una complicata vita sotterranea. Quello che li fa resistere e andare avanti nella loro lotta è l'amore per la propria città Medusa (nome di fantasia per Viareggio), la profonda fede nelle loro ideologie politiche e l'ardente desiderio di giustizia. Tra di loro c'è Anselmo, un giovane medico (il personaggio più simile allo scrittore), che suo malgrado si è trovato a dover affrontare gli orrori della guerra e vorrebbe soltanto poter vivere il suo Paese e la sua adorata città, senza pensare al passato. La visione romantica della vita è costretta continuamente a cozzare col violento realismo del tempo, ma non soccombe mai. 

SAO JORGE


Chagas abertas, Sagrado Coração todo amor e bondade, o sangue do meu Senhor Jesus Cristo, no corpo meu se derrame hoje e sempre.
Eu andarei vestido e armado, com as armas de São Jorge. Para que meus inimigos tendo pés não me alcancem, tendo mãos não me peguem, tendo olhos não me exerguem e nem pensamentos eles possam ter para me fazerem mal.
Armas de fogo o meu corpo não o alcançarão, facas e lanças se quebrarão sem ao meu corpo chegar, cordas e correntes se arrebentarão sem o meu corpo amarrarem.
Jesus Cristome proteja e me defenda com o poder de sua Santa e Divina Graça, a Virgem Maria de Nazaré, me cubra com o seu Sagrado e divino manto, me protegendo em todas minhas dores e aflições, e Deus com a sua Divina Misericórdia e grande poder, seja meu defensor, contra as maldades de perseguições dos meus inimigos, e o glorioso São Jorge, em nome de Deus,  em nome de Maria de Nazaré, e em nome da falange do Divino Espírito Santo, me estenda o seu escudo e as suas poderosas anulas, defendendo-me com a sua força e com a sua grandeza, do poder dos meus inimigos carnaise espirituais e de todas sua más influências, e que debaixo das patas de seu fiel ginete, meus inimigos fiquem humildes e submissos a vós, sem se atreverema ter um olhar sequer que me possa prejudicar.
Assim seja com o poder de Deus e de Jesus e da falange do Divino Espírito Santo.
Amém.

Pra se pensar ....

Desespero anunciado

Desespero anunciado Para que essa agonia exorbitante? Parece que tudo vai se esvair O que se deve fazer? Viver recluso na pr...