O DESERTO DA ALMA


DESERTO NA ALMA

Tempo sem respiro e sem horizontes, tempo de espera desesperada e de ansiedade atormentada; é nesse imenso e sufocante espaço que os maus-estares se estacionam e acionam a necessidade de vias e de possibilidades. No deserto onde não existem simulaçoes ou sombras, a alma desvestida de tudo se encontra consigo mesma e na perplexidade de não poder escapar se confronta consigo mesma, querendo espulsar seus demonios e de abraçar suas esperanças.
Aqui falta tudo, desde as mascaras sutis do quotidiano até a profunda necessidade de superar os proprios limites. Sem os refugios e subterfugios, a alma se encontra sozinha, abandonada, desencantada, destinada a lutar contra os proprios medos e desafios e galgar qualquer degrau da propria sobrevivencia; assim, desiludida das ajudas e desvestida de si, precisa percorrer o proprio destino e atingir a agua que desseta e faz brotar flores e frutos.
Esse deserto que atraversa a alma e divide o antes do depois, onde as feras se degladeiam com os anjos, propria nesse retrato de tensao deve ser edificado um belo jardim, que se irriga com as aguas da caridade, que se nutre com os frutos da oraçao e se move com a força da esperança. É no deserto, lugar de perplexidade e necessidade, quando um depois de mergulhar no proprio nada se sente altamente vulneravel, ali na desolaçao que o Senhor envia o seu Espirito: de consolaçao e de perdao, porque ele não olha o passado, mas a coragem que um tem de seguir adiante.

PISA, 26.02.2012

Il deserto dell'anima


Deserto, luogo dell'anima

Il deserto, inteso come terra vergine, è il luogo di esplorazione della propria interiorità, sorgente della saggezza. Ne parla Eugen Drewermann, sacerdote cattolico, teologo e psicoterapeuta, contestato dalla Chiesa per le sue posizioni. 

Leggiamo senza indugio il passo di Drewermann, per fare, poi, alcune riflessioni:
"È lì, in mezzo alle difficoltà e alla rinuncia, che ogni goccia d'acqua, ogni attimo di vita diventa prezioso oltre misura. Il deserto stesso insegna ad apprezzare di nuovo il valore delle cose [...], in modo che l'energia del desiderio si risvegli e spezzi il rivestimento soffocante che avvolge il cuore.
Perché il fine che dà significato alla vita non è mai una cosa, ma il senso che collega le cose - qualcosa di invisibile, che è possibile vedere solo con gli occhi del cuore".

Nell'epoca delle città-officine, tutto strepitio, efficienza, dinamismo esasperato, linguaggi omologanti, conformismi esistenziali, occorre davvero richiamare la saggezza del deserto, luogo aspro, inospitale, racchiuso nella fissità del suo orizzonte, dilatato nei suoi spazi minacciosi, ma anche terra vergine, metafora viva di quella parte della nostra anima non contaminata dalle grammatiche serializzanti delle città-officine, dai "si dice, si fa...".
Abitare il deserto significa, allora, prendere congedo anche solo per brevi momenti dal mondo, per fare i conti con noi stessi, ascoltare la saggezza del cuore, riscoprire l'essenziale, riarticolare un discorso di senso capace di dare voce ai nostri sentimenti più autentici.
Insomma, occorre desertificare la nostra anima per riattivarne gli occhi interiori, i soli capaci di cogliere l'invisibile, la Forma originaria delle cose, il significato di fondo di cui sono intessute.
Questa è la saggezza del deserto, dove il termine saggezza rinvia alla capacità di "pesare" il nostro stare al mondo, sperimentare fecondi tragitti interiori, scandagliare le profondità dell'anima per attingere energie esistenziali alternative a quelle dell'efficientismo e del produttivismo tecnologici.
L'esperienza del deserto non va però conservata gelosamente per sé, bensì va comunicata agli altri, in modo tale che i deserti entrino nelle città e si possa dar vita ad un'umanità adulta, capace di coniugare la necessità dei ritmi produttivi con la forza del pensiero ideante e il linguaggio genuino dei sentimenti.
Fabio Gabrielli

Il conformismo del turpiloquio

l turpiloquio politico ha ormai da tempo ampia cittadinanza nella società della comunicazione: l'incontinenza verbale, accompagnata da pernacchie (mal riuscite, peraltro), diti medi in mostra e gesti dell'ombrello, viene proposta come segno di discontinuità rispetto alla retorica bizantina, sfumata, astratta da Prima Repubblica. Si è poi capito (in ritardo) che nella sostanza c'era ben poco di diverso rispetto al passato, e che l'unica variante era appunto quell'espressività pecoreccia e cioè quella notevole dose aggiunta di volgarità populistica: a proposito di queste derive linguistiche, Federico Faloppa parla efficacemente di «rumore bassoventrista» in un articolo uscito nell 'Indice , che analizza in chiave di contrappunto la prosa di Nichi Vendola.
Difficile dire se i politici abbiano interpretato una tendenza che era nell'aria o al contrario se abbiano finito per autorizzare analoghi risultati a tutti i livelli. Parlando di testi letterari, Maria Corti (che verrà ricordata giovedì a Pavia, nei dieci anni dalla morte, come grande filologa, storica della lingua e maestra) accennava spesso alla nozione di isotopia, designando con quel termine tecnico una sorta di coerenza tra i vari piani testuali. Ma un'isotopia più ampia, diciamo culturale, ha visto negli ultimi anni uno «spostamento coassiale» verso il basso. Mentre il linguaggio dei leader scivolava a vista d'occhio (e d'orecchio), la tv, non solo nei reality show, metteva in campo una quotidianità triviale e pseudo-oscena: l'ultimo Sanremo ne è stato un esempio, ma l'esito più vistoso è l'apoteosi scatologica dei Soliti idioti che manda in visibilio il pubblico.
Ovvio che la letteratura non si tira indietro nel valorizzare l'oralità spontanea, con massiccio inglobamento di turpiloquio e scurrilità a fini icastici e di mimesi del reale: non si contano i czz, i cgln, i cl, le mrd, i pzz di mrd, le fgh eccetera nei romanzi. Come se la parolaccia rappresentasse ancora un'oltranza capace di inarcare il livello della prosa e non si trattasse invece di puro adeguamento al conformismo vigente: semmai oggi a épater les bourgeois sarebbe una prosa raffinata e lontana dal parlato. «Il turpiloquio è un elemento che sembra ormai inevitabile nella narrativa italiana contemporanea», scrive la linguista Tina Matarrese in un saggio edito dall'Accademia della Crusca. Il fatto è che un Marcolfo o un Burchiello del Duemila non avrebbero alcun effetto trasgressivo e anzi sarebbero nella norma. Da antimodello scandaloso e carnevalesco, il parlar sboccato è diventato canone ufficiale. Non si era ancora vista, però, la parolaccia esibita a scopo di marketing, come accade nella quarta di copertina del romanzo A volte ritorno dello scrittore irlandese John Niven, appena uscito da Einaudi Stile Libero. Un romanzo «dissacrante e provocatorio» che espone le sue credenziali sin dal brano di lancio, dove dilagano mrd e czz in bocca a un Dio infuriato. Chi glielo dice a Bukowski che nel frattempo è diventato un chierichetto?

TEMPO DI PENITENZA

Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2012 
«Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (Eb10,24) 

Fratelli e sorelle,
la Quaresima ci offre ancora una volta l´opportunità di riflettere sul cuore della vita cristiana: la carità. Infatti questo è un tempo propizio affinché, con l´aiuto della Parola di Dio e dei Sacramenti, rinnoviamo il nostro cammino di fede, sia personale che comunitario. E´ un percorso segnato dalla preghiera e dalla condivisione, dal silenzio e dal digiuno, in attesa di vivere la gioia pasquale.
Quest’anno desidero proporre alcuni pensieri alla luce di un breve testo biblico tratto dalla Lettera agli Ebrei: «Prestiamo attenzione gli uni agli altri per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (10,24). E’ una frase inserita in una pericope dove lo scrittore sacro esorta a confidare in Gesù Cristo come sommo sacerdote, che ci ha ottenuto il perdono e l´accesso a Dio. Il frutto dell´accoglienza di Cristo è una vita dispiegata secondo le tre virtù teologali: si tratta di accostarsi al Signore «con cuore sincero nella pienezza della fede» (v. 22), di mantenere salda «la professione della nostra speranza» (v. 23) nell´attenzione costante ad esercitare insieme ai fratelli «la carità e le opere buone» (v. 24). Si afferma pure che per sostenere questa condotta evangelica è importante partecipare agli incontri liturgici e di preghiera della comunità, guardando alla meta escatologica: la comunione piena in Dio (v. 25). Mi soffermo sul versetto 24, che, in poche battute, offre un insegnamento prezioso e sempre attuale su tre aspetti della vita cristiana: l´attenzione all´altro, la reciprocità e la santità personale. (...)

TEMPO DA QUARESMA


O que é a quaresma
A quaresma é o tempo litúrgico de conversão, que a Igreja marca para nos preparar para a grande festa da Páscoa. É tempo para nos arrepender dos nossos pecados e de mudar algo de nós para sermos melhores e poder viver mais próximos de Cristo.
A Quaresma dura 40 dias; começa na Quarta-feira de Cinzas e termina no Domingo de Ramos. Ao longo deste tempo, sobretudo na liturgia do domingo, fazemos um esfoço para recuperar o ritmo e estilo de verdadeiros fiéis que devemos viver como filhos de Deus.
A cor litúrgica deste tempo é o roxo, que significa luto e penitência. É um tempo de reflexão, de penitência, de conversão espiritual; tempo e preparação para o mistério pascal.
Na Quaresma, Cristo nos convida a mudar de vida. A Igreja nos convida a viver a Quaresma como um caminho a Jesus Cristo, escutando a Palavra de Deus, orando, compartilhando com o próximo e praticando boas obras. Nos convida a viver uma série de atitudes cristãs que nos ajudam a parecer mais com Jesus Cristo, já que por ação do pecado, nos afastamos mais de Deus.
Por isso, a Quaresma é o tempo do perdão e da reconciliação fraterna. Cada dia, durante a vida, devemos retirar de nossos corações o ódio, o rancor, a inveja, os zelos que se opõem a nosso amor a Deus e aos irmãos. Na Quaresma, aprendemos a conhecer e apreciar a Cruz de Jesus. Com isto aprendemos também a tomar nossa cruz com alegria para alcançar a glória da ressurreição.
40 dias
A duração da Quaresma está baseada no símbolo do número quarenta na Bíblia. Nesta, é falada dos quarenta dias do dilúvio, dos quarenta anos de peregrinação do povo judeu pelo deserto, dos quarenta dias e Moisés e de Elias na montanha, dos quarenta dias que Jesus passou no deserto antes de começar sua vida pública, dos 400 anos que durou o exílio dos judeus no Egito.
Na Bíblia, o número quatro simboliza o universo material, seguido de zeros significa o tempo de nossa vida na terra, seguido de provações e dificuldades.
A prática da Quaresma data do século IV, quando se dá a tendência a constituí-la em tempo de penitência e de renovação para toda a Igreja, com a prática do jejum e da abstinência. Conservada com bastante vigor, ao menos em um princípio, nas Igrejas do oriente, a prática penitencial da Quaresma tem sido cada vez mais abrandada no ocidente, mas deve-se observar um espírito penitencial e de conversão.

Pra se pensar ....

Desespero anunciado

Desespero anunciado Para que essa agonia exorbitante? Parece que tudo vai se esvair O que se deve fazer? Viver recluso na pr...