Pluralismo, multiculturalismo e estranei (2000) Integrazione vuol dire anche riconoscimento delle radici dell'Europa


Giovanni Sartori


(Redazione Virtuale)

*
Con Pluralismo, multiculturalismo e estranei, Giovanni Sartori affronta il fenomeno dell’immigrazione, tanto più problematico quanto più consistenti sono le dimensioni dei flussi migratori e ampia è la distanza culturale dei nuovi venuti. La loro integrazione richiede tolleranza reciproca, ma soprattutto l'accettazione da parte loro del principio cardine su cui verte la convivenza europea: la separazione tra il potere dello Stato e quello della Chiesa. Procastinare questo chiarimento significa andare, col tempo, verso la balcanizzazione del Paese.

*
arliamo di un libricino dal titolo impegnativo: Pluralismo, multiculturalismo e estranei (Rcs, 2000), scritto da Giovanni Sartori, personaggio noto in Italia per i suoi interventi sul «Corsera» e per la frequente partecipazione ai programmi televisivi di approfondimento – ma più apprezzato all’estero, dove ha pubblicato tomi di Scienza della Politica, adottati come libri di testo da importanti istituzioni internazionali.
Il quesito che si cerca di risolvere si presenta in questo modo: accettereste che vostra figlia sposi un cittadino di origine islamica? La risposta ovvia è «Purché sia un bravo ragazzo». Ma è un bravo ragazzo uno che, tra le altre cose, non vota, socializza soltanto all’interno della propria comunità d'origine, non legge giornali se non quelli nella lingua del proprio paese d’origine,e si sente di rispondere soltanto alla legge di “Dio”? In altri termini, è un bravo ragazzo chi non è anche un bravo cittadino?

Posto di fronte a un caso di questa natura il genitore liberaldemocratico illuminato ammutolisce. Questo libro può fornirgli alcuni strumenti per orientarsi nel proprio sconcerto e per recuperare, con la lucidità , la serena coscienza della propria solidità etica.

Nel mondo industrializzato, orientato essenzialmente verso un approccio multiculturale, l’obiettivo di Sartori è quello di «chiarire quale sia la teoria del pluralismo, ricostruendola nei suoi rapporti con la teoria della tolleranza e del consenso». Per far questo, comincia ad argomentare una serie di definizioni che descrivono, o al contrario, negano, l’idea di pluralismo come lo scrittore la intende.

Il pluralismo è il codice genetico che permette di descrivere i valori, i meccanismi e i gradi di “apertura” della società aperta, «che è la società libera così come la intende il liberalismo». Pluralismo e tolleranza sono concetti interrelati, in una democrazia liberale che consiste nella concordia discors. Solo con il pluralismo è stato possibile concepire un sistema di partiti. Infatti è valido anche il contrario, che il partito unico è la negazione della democrazia liberale. Va anzi sottolineato che il pluralismo non può essere ridotto a una pluralità di congregazioni o a una pluralità di gruppi d’interesse. Ogni società è caratterizzata da una stratificazione di organismi multipli, ma il pluralismo non va inteso in banali termini di «complessità strutturale».
*
Il pluralismo disconosce l’intolleranza e considera qualsiasi “identità ” con eguale rispetto e riconoscimento, purché basati su un principio di reciprocità .

A livello politico il pluralismo «denota una diversificazione del potere e incanala le sue varie componenti nei partiti». Il pluralismo parte da un punto di convergenza fondamentale nella dialettica partitica, il consenso sulla risoluzione dei conflitti, che in democrazia si basa sul governo della maggioranza. Il governo della maggioranza non deve essere inteso come “dittatura della maggioranza”. Il governo maggioritario controlla il proprio potere nel rispetto della minoranza e svolge il suo ruolo in una dialettica del dissentire, «un processo di aggiustamento tra menti e interessi dissenzienti.» Il pluralismo innesca così e mantiene un processo basato sulla rotazione pacifica del potere politico, separato e autonomo rispetto ad altri ambiti come l’economia e la fede.

Il pluralismo infine postula un tessuto sociale aperto all’associazionismo, a patto che l’ammissione a questi organismi sia volontaria e non esclusiva, conceda cioè la possibilità di associarsi (o meno), e partecipare a organizzazioni diverse. Sono escluse tutte le società basate su «tribù, razza, casta, religione e qualsiasi tipo di gruppo tradizionalistico». L’associazionismo ripartisce la società lungo linee di demarcazione («cleavages») che risultano “incrociate” e non coincidenti (è buono per un cattolico praticante far parte dell’associazione dei panificatori e dell’associazione dei genitori. Meno buono è far parte dell’associazione dei panificatori cattolici e di quella dei genitori cattolici.).

Un discorso a parte merita il concetto di tolleranza, in relazione al concetto di comunità . «Chi tollera ha credenze e principî propri, li ritiene veri, e tuttavia concede che altri hanno il diritto di coltivare “credenze sbagliate”». Tuttavia, non si può pretendere che la tolleranza sia illimitata.
    «Il grado di elasticità della tolleranza può essere stabilito [...] da tre criteri. Il primo è che dobbiamo sempre fornire ragioni di quello che consideriamo intollerabile (e cioè, la tolleranza vieta il dogmatismo). Il secondo criterio coinvolge l’harm principle, il concetto “di non far male”, di non danneggiare; insomma, non siamo tenuti a tollerare comportamenti che ci infliggono danno o torto. E il terzo criterio è certamente quello della reciprocità : nell’essere tolleranti verso altri ci aspettiamo a nostra volta di essere tollerati».
C’è una definizione che George J. Graham, Jr. ha dato al consenso («un condividere che in qualche modo lega») che mette questo concetto in collegamento con quello di comunità . Un'astrazione che tende a prendere il posto reso vacante dalla crisi dello stato-nazione, un “identificatore” molto flessibile, che si adatta a essere applicato a gruppi di appartenenza molto grandi (pensiamo all’Europa) come a quelli molto piccoli (comunità di quartiere), purché sostenuti da un senso d’appartenenza delineato lungo il confine che corre tra un noi e un loro. In questo contesto, una comunità pluralistica è quella composta da tante «sotto-comunità », con una necessaria dotazione di atteggiamenti tolleranti, associazioni volontarie e multiple, linee di demarcazione incrociate e trasversali. Un decisivo sviluppo rispetto al modello prototipale della polis greca, un modello che non ha un corrispondente all’esterno del mondo occidentale, che si distacca anche dall’esperienza Nord-americana.
*
Ed è qui il cuore del problema, perché il caso degli Stati Uniti interessa una nazione di nazionalità che è andata costituendosi in uno spazio immenso, mentre le nazioni che costituiscono l’Europa, che occupano uno spazio già densamente popolato, affrontano un’immigrazione incontrollata di contro-nazionalità che negano l’identità nazionale. Se il caso degli Stati Uniti si sviluppa in un’atmosfera di “competizione” tra etnie, il caso dell’Europa registra subito una reazione di “allarme” e, immediatamente dopo, una reazione di “rigetto”. Reazione che non riguardano tutti gli immigrati allo stesso modo. Gli asiatici ne sono virtualmente immuni. Chi invece ne è principalmente interessato proviene dall’Africa continentale e dal Nord-Africa, tra gli immigrati più resistenti ad accettare il concetto della separazione tra Stato e Chiesa, tra politica e religione. Si tratta del principio più rappresentativo della convivenza europea. Il limite della tolleranza pluralista si materializza in vista di questa barriera invalicabile.

Il multiculturalismo come molteplicità di culture non contraddice in sé il pluralismo, a meno che esso non venga preso come un valore a sé stante. In questo caso, però, il multiculturalismo entra in rotta di collisione con il pluralismo, «sia per la sua intolleranza, sia perché rifiuta il riconoscimento reciproco, sia perché fa prevalere la separazione sull’integrazione». Multiculturalismo non è la cultura colta, né è cultura in senso antropologico, né in termini di modelli di comportamento, né, infine, in senso politico. E’ invece cultura in senso linguistico, religioso, etnico, sessuale (es.: la cultura femminista) e in senso di tradizione culturale. Dal che si deduce che, «sotto la dizione “cultura” non tutto è cultura». Il sospetto è che sotto il multiculturalismo si celi un intenzione razzista, salvo che la parola “cultura” si presenta assai meglio della parola “razza”.

Non a caso, il multiculturalismo entra in crisi nel momento in cui una delle sue "minoranze" raggiunge le dimensioni critiche che le permettono di contrattare "democraticamente" concessioni che mettono in crisi il sistema vigente. A questo punto, la balcanizzazioni della società è a un passo.

Descrivendo l’esperienza americana dell’affermative action, (un “correttore” d’ingiustizia sociale che discrimina “in positivo”) Sartori dimostra che il multiculturalismo, con la “sua” supposta politica del riconoscimento, fabbrica in realtà e moltiplica differenze e tende allo smantellamento della comunità pluralistica. Infatti «i diritti del cittadino sono tali perché sono tali per tutti». In caso contrario diventano privilegi.

Giungiamo al tema centrale che sottende al titolo di questo denso libricino, che è il tema sempre attuale dell’immigrazione, ovvero il tema dell’accoglienza che intendiamo riservare alle masse migranti che giungono nelle nostre città , portandosi dietro diversità “linguistiche”, “di costume”, “religiose” ed “etniche”.
*
Il fenomeno dell’immigrazione è tanto più problematico quanto più consistenti sono le dimensioni dei flussi migratori e ampia è la distanza culturale dei nuovi venuti. Non ci sono ricette facili, né applicabili a tutti, come la concessione indiscriminata della cittadinanza. Una politica che si ponga l’obiettivo di regolare questo processo dovrebbe essere consapevole di ciò che sta facendo, avere cioè un’idea chiara di “chi” si sta mettendo in casa, “come” intende procedere e, soprattutto, “perché” intende farlo.

Invece, i governi italiani sembrano modellare la propria politica su basi che Sartori ritiene ampiamente inadeguate: «un fasullo terzomondismo nel quale confluiscono, rafforzandole in modo abnorme, sinistre e populismo cattolico».

“Chi”. L’esercito di poveracci che permeano attraverso le nostre porose frontiere è composto da ex-agricoltori che hanno perso la terra a causa dell’urbanizzazione e/o a causa di un'eccessiva natalità . Costituiscono una massa in continua crescita e questo porta velocemente al “perché”. Qui Sartori è categorico: «perché non sa come fermarli», motivo assai più realistico della pretesa che i ricchi europei non sono più disposti a svolgere i lavori più umili. Quanto al “come” regolare il processo d'integrazione, dipende dalla persona che ci si trova di fronte, la quale potrebbe non essere disposta ad essere integrata, sulla base soprattutto di una “diversità ” di natura religiosa e/o etnica che la potrebbe rendere resiliente a una cittadinanza che separa lo stato civile dallo stato religioso.

Per buona pace (diciamo noi) del nostro combattuto genitore, che non sarà tenuto a dubitare dei propri sentimenti liberal-democratici, opponendosi a un matrimonio che, proprio, non s’ha da fare. A meno che lo sposo, oltre che un bravo ragazzo, non dimostri anche di essere un bravo cittadino.

Il saggio è scritto in un linguaggio semplice, avvicinabile dai lettori che seguono lo scrittore nei suoi interventi sui mezzi di comunicazione di massa. Inoltre, con l'edizione Superbur Saggi del 2002, l'autore ha voluto portar utili integrazioni che completano in qualche modo il quadro delle sue argomentazioni.

la paura dei barbari

TODOROV
Il sottotitolo aggiunto alla traduzione italiana del libro di Todorov ne suggerisce sin dall'inizio uno dei pregi: il superamento della seducente semplicità dello "scontro delle civiltà", formula diffusa in Occidente in seguito alla pubblicazione, nel 1996, del libro di Samuel Huntington. Todorov dimostra che simili letture semplificate della complessità del mondo internazionale sono fallaci, e anche pericolose: suscitano reazioni emotive più che analisi. Invece di alimentare la paura evocata nel titolo, l'autore propone un approccio razionale, "illuministico", che denunci e abbandoni falsi stereotipi e mistificazioni: prima fra tutte, la rappresentazione di un mondo rozzamente contrapposto in blocchi di civiltà.
È noto ormai ai più avvertiti fra gli specialisti delle scienze umane che le società non sono blocchi solidi, al loro interno omogenei, che si scontrano tra loro. Al contrario, si connotano come entità fluide, attraversate da tensioni interne e in relazioni di scambio reciproco con l'esterno. Interno ed esterno non sono dati connaturati dei sistemi sociali, bensì l'esito di una produzione identitaria: un continuo processo di costruzione (e ricostruzione) culturale, di cui sono artefici i leader politici predominanti. Sulla base delle loro esigenze di legittimazione del potere esercitato, essi scelgono quali frazioni della memoria collettiva (vera o più spesso fittizia) usare per scrivere il racconto nel quale si riconosceranno in quel momento i membri del gruppo. Si tratta di un'identità che ha ormai perso il carattere naturale, legato al sangue e al radicamento su un territorio, per definirsi come fatto culturale, soggetto a variazioni, imposto dagli strati sociali politicamente dominanti. È interessante notare che questo rinnovato apparato concettuale è lo stesso usato dalla più aggiornata storiografia per rileggere le fonti relative ai regni romano-barbarici dell'alto medioevo. È stato dimostrato che non è tutta di germani la quota di barbari che tradizionalmente era così definita; che le diversità etniche fra romani e barbari erano meno determinanti delle differenze di ceto sociale; e che leaderbarbari creavano identità etniche, fondate su racconti culturalmente elaborati capaci di coagulare gruppi differenti intorno a uno stesso "nucleo di tradizione".
Attraverso l'uso di queste stesse categorie, Todorov giunge a dimostrare che anche i "barbari" che oggi fanno più paura all'Occidente, gli islamici, sono un complesso identitario variegato e niente affatto unidimensionale, come vorrebbero invece sia gli islamisti (in quanto élite politica) sia la maggior parte degli Occidentali. Essi attribuiscono la vocazione dell'islam a scontrarsi con l'Occidente a una sorta di "Dna culturale" immutabile, pericolosamente simile, nelle conseguenze disumane, al mito del sangue nelle teorie razziste del XIX secolo. Non si tratta di buonismo, bensì di un monito contro "il sonno della ragione": affinché la cultura non ricada nei tranelli tesi da un rigido determinismo, da cui essa stessa si è da poco affrancata. 
Rosa Canosa

Giorni di solitudine

La trama e le recensioni di Cent'anni di solitudine, romanzo di Gabriel Garcia Marquez edito da Mondadori. Da Josè Arcadio ad Aureliano babilonia, Dalla scoperta del ghiaccio alle pergamene dello zingaro Melquiades finalmente decifrate: "Cent'anni di solitudine" di una grande famiglia i cui componenti vengono al mondo, si accoppiano e muoiono per inseguire un destino ineluttabile, in attesa di un figlio con la coda di porco. "Cent'anni di solitudine" rimane un capolavoro insuperato e insuperabile, che nel 1982 valse al suo autore l'assegnazione del premio Nobel. Un libro tumultuoso con i toni della favola, sorretto da una tensione narrativa fondata su un portentoso linguaggio e su un'invidiabile fantasia. Garcia Marquez ha saputo rifondare la realtà e fondare Macondo, il paradigma della solitudine, una situazione mentale e un destino più che un villaggio. Lo ha costretto a crescere avvinghiato alla famiglia Buendìa. Lo ha trasformato in una città degli specchi e lo ha fatto spianare dal vento. In questo universo di solitudini incrociate, impenetrabili ed eterne, galleggia una moltitudine di eroi predestinati alla sconfitta, cui fanno da contraltare la solidità e la sensatezza dei personaggi femminili. Su tutti domina la figura di aureliano Buendìa, il primo uomo nato a Macondo, colui che promosse trentadue insurrezioni senza riuscire in nessuna, che ebbe diciassette figli maschi e glieli uccisero tutti, che fuggì a quattordici attentati e a un plotone di esecuzione per finire i suoi giorni chiuso in un laboratorio a fabricare pesciolini d'oro.

A Ascenção de Cristo


A Ascenção de Cristo e seu significado para os cristãos

Subiste às alturas, levaste cativo o cativeiro; recebeste homens por dádivas. (Salmos 68:18)

Introdução
A festa da Ascensão de Jesus Cristo, 40 dias após a Páscoa, é a grande festa da coroação de Cristo como Rei dos reis e Senhor dos senhores. É o dia de sua posse como Rei do universo. Portanto um dia de júbilo para toda a cristandade.
Na vida de Cristo existem quatro grandes eventos que são observados pela Igreja Cristã: Natal, Sexta-feira Santa, Páscoa e Ascensão.
Natal, nascimento de Jesus Cristo. A festa que recebe grande atenção por parte das congregações cristãs e também por parte da sociedade em geral. Muitos, mesmo não dando atenção à sua mensagem ou mesmo não a aceitando, celebram Natal como uma festa da família e ocasião para troca de presentes.
Sexta-feira Santa, crucificação e morte de Jesus Cristo, é celebrada de várias formas: O Ofício das Trevas, silêncio por 12 horas, cultos especiais, procissões com o Cristo crucificado e auto flagelo; além das tradições populares tais como o não comer carne de animais e/ou fazer deste dia uma festa do peixe e do vinho.
Páscoa, ressurreição de Jesus Cristo. É a grande festa de alegria, da absolvição, da esperança da ressurreição e da vida eterna, celebrada com cultos de louvor e júbilo; para a sociedade, porém, a festa do chocolate, com uma série de lendas em torno de coelhinhos e ovos.
Ascensão, subida de Jesus ao céu. É a festa na qual celebramos a triunfante subida de Jesus aos céus, para assentar-se à direita do Pai. Esta festa, infelizmente, está caindo no esquecimento. Poucas são as comunidades que celebram culto na quinta-feira da Ascensão. E mesmo que o domingo após a Ascensão ofereça boa oportunidade para se falar a respeito, esta oportunidade nem sempre é aproveitada.
Compreendemos ainda este importante passo na exaltação de Jesus e o que isto significa para nós, seus seguidores? Vamos refletir sobre esta verdade que confessamos no Credo Apostólico: "Creio que Jesus Cristo, verdadeiro Deus ... e verdadeiro homem ... desceu ao inferno, no terceiro dia ressuscitou dos mortos, subiu ao céu, e está sentado à direita de Deus Pai todo-poderoso, donde há de vir a julgar os vivos e os mortos."

1. Importância e significado
A ascensão de Cristo é o término de sua missão vicária e de sua presença visível na terra. De certa forma, a Sexta-feira Santa é o dia das trevas. Se Sexta-feira Santa fosse a palavra final, estaríamos perdidos e nos restaria a confissão de desespero dos discípulos de Emaús: "Ora, nós esperávamos que fosse ele quem havia de redimir a Israel" (Lucas 24.21 RA), seria o triunfo da lei, da condenação, de Satanás e do Inferno. Mas com a Páscoa tudo mudou. Cristo triunfou sobre os poderes das trevas, sobre o pecado, a morte e Satanás. Jesus pôde saudar seus discípulos com as palavras: "Paz seja convosco! E, dizendo isto, lhes mostrou as mãos e o lado. Alegraram-se, portanto, os discípulos ao verem o Senhor" (João 20.19-20 RA). O apóstolo Paulo jubila ao escrever: "Onde está, ó morte, a tua vitória? Onde está, ó morte, o teu aguilhão? O aguilhão da morte é o pecado, e a força do pecado é a lei. Graças a Deus, que nos dá a vitória por intermédio de nosso Senhor Jesus Cristo" (1 Coríntios 15.55-57 RA). Agora, a cristandade pode confessar alegre e vitoriosamente: "Creio na ressurreição da carne e na vida eterna." Pois a ascensão de Cristo é a aprovação e confirmação divina de toda a obra redentora de Cristo, sim sua coroação como Rei dos reis e Senhor dos senhores, como Redentor e Juiz de vivos e de mortos. Não deveria a cristandade celebrar esta festa com cultos de júbilo e de louvor?
2. A celebração da festa nos primeiros séculos
Nos primeiros séculos, a cristandade celebrou a gloriosa e vitoriosa ascensão de Cristo com muito júbilo. Jesus viveu 33 anos aqui na terra, então retornou triunfante ao céu para tomar posse do seu reino e foi recebido com júbilo pelos anjos.
Historiadores relatam sobre os festejos no tempo de Agostinho (AD 354-430). Um relato de AD 385 afirma que o dia da Ascensão era celebrado em Jerusalém com uma peregrinação para o monte das Oliveiras e culto campal. Consta que a Imperatriz Helena, nascida na Inglaterra, mãe do Imperador Constantino I e esposa de Constâncio (248 - 328 AD), por volta de 327 peregrinou para à Terra Santa e fez erguer ali a capela da Natividade e da Ascensão. O historiador inglês, Bede, do século VIII, relata que a celebração da Ascensão de Cristo igualava-se aos festejos da Páscoa e muitas comunidades tinham o hábito de celebrarem a "Quinta-feira Santa da Ascensão" com um culto campal.
3. A Ascensão nas profecias do Antigo Testamento
A ascensão de Cristo foi predita no Antigo Testamento. Os textos próprios são: "Subiu Deus por entre aclamações, o SENHOR, ao som de trombeta" (Salmos 47.5 RA). "Subiste às alturas, levaste cativo o cativeiro; recebeste homens por dádivas, até mesmo rebeldes, para que o SENHOR Deus habite no meio deles" (Salmos 68.18 RA; Ef 4.8-10). No Salmo 110 lemos: "Disse o SENHOR ao meu senhor: Assenta-te à minha direita, até que eu ponha os teus inimigos debaixo dos teus pés" (Salmos 110.1 RA). O Salmo 22 fala do sofrimento de Cristo e aponta para sua vitória. "Confiou no SENHOR! Livre-o ele; salve-o, pois nele tem prazer ... Pois do SENHOR é o reino, é ele quem governa as nações" (Salmos 22.8,28 RA). O profeta Isaías também fala do Servo sofredor e de sua vitória final: "Ele verá o fruto do penoso trabalho de sua alma e ficará satisfeito ... Por isso, eu lhe darei muitos como a sua parte, e com os poderosos repartirá ele o despojo" (Isaías 53.11-12 RA).
4. Referências do Novo Testamento. 
No Novo Testamento temos muitas referências à ascensão de Cristo. Os quatro evangelhos falam da ascensão, porque Jesus se referiu a ela muitas vezes. Os discípulos não viram o ato da ressurreição de Jesus, mas viram o efeito. Eles viram o ressuscitado e tiveram contato com ele. Em Jerusalém, Jesus se manifestou às mulheres quando elas estavam voltando da sepultura, depois a Maria Madalena, a Pedro, aos discípulos de Emaús. Na noite da Páscoa, Jesus apareceu aos discípulos e uma semana depois mais uma vez a todos eles, especialmente a Tomé. Depois foram para a Galiléia, conforme Jesus lhes ordenara. Ali Jesus se manifestou a eles diversas vezes, durante um período de 40 dias. Na ascensão viram o ato e o efeito, que experimentamos até hoje.
Mateus resume as últimas instruções de Jesus dadas a seus discípulos no monte da Galiléia, onde Jesus apareceu a mais de 500 pessoas de uma só vez. Lemos: "Jesus, aproximando-se, falou-lhes, dizendo: Toda a autoridade me foi dada no céu e na terra. Ide, portanto, fazei discípulos de todas as nações, batizando-os em nome do Pai, e do Filho, e do Espírito Santo; ensinando-os a guardar todas as coisas que vos tenho ordenado. E eis que estou convosco todos os dias até à consumação do século" (Mateus 28.18-20 RA). Algumas observações: Jesus, como Deus e homem, recebeu todo o poder; especialmente o mais sublime de todos os poderes, o poder de perdoar pecados. Agora ele governa com poder sobre o universo, com graça a sua igreja e com glória os que estão nos céus. Como Rei e Salvador, ele ordenou a seus discípulos que fossem fazer discípulos de todas as nações. Mostrou-lhes também como deveriam fazê-lo: batizando e ensinando. Por estes meios o Espírito atua nos corações para iluminar, chamar, santificar, fortalecer e congregar. O batizar e ensinar "os", não se refere aos discípulos, mas aos "indivíduos" das nações, que deveriam ser evangelizados. Maiores detalhes sobre como batizar e ensinar encontramos em Atos e nas cartas dos apóstolos. Se devemos fazer discípulos de todas as nações, então devemos fazer discípulos também das crianças, que nascem em pecado. Elas precisam do perdão, sendo o batismo o único meio dado por Jesus, para gerar nas crianças a fé cristã. Adultos devem ser instruídos primeiro e então batizados, como o vemos no dia de Pentecostes (At 2.37-41). "Guardar todas as coisas", não é um simples obedecer. A palavra "guardar" significa mais, significa guardar no coração, isto é, confiar na palavra, a saber, crer de coração (Lc 2.19; Lc 11.18). Pelo ensino da palavra o Espírito Santo gera a fé e a fortalece. "E, assim, a fé vem pela pregação, e a pregação, pela palavra de Cristo" (Romanos 10.17 RA).
Marcos é bastante sucinto no seu relato. Ele fornece um resumo dos principais acontecimentos após a ressurreição de Cristo. Os discípulos não creram no testemunho das mulheres. Então Jesus lhes apareceu pessoalmente e comeu com eles (Jo 20). Agora eram testemunhas oculares da ressurreição de Jesus. Marcos descreve o que aconteceu após crerem. "De fato, o Senhor Jesus, depois de lhes ter falado, foi recebido no céu e assentou-se à destra de Deus. E eles, tendo partido, pregaram em toda parte, cooperando com eles o Senhor e confirmando a palavra por meio de sinais, que se seguiam" (Marcos 16.19-20 RA). O elemento importante em Marcos é a afirmação: "Assentou-se à direita de Deus."
Lucas, de profissão médico, fornece dois relatos sobre a ascensão de Cristo. O primeiro, no final de seu evangelho e o outro, no início de Atos dos Apóstolos. Ele descreve a ascensão com muitos detalhes.
A primeira referência de Lucas com respeito à ascensão de Jesus é a seguinte: "E aconteceu que, ao se completarem os dias em que devia ele ser assunto ao céu, manifestou, no semblante, a intrépida resolução de ir para Jerusalém" (Lucas 9.51 RA). Jesus havia falado a seus discípulos sobre o seu sofrimento e sua glória futura no céu. Por isso disse também aos discípulos de Emaús: "Ó néscios e tardos de coração para crer tudo o que os profetas disseram! Porventura, não convinha que o Cristo padecesse e entrasse na sua glória?" (Lucas 24.25-26 RA).
O fato da ascensão, Lucas descreve assim: "Então, os levou para Betânia e, erguendo as mãos, os abençoou. Aconteceu que, enquanto os abençoava, ia-se retirando deles, sendo elevado para o céu" (Lucas 24.50-51 RA).
O Livro de Atos, no qual Lucas relata sobre a expansão do reino de Deus, ele inicia assim: "Escrevi o primeiro livro, ó Teófilo, relatando todas as coisas que Jesus começou a fazer e a ensinar até ao dia em que, depois de haver dado mandamentos por intermédio do Espírito Santo aos apóstolos que escolhera, foi elevado às alturas ... Ditas estas palavras, foi Jesus elevado às alturas, à vista deles, e uma nuvem o encobriu dos seus olhos. E, estando eles com os olhos fitos no céu, enquanto Jesus subia, eis que dois varões vestidos de branco se puseram ao lado deles e lhes disseram: Varões galileus, por que estais olhando para as alturas? Esse Jesus que dentre vós foi assunto ao céu virá do modo como o vistes subir" (Atos 1.1,2,9-11 RA). O elemento novo aqui é a afirmação sobre a volta de Jesus em glória.
João, o evangelista. No evangelho de João encontramos 50% das declarações de Jesus sobre sua ascensão. Vamos acompanhar algumas das citações: "Ora, ninguém subiu ao céu, senão aquele que de lá desceu, a saber, o Filho do Homem que está no céu" (João 3.13 RA). No sermão da multiplicação dos pães em Cafarnaum, após ter alimentado a multidão, Jesus disse a seus discípulos: "Ainda por um pouco de tempo estou convosco e depois irei para junto daquele que me enviou. Haveis de procurar-me e não me achareis; também aonde eu estou, vós não podeis ir" (João 7.33-34 RA). Isto Jesus falou a respeito de sua ascensão.
As afirmações mais impressionantes sobre a ascensão encontramos nas palavras que Jesus falou em seus últimos cinco dias de vida, a partir do domingo, que conhecemos como o domingo de Ramos. Estas palavras encontramos registradas a partir do capítulo 12 de João. Vejamos. Após seu sermão no templo, ouviu-se uma voz do céu que disse: "Eu já o glorifiquei e ainda o glorificarei" (João 12.28 RA). Jesus disse: "E eu, quando for levantado da terra, atrairei todos a mim mesmo" (João 12.32 RA). Antes de lavar os pés dos discípulos, Jesus disse: "Ora, antes da Festa da Páscoa, sabendo Jesus que era chegada a sua hora de passar deste mundo para o Pai, tendo amado os seus que estavam no mundo, amou-os até ao fim" (João 13.1 RA). Tendo Judas saído do cenáculo, onde celebravam a santa ceia, Jesus disse: "Agora, foi glorificado o Filho do Homem, e Deus foi glorificado nele; se Deus foi glorificado nele, também Deus o glorificará nele mesmo; e glorificá-lo-á imediatamente" (João 13.31-32 RA). O "glorificar" significa que a graça, o amor de Deus aos pecadores, esta obra da salvação começa a ser executada e manifestada. Esta é a glória de Deus. Este amor exaltamos e glorificamos. No seu sermão de despedida em João 14 a 17, existem 9 referências com respeito à sua saída da terra. Jesus prometeu a seus discípulos: "Na casa de meu Pai há muitas moradas. Se assim não fora, eu vo-lo teria dito. Pois vou preparar-vos lugar" (João 14.2 RA). "Em verdade, em verdade vos digo que aquele que crê em mim fará também as obras que eu faço e outras maiores fará, porque eu vou para junto do Pai. E tudo quanto pedirdes em meu nome, isso farei, a fim de que o Pai seja glorificado no Filho" (João 14.12-13 RA). "Ouvistes que eu vos disse: vou e volto para junto de vós. Se me amásseis, alegrar-vos-íeis de que eu vá para o Pai, pois o Pai é maior do que eu. Disse-vos agora, antes que aconteça, para que, quando acontecer, vós creiais" (João 14.28-29 RA). "Mas, agora, vou para junto daquele que me enviou, e nenhum de vós me pergunta: Para onde vais?" (João 16.5 RA). "Mas eu vos digo a verdade: convém-vos que eu vá, porque, se eu não for, o Consolador não virá para vós outros; se, porém, eu for, eu vo-lo enviarei" (João 16.7 RA). "Tudo quanto o Pai tem é meu; por isso é que vos disse que há de receber do que é meu e vo-lo há de anunciar. Um pouco, e não mais me vereis; outra vez um pouco, e ver-me-eis. Então, alguns dos seus discípulos disseram uns aos outros: Que vem a ser isto que nos diz: Um pouco, e não mais me vereis, e outra vez um pouco, e ver-me-eis; e: Vou para o Pai?" (João 16.15-17 RA). "Vim do Pai e entrei no mundo; todavia, deixo o mundo e vou para o Pai" (João 16.28 RA). Em sua oração sumo sacerdotal, Jesus repete que irá para o Pai (Jo 17.11,13).
Referências após sua ressurreição encontramos no capítulo 20, Jesus disse a Maria Madalena: "Não me detenhas; porque ainda não subi para meu Pai, mas vai ter com os meus irmãos e dize-lhes: Subo para meu Pai e vosso Pai, para meu Deus e vosso Deus" (João 20.17 RA).
Referências das cartas dos apóstolos. Temos muitas referências nas cartas dos apóstolos. Vejamos algumas palavras das cartas de Paulo e de Pedro. O apóstolo Paulo, em sua carta aos efésios, escreve sobre a ascensão de Cristo e seu resultado, como segue: "E qual a suprema grandeza do seu poder para com os que cremos, segundo a eficácia da força do seu poder; o qual exerceu ele em Cristo, ressuscitando-o dentre os mortos e fazendo-o sentar à sua direita nos lugares celestiais, acima de todo principado, e potestade, e poder, e domínio, e de todo nome que se possa referir, não só no presente século, mas também no vindouro. E pôs todas as coisas debaixo dos pés, e para ser o cabeça sobre todas as coisas, o deu à igreja, a qual é o seu corpo, a plenitude daquele que a tudo enche em todas as coisas" (Efésios 1.19-23 RA). O apóstolo Pedro em sua carta às congregações da Ásia Menor, escreve: "O qual, depois de ir para o céu, está à destra de Deus, ficando-lhe subordinados anjos, e potestades, e poderes" (1 Pedro 3.22 RA).
Hebreus, um livro do Novo Testamento, fala muito da Ascensão de Jesus. Vejamos alguns detalhes. "Ele, que é o resplendor da glória e a expressão exata do seu Ser, sustentando todas as coisas pela palavra do seu poder, depois de ter feito a purificação dos pecados, assentou-se à direita da Majestade, nas alturas" (Hebreus 1.3 RA). Falando sobre o sumo sacerdote Jesus, o escritor aos hebreus declara: "Ora, o essencial das coisas que temos dito é que possuímos tal sumo sacerdote, que se assentou à destra do trono da Majestade nos céus, como ministro do santuário e do verdadeiro tabernáculo que o Senhor erigiu, não o homem" (Hebreus 8.1,2 RA). No capítulo 10 lemos: "Ora, todo sacerdote se apresenta, dia após dia, a exercer o serviço sagrado e a oferecer muitas vezes os mesmos sacrifícios, que nunca jamais podem remover pecados; Jesus, porém, tendo oferecido, para sempre, um único sacrifício pelos pecados, assentou-se à destra de Deus, aguardando, daí em diante, até que os seus inimigos sejam postos por estrado dos seus pés. Porque, com uma única oferta, aperfeiçoou para sempre quantos estão sendo santificados" (Hebreus 10.11-14 RA).
5. Verbos usados no original para descrever a ascensão
O texto grego usa 13 verbos diferentes para descrever a forma da ascensão. Vejamos a tradução dos textos em português. 1) Subir: Jo 3.13; 6.62; 20.17. 2) Foi recebido: Mc 16.19; At 1.11. 3) Assunto ao céu: Lc 9.51. 4) Ia-se retirando deles: Lc 24.51. 5) Que eu vá: Jo 16.7 (20.10). 6) Elevado para o céu: Lc 2.51. 7) Elevado às alturas: At 1.9. 8) Vou para junto de ti: At 17.11. 9) Irei: Jo 7.33; 13.3; 14.4,28; 16.5,10. 10) Elevado às alturas: At 1.9. 11) Elevado da terra: Jo 12.32. 12) Vou preparar-vos lugar: Jo 14.2,3,12; 16.28; At 1.10-11.
6. O fato da Ascensão 
Vamos resumir o que os evangelistas e apóstolos escreveram sobre a ascensão de Jesus. Após a ressurreição, Jesus manifestou-se a seus discípulos em Jerusalém. Não parece ter sido a sua intenção revelar-se ali a eles. Pois os anjos disseram às mulheres que Jesus queria encontrar-se com os discípulos na Galiléia. Mas, devido a incredulidade deles, Jesus lhes apareceu ainda no domingo da páscoa à noite, falou e comeu com eles. Bem assim uma semana depois, especialmente para convencer a Tomé. Então os discípulos foram para a Galiléia, onde Jesus se manifestou a eles durante quarenta dias. Ele os instruiu sobre o reino de Deus, falou-lhes do seu poder, de sua volta para o Pai, da missão de fazerem discípulos, de sua volta em glória para julgar vivos e mortos, do novo céu e da nova terra. Ao final dos 40 dias, Jesus ordenou-lhes que voltassem para Jerusalém. Tendo-se encontrado com eles em Jerusalém, foi com eles para o monte Olival que dista de Jerusalém mais ou menos um quilômetro, no caminho para Betânia. Ali, dando-lhes as últimas ordens e abençoando-os, foi elevado à vista deles para o céu, até que uma nuvem o encobriu. Pasmados, viram então dois anjos que lhes disseram: "Varões galileus, por que estais olhando para as alturas? Esse Jesus que dentre vós foi assunto ao céu virá do modo como o vistes subir" (Atos 1.11).
Este é o glorioso acontecimento da ascensão de Cristo. Ele compreende dois fatos: O fato de sua ascensão ao céu e o fato do assentar-se à direita do Pai. Agora Jesus governa como Deus e homem sobre céu e terra. Ele enche céu e terra como Deus e homem. Jesus desfruta agora, também como homem, todo o poder divino que ele tinha antes de sua encarnação. Poder este, do qual abrira mão voluntariamente durante os dias de sua humilhação. Mas agora, usa totalmente todo o seu poder e toda a sua majestade comunicada a sua natureza humana. E como homem é agora também onisciente, onipotente e onipresente. E nós aguardamos sua vinda em glória para julgar vivos e mortos.
O assentar-se à direita do Pai - O que significa este assentar-se à direita do Pai? Deus, na verdade não tem mãos humanas ou olhos humanos para ver, ou pés para andar. Isto são figuras de linguagem. Pois Deus é espírito. A direita indica poder e autoridade. Deus entregou a Jesus todo o poder e o governo sobre todas as coisas. O apóstolo Paulo, relembrando o Salmo 68.18, escreve: "Ora, que quer dizer subiu, senão que também havia descido às regiões inferiores da terra? Aquele que desceu é também o mesmo que subiu acima de todos os céus, para encher todas as coisas" (Efésios 4.9-10 RA). A ascensão de Cristo é portanto a retirada de sua presença visível na terra. Isto não significa que ele não está mais aqui. Agora Jesus está em toda a parte como Deus e homem. Por isso temos certeza de que, conforme as palavras da instituição da santa ceia, ele está verdadeiramente presente na santa ceia e nós recebemos com, em e sob o pão o verdadeiro corpo de Cristo e com, em e sob o vinho o verdadeiro sangue de Cristo. Pois, ao dizer: "E eis que estou convosco todos os dias até à consumação do século" (Mateus 28.20), ele está dizendo que estará, como Deus e homem, com seus discípulos. Cristo, como Deus e homem governa e exerce seus ofícios de profeta, de sumo sacerdote e de rei.
7. Os ofícios de Jesus: profeta, sumo sacerdote, e rei
Jesus, o único profeta. Jesus é o Verbo, o Deus que "disse", que fala. No Antigo Testamento, Jesus falou pelos profetas. Depois veio pessoalmente e ensinou as multidões. Ao subir ao céu, deu ordem a seus apóstolos e encarregou a igreja de proclamar o evangelho. Ele disse: "Quem vos der ouvidos ouve-me a mim; e quem vos rejeitar a mim me rejeita; quem, porém, me rejeitar rejeita aquele que me enviou" (Lucas 10.16 RA). O apóstolo Paulo afirma: "Aquele que desceu é também o mesmo que subiu acima de todos os céus, para encher todas as coisas. E ele mesmo concedeu uns para apóstolos, outros para profetas, outros para evangelistas e outros para pastores e mestres, com vistas ao aperfeiçoamento dos santos para o desempenho do seu serviço, para a edificação do corpo de Cristo" (Efésios 4.10-12 RA). O grande comissionamento ordena pregar o evangelho a todas as nações (Mt 28.18-20; At 1.8).
Jesus é o verdadeiro e único sumo sacerdote. Isto é, intermediário entre Deus e a humanidade. Ele, como verdadeiro Deus e verdadeiro homem, sendo perfeitamente santo, como substituto da humanidade, cumpriu perfeitamente a lei, trouxe, pelo derramar do seu sangue, o único sacrifício pelo qual reconciliou a humanidade com Deus e intercede pelos seus. O apóstolo Paulo escreveu: "Porque ele é a nossa paz, o qual de ambos fez um; e, tendo derrubado a parede da separação que estava no meio, a inimizade, aboliu, na sua carne, a lei dos mandamentos na forma de ordenanças, para que dos dois criasse, em si mesmo, um novo homem, fazendo a paz, e reconciliasse ambos em um só corpo com Deus, por intermédio da cruz, destruindo por ela a inimizade" (Efésios 2.14-16 RA). E: "Porquanto há um só Deus e um só Mediador entre Deus e os homens, Cristo Jesus, homem, o qual a si mesmo se deu em resgate por todos: testemunho que se deve prestar em tempos oportunos" (1 Timóteo 2:5-6 RA). O autor da carta aos hebreus assegura aos crentes: "Ora, o essencial das coisas que temos dito é que possuímos tal sumo sacerdote, que se assentou à destra do trono da Majestade nos céus" (Hebreus 8.1 RA). O apóstolo Paulo escreveu aos cristãos de Roma: "Quem os condenará? É Cristo Jesus quem morreu ou, antes, quem ressuscitou, o qual está à direita de Deus e também intercede por nós" (Romanos 8.34 RA). O apóstolo João conforta seus leitores com a promessa: "Filhinhos meus, estas coisas vos escrevo para que não pequeis. Se, todavia, alguém pecar, temos Advogado junto ao Pai, Jesus Cristo, o Justo; e ele é a propiciação pelos nossos pecados e não somente pelos nossos próprios, mas ainda pelos do mundo inteiro" (1 João 2.1-2 RA).
Jesus é Rei. Ele exerce um reino tríplice: o reino do poder, da graça e da glória. Nosso Catecismo Menor o define assim: "Cristo domina poderosamente todas as criaturas e especialmente governa e protege a sua igreja, conduzindo-a finalmente à glória eterna." (Cat. Menor, perg. 148). Jesus governa com poder sobre todas as criaturas e ninguém poderá lhe resistir. Jesus, aproximando-se, falou-lhes, dizendo: "Toda a autoridade me foi dada no céu e na terra" (Mateus 28.18 RA). Jesus governa a sua igreja com graça. Isto é, durante todo o tempo da graça até a sua vinda em glória, o evangelho deve ser pregado no mundo e os sacramentos administrados conforme ele os instituiu. Por meio do evangelho e dos sacramentos, o Espírito Santo trabalha poderosamente, operando e conservando a fé, consolando com a palavra do perdão. Perdoa abundante e diariamente todos os pecados aos que nele crêem. "Então, lhe disse Pilatos: Logo, tu és rei? Respondeu Jesus: Tu dizes que sou rei. Eu para isso nasci e para isso vim ao mundo, a fim de dar testemunho da verdade. Todo aquele que é da verdade ouve a minha voz" (João 18.37 RA). Mas esta graça é resistível, como bem afirmou Estevão aos judeus: "Homens de dura cerviz e incircuncisos de coração e de ouvidos, vós sempre resistis ao Espírito Santo; assim como fizeram vossos pais, também vós o fazeis" (Atos 7.51 RA). E os fiéis que já faleceram e estão com Cristo na glória ele coroa de glória e felicidade. O apóstolo Paulo confessa: "O Senhor me livrará também de toda obra maligna e me levará salvo para o seu reino celestial. A ele, glória pelos séculos dos séculos. Amém!" (2 Timóteo 4.18 RA).
Finalmente, terminado o tempo da graça, Jesus voltará em glória para julgar vivos e mortos. O propósito da segunda vinda de Cristo não é estabelecer um reino terreno, o milênio (Ap 20.2). Esta passagem de Apocalipse deve ser interpretada à luz das afirmações dos evangelhos e das cartas dos apóstolos. Então veremos que o prender a Satanás por mil anos, tem sentido figurativo. Isto é um período determinado por Deus, é o tempo da graça no qual vivemos, no qual o evangelho é pregado. E pelo evangelho o Espírito Santo liberta as pessoas do poder de Satanás. Quando Jesus voltar, ele voltará em glória com grande poder e majestade e todos os santos anjos com ele. Todos os mortos serão ressuscitados. Jesus julgará a todos com justiça. Cristo é a consumação de todas as cousas, a consumação dos séculos. Então criará o novo céu e a nova terra, onde os fiéis estarão com Cristo em eterna felicidade e bem-aventurança. Mas os incrédulos irão para o fogo eterno.
8. Objeções à ascensão de Jesus
A ascensão de Cristo ocorreu de forma aberta num monte. Foi um evento visível. Um dos anjos repentinamente presente na ascensão, disse aos discípulos: "Varões galileus, por que estais olhando para as alturas? Esse Jesus que dentre vós foi assunto ao céu virá do modo como o vistes subir" (Atos 1.11 RA). A ascensão de Cristo foi um evento histórico, tal como a encarnação, sua morte e sua ressurreição. Foi um ato que ocorreu no tempo e no espaço, ele não desapareceu repentinamente, mas foi elevado ao céu de forma visível diante de onze testemunhas, seus discípulos. A ascensão foi gradual, efetuada por seu próprio poder, foi uma ida majestosa para o céu.
Mesmo assim muitos não aceitam o fato. Os teólogos da teologia liberal e luteranos neo-ortodoxos rejeitam o fato histórico. Eles não aceitam os milagres relatados na Bíblia e dizem que são mitos. Entres estes teólogos, os mais conhecidos são: Barth, Bultmann, Tillich, Kirkegard, Brunner e outros.
Os teólogos reformados como Zinglio e Calvino rejeitam a doutrina da comunhão das duas naturezas de Cristo, a divina e a humana numa só pessoa, de forma inseparável. Mas a Bíblia é clara: "E o Verbo se fez carne e habitou entre nós, cheio de graça e de verdade, e vimos a sua glória, glória como do unigênito do Pai" (João 1.14 RA). "Porquanto, nele, habita, corporalmente, toda a plenitude da Divindade" (Colossenses 2.9 RA). Consequentemente, eles não aceitam a doutrina da humilhação e da exaltação de Cristo. "Cremos que a humilhação de Cristo consistiu em não ter ele usado sempre e inteiramente a majestade divina, comunicada à sua natureza humana (Cat. Menor, perg. 155). E sua "exaltação consistiu em que ele usa sempre e inteiramente a majestade divina comunicada à sua natureza humana" (Cat. Menor, perg. 165). Por isso julgam que Jesus, quanto à sua pessoa humana, está confinado num lugar no céu e que, com sua igreja aqui na terra, ele está só com sua natureza divina, como espírito. Isto faz de Cristo duas pessoas. Esta doutrina errada tem contribuído para desmerecer esta tão jubilosa festa no meio evangélico. Não nos deixemos enganar por tais argumentações falhas. A Escritura o coloca de forma incontestável. Jesus afirmou: "E bem-aventurado é aquele que não achar em mim motivo de tropeço" (Mateus 11.6 RA). E: "Bem-aventurados são os que ouvem a palavra de Deus e a guardam!" (Lucas 11.28 RA).
9. O resultado da Ascensão para seus seguidores
1. Vitória - Como substituto de toda a humanidade, Jesus pagou o preço pelos pecados e venceu nossos inimigos, pecado, morte e Satanás. A ascensão de Cristo foi o tomar posso do seu reino. Ele disse: Toda a autoridade me foi dada no céu e na terra" (Mt 28.18). O apóstolo Paulo afirma: "Por isso, diz: Quando ele subiu às alturas, levou cativo o cativeiro e concedeu dons aos homens" (Efésios 4.8 RA). "Bendito seja o Senhor que, dia a dia, leva o nosso fardo! Deus é a nossa salvação" (Salmos 68.19 RA). "E, despojando os principados e as potestades, publicamente os expôs ao desprezo, triunfando deles na cruz" (Colossenses 2.15 RA).
2. A Igreja - Esta vitória possibilitou a existência da igreja do Novo Testamento. Vitorioso, Jesus ordenou: "Ide fazei discípulos de todas as nações" (Mt 28.19), e prometeu: "Onde estiverem dois ou três reunidos em meu nome, ali estarei no meio deles" (Mt 18.20).
3. Dignidade - A ascensão de Jesus, como pessoa humana, dignifica o ser humano. Nosso irmão na carne está lá. O Espiritismo despreza a matéria, Cristo a dignifica. Aos seus Jesus disse: "E a vida eterna é esta: que te conheçam a ti, o único Deus verdadeiro, e a Jesus Cristo, a quem enviaste" (João 17.3 RA). "Eu lhes tenho transmitido a glória que me tens dado, para que sejam um, como nós o somos. (João 17.22 RA). "Pai, a minha vontade é que onde eu estou, estejam também comigo os que me deste, para que vejam a minha glória que me conferiste, porque me amaste antes da fundação do mundo" (João 17.24 RA).
4. Lugar - O céu foi aberto para os discípulos de Cristo, aos fiéis. Ele foi preparar lugar para seus seguidores. Ele mesmo disse: "Na casa de meu Pai há muitas moradas. Se assim não fora, eu vo-lo teria dito. Pois vou preparar-vos lugar. E, quando eu for e vos preparar lugar, voltarei e vos receberei para mim mesmo, para que, onde eu estou, estejais vós também" (João 14.2,3). "Se alguém me serve, siga-me, e, onde eu estou, ali estará também o meu servo. E, se alguém me servir, o Pai o honrará" (João 12.26 RA).
5. Novo propósito de vida - A ascensão de Cristo dá aos fiéis um novo propósito de vida. "Porque, onde está o teu tesouro, aí estará também o teu coração" (Mateus 6.21 RA). Por isso recomenda o apóstolo Paulo: "Portanto, se fostes ressuscitados juntamente com Cristo, buscai as coisas lá do alto, onde Cristo vive, assentado à direita de Deus" (Colossenses 3.1 RA).
6. O Espírito Santo e dons - Jesus prometeu e enviou o seu Espírito Santo conforme a profecia de Joel 3.1-4. Ele prometeu: "Mas eu vos digo a verdade: convém-vos que eu vá, porque, se eu não for, o Consolador não virá para vós outros; se, porém, eu for, eu vo-lo enviarei" (João 16.7 RA). Ele prometeu dons aos homens. "Aquele que desceu é também o mesmo que subiu acima de todos os céus, para encher todas as coisas. E ele mesmo concedeu uns para apóstolos, outros para profetas, outros para evangelistas e outros para pastores e mestres, com vistas ao aperfeiçoamento dos santos para o desempenho do seu serviço, para a edificação do corpo de Cristo" (Efésios 4.10-12 RA). O que Jesus prometeu, ele cumpriu. O Espírito Santo foi enviado no dia de Pentecostes. Ele é nosso guia e Consolador. Ele concede dons aos homens e os torna aptos para todo o trabalho no reino de Deus. O Espírito Santo atua até agora.
7. Intercede - Jesus intercede por nós como nosso sumo sacerdote. "Filhinhos meus, estas coisas vos escrevo para que não pequeis. Se, todavia, alguém pecar, temos Advogado junto ao Pai, Jesus Cristo, o Justo" (1 João 2.1 RA). "Quem os condenará? É Cristo Jesus quem morreu ou, antes, quem ressuscitou, o qual está à direita de Deus e também intercede por nós" (Romanos 8.34 RA).
8. Governa - Jesus, governa poderosamente como rei. No reino do poder, governa com poder irresistível sobre todas as coisas a favor de sua igreja. No reino da graça, governa com graça sobre seus fiéis, perdoando abundante e diariamente os pecados a seus fiéis. Mas sua igreja, enquanto aqui na terra, ainda está em humilhação, em lutas e fraquezas, exposta a sofrimentos e perseguições (Hb 11). No reino da glória, coroa os fiéis com a glória celestial por toda a eternidade. "Jesus, aproximando-se, falou-lhes, dizendo: Toda a autoridade me foi dada no céu e na terra" (Mateus 28.18 RA). "Através de muitas tribulações, nos importa entrar no reino de Deus" (Atos 14:22 RA). "O Senhor me livrará também de toda obra maligna e me levará salvo para o seu reino celestial. A ele, glória pelos séculos dos séculos. Amém!" (2 Timóteo 4.18 RA).
9. A glória - Aguardamos o momento de entrar na glória. Já conhecemos esta glória pela palavra e a temos em fé. Em breve, quando Jesus nos chamar ou se tivermos o privilégio de ver sua volta em vida, passaremos do crer para o ver. Ele disse: "Eu lhes tenho transmitido a glória que me tens dado, para que sejam um, como nós o somos; eu neles, e tu em mim, a fim de que sejam aperfeiçoados na unidade, para que o mundo conheça que tu me enviaste e os amaste, como também amaste a mim. Pai, a minha vontade é que onde eu estou, estejam também comigo os que me deste, para que vejam a minha glória que me conferiste, porque me amaste antes da fundação do mundo" (João 17.22-24 RA). Que palavras maravilhosas, consoladoras e cheias de esperança. Não é de se admirar que, ao lermos estas palavras, exclamamos como o apóstolo Paulo: "Ora, de um e outro lado, estou constrangido, tendo o desejo de partir e estar com Cristo, o que é incomparavelmente melhor" (Filipenses 1.23 RA).
10. Fiéis - Mas enquanto aguardamos a manifestação de sua glória, o passar do ver para o crer, queremos ser fiéis (Ap 2.10) na fé e abundantes em toda a obra do Senhor (1 Co 15.58), a fim de proclamarmos sua palavra, para a edificação da igreja, enquanto durar o tempo da graça.
Conclusão 
A festa da ascensão de Cristo é a grande festa de júbilo pela vitória de Cristo e pelas bênçãos eternas que esta vitória nos traz.
Que a reflexão sobre a ascensão de nosso Senhor Jesus Cristo nos firme na fé. Nossa razão jamais compreenderá este grande mistério da união das duas pessoas de Cristo, a divina e a humana. Cumpre-nos, no entanto, louvar e adorá-lo pela magnífica obra da salvação. Jubilamos porque ele nos libertou da terrível escravidão do pecado, da morte e de Satanás. Jubilamos em esperança porque, mesmo andando aqui na terra ainda sob a cruz e em humilhação, expostos aos sofrimentos, às injustiças e muitas vezes a cruéis perseguições, não tememos. Sabemos que Jesus, nosso irmão na carne, nos libertou e em breve veremos a glória que ele tem preparado para os seus. O novo céu e a nova terra onde não haverá mais injustiça, nem dor, nem tristeza, só alegria sobre alegria, felicidade sobre felicidade e glória eterna (Ap 21.1-5).
Mas enquanto durar o tempo da graça, queremos proclamar o evangelho e fazer tudo para que o evangelho seja proclamado para a salvação de muitos. Queremos adorá-lo, confessá-lo, ofertar para formar pastores e missionários, enviar e amparar as missões, zelar para que haja literatura cristã. E orar por todos estes trabalhos.
Celebremos o seu nome como os anjos nos céus que clamam ininterruptamente em grande voz, dizendo: "Ao nosso Deus, que se assenta no trono, e ao Cordeiro, pertence a salvação. Todos os anjos estavam de pé rodeando o trono, os anciões e os quatro seres viventes, e ante o trono se prostraram sobre o seu rosto, e adoraram a Deus, dizendo: Amém! O louvor, e a glória, e a sabedoria, e as ações de graças, e a honra, e o poder, e a força sejam ao nosso Deus, pelos séculos dos séculos. Amém!" (Apocalipse 7.10-12 RA). 

(Rev. Horst Kuchenbecker - Porto Alegre, 20/04/1999)

Pra se pensar ....

Desespero anunciado

Desespero anunciado Para que essa agonia exorbitante? Parece que tudo vai se esvair O que se deve fazer? Viver recluso na pr...