San Raymondo de Penafort


São Raimundo de Peñafort

7 de Janeiro


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São Raimundo de PeñafortNasceu no castelo de Peñafort, Barcelona, Espanha, no ano de 1175. Desde cedo, muito dedicado aos estudos, ele se especializou em Bolonha, na Itália, na universidade onde se tornou também um reconhecido mestre. Deixou aquela realidade que tanto amava para obedecer ao Bispo de Barcelona que o queria como cônego. Ele prestou esse serviço até discernir seu chamado à vida religiosa, quando entrou para a família dominicana e continuou em vários cargos de formação, mas aberto à realidade e às necessidades da Igreja, onde exerceu o papel de teólogo do Cardeal-bispo de Sabina; também foi legado na região de Castela e Aragão; depois, transferido para Roma, ocupou vários cargos.

Ele não buscava nem tinha em mente um projeto de ocupar este ou aquele serviço, mas foi fiel àquilo que davam a ele como trabalho para a edificação da Igreja. Na Cúria Romana, quantos cargos ligados a Teologia, Direito Canônico! Um homem de prudência, de governo. Seu último cargo foi de penitencieiro-mor do Sumo Pontífice. Quiseram até escolhê-lo como Arcebispo, mas, nesta altura, ele voltou para a Espanha; quis viver em seu convento, em Barcelona, como um simples frade, mas fossem os reis, o Papa e tantos outros sempre recorriam ao seu discernimento.

São Raimundo escreveu a respeito da casuística. Enfim, pelos escritos e pelos ensinos, ele investia numa ação de mestres e missionários, pois tinha consciência de que precisava de missionários bem formados para que a evangelização também fluísse. Ele não fez nada sozinho, contou com a ajuda de São Tomás de Aquino, ajudou outros a discernir a vontade do Senhor, como São Pedro Nolasco, que estava discernindo a fundação de uma nova ordem consagrada a Nossa Senhora das Mercês – os mercedários. Homem humilde que se fez servo, foi escolhido como Superior Geral dos Dominicanos. Homem de pobreza, de obediência e pureza; homem de oração. Por isso, os santos como São Raimundo, um exemplo. Faleceu em Roma, em 1275; cem anos consumindo-se pela obra do Senhor.

São Raimundo de Peñafort, rogai por nós!



Identità e barbarismo


La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano.

Identità: dal latino identitas-atis, deriva da idem: stesso, medesimo… L’identità è quell’insieme di valori, di ideali, di caratteri, che identificano un paese, una società, un singolo individuo; conosciamo vari tipi di identità: linguistica, religiosa, culturale, storica e tutte costituiscono in maniera imprescindibile il punto da cui l’uomo deve partire per affermare la propria libertà di individuo. Dal filosofo Fichte, come da altri pensatori romantici, vengono considerate strumenti attraverso cui sostenere la propria nazionalità, intesa non come qualcosa delimitabile dalla natura ma come qualcosa che verte solo su valori etici e morali e con la quale è possibile riscoprire le proprie radici, le proprie origini, portando alla luce la valenza culturale e conoscitiva di ogni singolo Paese. Fichte, attraverso un dialogo pubblicato nel 1808, incoraggiò il suo paese, la Germania, al raggiungimento di questo obiettivo, perché da lui era ritenuta l’unico Stato ad aver mantenuto intatte le sue caratteristiche nazionali originarie e naturali, la sua lingua non aveva subito barbarismi, al contrario di altre come quella italiana, a causa comunque delle varie dominazioni straniere che si sono succedute nei secoli, e inoltre era l’unico Stato in cui la religione non influì in maniera rilevante sulla politica… Insomma, la Germania era riuscita a conservare le proprie tradizioni e a guadagnarsi il merito di poter affermare il proprio primato culturale. Come potete vedere, la storia torna ad essere, ancora una volta, la nostra maestra di vita ed è proprio partendo da essa che insieme, potremmo tutti ricostruire la nostra identità, il nostro essere, il cui valore è da troppo tempo sepolto. Affidandoci al grande patrimonio che la storia stessa ci offre e intraprendendo un nuovo cammino alla riscoperta del nostro passato, possiamo arrivare alla costruzione di un futuro più fiducioso e meritevole.

L'epifania del Signore


L'Epifania è una delle principali feste religiose dell’anno, che la Chiesa cattolica festeggia dodici giorni dopo il Natale, il 6 gennaio.
Questo vocabolo deriva dal greco Eptfaneia cioè "manifestazione", assumendo nella tradizione cristiana il significato del primo manifestarsi dell’umanità e divinità di Gesù Cristo ai Re Magi.
Molti capolavori di pittura fiorentina di mano dell’Angelico, del Botticelli, di Leonardo, di Filippo Lippi, del Gozzoli, furono ispirati dall’Epifania; come pure, nel XII e nel XIII secolo, venivano cantate laudi per essa. Si ha notizia che la stamperia di San Jacopo di Ripoli, ancora nel 1480 e nel 1485, pubblicò delle laudi di Feo Belcari, una delle quali s’intitolava ‘Dell ‘offerta de’Santi Magi’ e suonava così: "Offerite tre doni al dolce Dio, / Siccome e’ Santi Magi con gran fede: / oro incenso e mina col cor pio / E troverete Dio pien di merzede".
 
 
Anche monna Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo il Magnifico, compose una laude da cui ci piace trarre alcuni versi: "E’ Magi son venuti dalla stella guidati, co’ lor ricchi tributi, in terra inginocchiati e molto consolati, adorando il Messia".
Nel secolo XV aveva sede nella Chiesa di San Marco, cara a Casa Medici, una Compagnia di laici, i cui membri seguivano determinate regole a carattere religioso illuminate soprattutto dalla preghiera e dall’apprendimento dottrinale dei principi della fede cristiana. Essa era quella intitolata ai Santi Re Magi, così appellata per la particolare devozione che i suoi iscritti nutrivano per i tre regali sapienti, dediti all’astronomia, Melchiorre, Gaspare e Baldassarre, rappresentanti le stirpi giapetica, semitica e camitica i quali, guidati dalla ben nota stella cometa, entrarono a Betlemme ad adorare Gesù Bambino offrendogli rispettivamente oro, incenso e mirra, e ritornando poi ai loro paesi per diffondervi la lieta novella. I tre popolarissimi sovrani sono considerati anche oggi, nel mondo cristiano, patroni dei viaggiatori, dei mercanti e dei cavalieri. Lo stemma della Compagnia, cappato di nero e di bianco, testimoniava quanto detto, mostrando nella parte nera centrale superiore una stella d’oro a sei punte, simboleggiante la cometa che fece strada ai Magi.
La Compagnia era famosissima in Firenze per la sua fastosa organizzazione della cosiddetta "Festa de’ Magi", che fino a tutto il XV secolo essa per l’Epifania allestiva, con solenne apparato, nel centro cittadino ogni tre anni (dal 1447, ogni cinque).
Della Compagnia, detta anche "La Stella", fecero parte i maggiori componenti della famiglia Medici. Annoverava pure confratelli di elevata cultura come Donato Acciaiuoli, uno dei più insigni umanisti ed oratori, Gentile Becchi, il notaio e studioso di letteratura latina Cristoforo Landino il quale sosteneva che "era necessario esser latino chi voleva esser buon toscano", Giovanni Nesi, Alamanno Rinuccini, Giorgio Antonio Vespucci e il poeta Luigi Pulci.
L’origine del sodalizio risale probabilmente alla fine del XIV secolo, anche se la prima esplicita menzione della sua effettiva presenza nel panorama devozionale fiorentino si ha soltanto nel 1417: da un documento di quell’anno apprendiamo infatti che la Signoria decise di sovvenzionare la "compagnia de ‘Magi que in ecclesia sancti Marci de Florentia congregatur" proprio per rendere ancora più fastoso il corteo da essa organizzato, ogni tre anni, il 6 gennaio.
Questa Compagnia era certamente fra le più importanti confraternite del Quattrocento sia per la qualificata e imponente presenza dei suoi ascritti, sia perché era soprattutto seguita con particolare attenzione, per non dire gestita (a partire dal 1436), dalla famiglia Medici, amante del sapere e delle belle arti nonché deferente ai Re Magi tanto -solo per citare un esempio- da fare affrescare nella propria cappella del palazzo -oggi Medici-Riccardi- di via Larga il celeberrimo e allegorico viaggio dei Magi a Betlemme. La pittura murale venne commissionata direttamente da Cosimo il Vecchio a Benozzo Gozzoli il quale, nel 1459, lo dipinse prendendo più di un suggerimento dalle celebrazioni che si allestivano in città per l’Epifania, includendovi i membri della famiglia Medici, compreso Giuliano e il più famoso fratello Lorenzo in età giovanile.
Inizialmente fu proprio Cosimo il Vecchio a far sì che in San Marco avesse sede la Confraternita dei Santi Re Magi, la quale in principio si riuniva addirittura nella splendida cappella della sacrestia, dall’ampia volta a crociera, e poi si spostò nella vicina sala del Capitolo dove il Beato Angelico affrescò la Crocifissione, opera insigne.
La Compagnia dei Magi, la cui festività solenne ricorreva naturalmente il 6
gennaio, fu per anni, come già ricordato, l’organizzatrice dell’attenta rievocazione dell’ultima tappa del viaggio dei Re Magi. Gli scrupolosi confratelli organizzavano "la cavalcata dei Magi", tre cortei separati che si riunivano poi davanti al Battistero (in seguito, a partire dal 1429, in piazza della Signoria) e proseguivano uniti fino alla Basilica di San Marco dove veneravano Gesù Bambino incominciando così a recitare: "Noi siamo i tre re venuti dall’Oriente / che abbiam visto la stella / annunciare la novella / del Signore. / Per monti, piani e valli / lungo è stato il cammino / in cerca del divino / Redentore". Tale rievocazione, di per sé alquanto suggestiva, non pare però che avesse particolare valenza religiosa ma fosse essenzialmente considerata uno spettacolo, sia pure religioso. Nella Compagnia erano nominati appositi "festaiuoli" i quali, secondo un decreto della Signoria, dovevano ricevere il massimo rispetto dagli altri confratelli.
La Compagnia dei Magi venne soppressa nel 1494, dopo la cacciata dei Medici da Firenze, probabilmente in seguito all’avversione che nutriva per essa il Savonarola, il quale vi vedeva uno strumento e una testimonianza di quel potere a lui così inviso. I locali dove i fratelli si riunivano vennero ceduti ai frati di San Marco e la confraternita non fu più ripristinata perché la festa dell’Epifania incominciava a prendere un aspetto sempre più profano.
Nella corruzione popolare, infatti, la parola Epifania era divenuta in Firenze "Befanìa" o "Befana" indicando la festa che dava inizio al periodo del Carnevale, con i primi cortei mascherati che derivavano direttamente dalle sacre rappresentazioni medievale, o "misteri", dedicati al viaggio dei Magi a Betlemme. In questa antica forma di rappresentazione della "Befana", gruppi di giovani appropriatamente vestiti, mimavano scene che si riallacciavano al significato religioso della festa. Col passare del tempo la sacra austerità dei misteri si attenuò, finché essi furono del tutto soppiantati dai profani cortei mascherati. Questi raggiunsero il massimo splendore nel Settecento, con sfilate di carri riccamente addobbati e spesso decorati da artisti, che trasportavano varie Befane, figure femminili che significavano la festa, tra le quali una primeggiava per ricchezza e sontuosità di vesti principesche. Per la cronaca diremo che nelle "Befanate" del 1766 il carro più ammirato fu quello dei gioiellieri che raffigurava il Trionfo di Bacco. Sull’iniziale splendore delle vesti e dei cani, in seguito prevalse l’aspetto grottesco delle maschere e la festa assunse forme sempre più popolari.
La Befana era spesso attorniata da "Befanotti" o "Befani", giovani dal volto tinto di nero, abbagliati in modo sgargiante e spesso ridicolo, che in un qualche modo richiamavano i Re Magi.
Del viaggio e dei doni recati dai Magi alla capanna di Betlemme divennero simulacri la questua, che veniva fatta da gruppi di giovani la sera della vigilia, prima a vantaggio degli stessi questuanti e poi per pubblica beneficenza, e i cortei mascherati. Le canzoni di questua, dette "befanate", accompagnavano la raccolta e si distinguevano in religiose e profane. Queste ultime divennero, col tempo, sempre più numerose e frequenti. In cambio delle canzoni, i Befani ricevevano doni, consistenti spesso in solo vino.
I cortei mascherati provenivano in larga parte dai quartieri popolari: vi partecipava una gran folla rumorosa e schiamazzante che issava su larghe pertiche dei fantocci ("befane") fatti con cenci che rappresentavano donne o uomini in atteggiamento grottesco. Spesso questi fantocci erano trasportati su un carretto alla luce di fumose torce, circondati da gruppi di giovani che suonavano in stridule e lunghe trombe di vetro (usanza che si è protratta fino alla fine dell ‘Ottocento). I cortei convergevano sotto le logge del Mercato Nuovo, dove, in mezzo ad un gran fracasso, veniva dato fuoco alla Befana, come ci documenta un celebre dipinto del pittore macchiaiolo Giovanni Signorini.
In seguito, a poco a poco, la festa subì un processo di ulteriore, lenta trasformazione. In Firenze, come in gran parte della cristianità, perse i suoi chiassosi caratteri pubblici e finì per essere riservata ai bambini. Vennero in primo piano gli aspetti paurosi e più adatti ad incutere timore, forse in questo rifacendosi ad uno dei significati originari degli antichi misteri medioevali, quello della rievocazione delle strage degli innocenti voluta da Frode: "Ninna nanna, ninna oh questo bimbo a chi lo do? Lo darò alla Befana che lo tenga una settimana, lo darò all’Omo nero che lo tenga un mese intero".
E nello stesso tempo, quasi per esorcizzare e compensare tale effetto di paura, si privilegiò il momento dell’offerta dei doni, adatta anch’essa ai gusti dei piccoli destinatari. Nasceva così il personaggio della Befana, l’immagine di una vecchietta brutta e cadente ma magicamente buona e generosa, che nella notte tra il 5 e il 6 gennaio passava sulla terra con un gran sacco di regali sulle spalle. Scendeva, mentre nelle case dormivano, attraverso le cappe dei camini per lasciare, ai bambini cattivi, cenere, carbone e grosse cipolle rosse e, ai bambini buoni, dolci, giocattoli e oggetti d’uso personale, sistemandoli nelle calze che, prima di andare a letto, i bambini stessi appendevano al camino, prototipi per le calze confezionate ai nostri giorni industrialmente.
Se tale usanza è sempre rimasta viva a Firenze come altrove, la rievocazione dell’Epifania nei suoi aspetti maggiormente culturali, oltre che cultuali, per molto tempo nella città aveva come unico araldo lo sfavillante affresco del Gozzoli finché per volontà dell’Amministrazione Comunale di Firenze, in concerto con l’Arcivescovado della città e l’opera del Duomo, la splendida "cavalcata dei Magi" non è stata riproposta ai grandi e ai piccini. Tutti, in tale occasione, possono ricercare in essa, fra i tanti significati (religiosi, culturali, di aggregazione...) che i fiorentini vollero e vogliono darle, quello che più li aggrada. I "Magi" dalle sontuose vesti, accompagnati dal Corteo della Repubblica Fiorentina, sfilano seguendo un percorso che si snoda, partendo da piazza Pitti, lungo le antiche vie cittadine, per raggiungere la piazza del Duomo dove, all’interno della Cattedrale di Santa Maria del Fiore e alla presenza delle massime autorità religiose, vanno ad offrire doni all’immagine di Gesù Bambino, bambino circondato da tanti bimbi della città in un giorno che diviene il loro giorno, fra i lanci di palloncini con i messaggi al Bambinello e i doni distribuiti dall’Opera del Duomo di Firenze.

A TOSCANA


A região possivelmente mais visitada, extraordinariamente rica em obras de arte de todas as épocas, ainda guarda lugares de rara beleza, desconhecidos para a maioria.
O território desta região é em grande parte formado por doces colinas arredondadas, encimadas por ciprestes, com campos bem cultivados, casario de bela arquitetura e extraordinárias paisagens. Ao norte, surge a cadeia dos Apeninos; a oeste, seu litoral é banhado pelo Mar Tirreno; ao passo que a parte meridional está separada só administrativamente do Alto Lácio, tanto a ser também chamada de Túscia lacial, ou Lácio etrusco. Seu único rio de importância, o rio Arno, corre em meandros desde a nascente rumo ao sul, perto de Arezzo, voltando-se depois para o norte até Florença, e então para oeste.
Perfeitamente integrados com este meio surgem os centros habitados, cujas silhuetas freqüentemente entrecortam o topo das colinas, caracterizando um ambiente, construído pela mão do homem, tão extraordinário quanto o natural: e que tanto nos centros maiores como nos menores, foi o cenário que inspirou toda a atividade artística que floresceu na região, e que é hoje igualmente célebre.

Já no Século XI a.C., a Toscana foi unificada pelo Etruscos, povo até hoje pouco conhecido, que ocupava também parte da vizinha Úmbria e o Lácio setentrional. Muitas foram as cidades por eles fundadas, sempre nos cumes, mas poucos são os restos arqueológicos, também por causa das sucessívas reconstruções; ao passo que nos chegaram intactas numerosas necrópoles. São cidades de origem etrusca: Arezzo, Cortona, Chiusi, Volterra e Fiesole, no interior; e, na costa, outras depois decaídas e desaparecidas (Populonia, Vetulonia, Roselle).

Os Romanos, que conquistaram a região entre os Séculos IV e III a.C., ali construiram uma extensa rede viária, que incluía as vias Aurélia, Cássia e Flamínia, mantendo em vida os centros etruscos. Também aqui são escassos os restos arqueológicos: as plantas urbanas e os anfiteatros - hoje ocupados por moradias - de Florença e Lucca;o anfiteatro de Volterra; além de alguns vestígios em Arezzo e Luni. As cidades de origem romana estão concentradas na parte setentrional, com o objetivo estratégico de controlar os passos dos Apeninos e os vaus dos rios.
Após as invasões dos Bárbaros (Séc. V d.C.), a região foi, primeiro, ducado longobardo e, depois, dos francos (de 774), com capital Lucca. Por volta de 1100, a Toscana pertencia à família de Canossa, juntamente com parte da Úmbria e os territórios de Reggio E., Modena, Mantova e Ferrara, sendo mais tarde anexada ao Reino da Itália.

Desenvolveram-se assim as autonomias comunais tanto que, no início do Séc. XIV, a região estava dividída em muitas pequenas senhorías (Lucca, Pisa, Volterra, Massa, Sovana, Chiusi, Cortona...), entre as quais logo sobressaiu Florença, que em cerca de um século unificou novamente a Toscana, com exeção de Lucca - que permaneceu sempre independente -, e Siena - depois encampada no Séc. XVI.
Em Florença, no final de 1300, o governo mudou de comunal para oligárquico, para passar depois sob a senhoría dos Médici que, com brevíssimas interrupções, mantiveram-se no poder por mais de três séculos, de 1430 a 1737: período em que coexistiram despotismo e mecenato, crueldade e capacidade de reformas, mas que foi todavia um dos mais ricos no florescimento das artes.

Aos Médici, sucedeu a senhoría dos Lorena, que promoveram reformas e grandes obras de saneamento, até quando, com a Unificação, tiveram que abandonar a Toscana, que em 1860 foi anexada ao Reino da Itália.

Na Idade Média (Séc. XI - início do XV), o território da Toscana tomou seu aspecto urbanístico atual. A atormentada orografía e as vicissitudes políticas contribuiram para o surgimento de um padrão de ocupação territorial composto por muitos pequenos centros nas colinas, ao passo que as principais cidades desenvolveram-se ao longo dos rios, ou no litoral. Ademais, todo o território estava pontilhado por fortalezas e castelos. Nesta região, encontram-se assim representadas todas as tipologias de cidade medieval: dos centros em forma de lança (Chianciano, Sarteano), àqueles deitados ao longo de cumes (Fosdinovo, Montopoli, Colle Val d' Elsa); dos com planta circular (Gargonza), àqueles espalhados por mais cumes (S. Gimignano).
Numerosos são também os centros de nova fundação pelas principais cidades, como postos avançados de defesa. Assim, de Siena dependiam Torrita e Rigomagno, com planta regular; à Pisa, pertenciam Cascina, Scrofiano, Monteriggioni, S. Gimignano; enquanto à Florença devem-se Castiglion Fiorentino, Scarperia, bem como três centros projetados sob especiais regras de desenho por Arnolfo di Cambio (1296-1299): S. Giovanni Valdarno, Terranuova Bracciolini e Castelfranco di Sopra.

Muitos são os centros com urbanística complexa, com núcleos alto-medievais sobrepostos a ampliações posteriores (Lucignano, Monte S. Savino), ou com modelos ainda mais articulados.
Alguns centros têm até uma planta alegórica, come Montecarlo, cuja muralha projeta o desenho de uma águia agarrando sua presa. Muitas outras são as figuras simbólicas que podem ser detectadas em plantas de povoados, ou em partes delas: baste pensar na posição dos edifícios na praça dos Milagres em Pisa, talvez inspirada no moto das estrelas na constelação de Áries, sob cujo influxo estava posta a cidade; ou, ainda, pelo afã das ordens religiosas em posicionar suas igrejas nos vértices de ideais triângulos equiláteros.

A feitura de todos os povoados é sempre primorosa, voltada para o uso comunitário, de grande qualidade. Os típos de edificação são os mais variados e complexos, como longo foi o intervalo de tempo em que se originaram, do período românico ao gótico.Temos assim simples casas de habitação, grandes palácios, casas-torres (como em S. Gimignano, Pisa, Vicopisano), em pedra e cal (Volterra), rebocadas (Pescia ou Barga), de tijolos (Città della Pieve). Sempre muito cuidadas são as áreas públicas: das esplêndidas pavimentações desenhadas, em terracota ou cerâmica aos assentos espalhados ao longo dos palácios, aos ganchos para prender cavalos, tochas, flores, ao projeto das escadarias. Qualidade que permaneceu no tempo e que permitiu também às construções posteriores integrar-se com facilidade, mormente os magníficos palácios (como em Cittá della Pieve, Montepulciano, S. Miniato).
Obviamente, todas elas eram cidades fortificadas, às vezes por mais anteparos, e freqüentemente presidiadas por torres e castelos.

Cada centro autônomo era de fato uma pequena capital, com ampla dotação de espaços públicos. As praças estão entre as mais belas e marcantes da Itália - baste lembrar as de Montepulciano, Massa Marittima, S. Gimignano, Volterra, Sovana; ou aquelas de centros mais importantes como Siena, Florença, Lucca. Por sua vez, os palácios comunais são um capítulo à parte da história da arquitetura medieval: baste lembrar aquele modelar de Siena - com a inovação da fachada em curva acompanhando o arco da praça do Pálio -, ou os de Volterra, Suvereto, Montalcino; ou, ainda, aqueles ornados por brasões de armas (conforme um uso característico da Toscana), de Certaldo, Pescia, Scarperia, Cutigliano.

Imponentes são outrossim as catedrais, muitas vezes pensadas para acolher ao mesmo tempo todo o povoado, como em Florença, Pistoia, Siena, Massa Marittima.Com o fim da Idade Média, o desenvolvimento restringiu-se mais às grandes cidades e ao litoral, preservando assim muitos destes centros, que nos legaram os mais significativos ambientes românicos e góticos: os mundialmente famosos S. Gimignano, S. Miniato, Cortona -, e outros menos conhecidos, mas também extraordinários, como, só para lembrar alguns, Massa M., Certaldo Alta, Abbadia S. Salvatore, Pitigliano.

Mas a lista de centros medievais que valem uma visita é muito mais extensa: além dos já citados, é mister percorrer os itinerários desde a Alta Val d' Arno (Stia, Poppi, Bibbiena), à opulenta Valdichiana, ao importantissimo histórico percurso da via Francígena, ligando Roma aos Alpes através de Pontremoli, S. Gimignano, etc.; não descuidando também de centros menores, como Aulla, Campiglia, Sarteano, Vetulonia.
Na Toscana, mais que em outros lugares, esteve de fato sempre presente uma profunda sensibilidade para a arquitetura, que redundou na melhor preservação de tão rico patrimônio, e que finca suas raízes na mesma cultura que deu origem à língua italiana e propiciou o florescimento de tantas correntes artísticas, não obstante a estreiteza do meio.

Após a efervescência da Idade Média, os empreendimentos urbanísticos foram cada vez mais rareando, pois a consolidada unidade do estado não mais impelia a fundação de novas cidades, nem a expansão das existentes.

Por outro lado, com o início de 1500 , ia se esgotando o papel de Florença como centro de atividade artística, substituída por Roma que, com o retorno do Papado de Avignon, estava para assumir o papel e a fama de capital do mundo católico, para onde o mecenato dos Papas, das ordens religiosas e da nobreza passaram a atrair artistas de toda a Itália.

Assim, as idéias urbanísticas escassearam, limitando-se ao rearranjo de partes de cidades conforme os novos cânones da Renascença; à fortificação das cidades marítimas - em virtude da costa ter se transformado na nova fronteira do estado unitário - ; e à uma série de obras de saneamento do território. Desta forma, em Florença abre-se (Séc. XV) a via de' Servi, levando à praça da SS. Annunziata, obra de Brunelleschi, e erigem-se os Uffizi, com a estrada-praça de Vasari (Séc.XVI); ao passo que, em Pienza, o papa Pio II Piccolomini manda redesenhar a vila e a praça principal por Rossellino (Séc. XV).
Em meados de 1500, iniciam-se as grandes obras de fortificação de Portoferraio e, pouco depois (1577), Buontalenti projeta a planta de Livorno, com a nova muralha.

Neste meio tempo, como em outras regiões da Itália, o campo enche-se de suntuosas mansões: após as suburbanas dos Médici, as mais importantes, com parques e jardins de extraordinária beleza, passam a ser aquelas na região de Lucca (em Collodi, Camigliano, Segromigno).

Os últimos desenvolvimentos de interesse são as reformas do Oitocentos, por obra de projetistas-solo, como Poggi em Florença (piazza Michelangelo), Poccianti em Livorno, e Nottolini em Lucca.

As termas e balneários tão comuns na Toscana são ao invês iniciativas neoclássicas (Bagni di Lucca), ou do ecletismo (Montecatini e Viareggio, onde subsistem também edifícios em estilo liberty); enquanto, entre as iniciativas contemporâneas, um moderno enclave turístico foi construido em Punta Ala.

A CIDADE DE PISA


PISA

Pisa, ainda hoje famosa não apenas pela sua arte mas também como sede universitária (Universidade de 1343 e Escola Normal Superior desejada por Napoleão em 1813) foi fundada provavelmente pelos lígures; após, tornou-se centro etrusco (IV a.C.), foi ocupada pelos romanos e instituída como colônia (179 a.C), portanto em munícipio (89 a.C).
Graças à ativação do porto (já ativo na época imperial) desenvolveu um papel de relevante centro comercial também no alto medioevo, tornando-se cidade livre (X) promovendo um código marítimo (Comportamentos corriqueiros e normais do mar, 1075) e portanto libero comune, ou município livre em 1081). Ativa durante a primeira cruzada (1096-99), criou uma vasta rede de empórios e paradas no Tirreno e no Levante. Em confronto com Gênova pela hegemonia como República Marinara, sucumbe pelas derrotas obtidas (Batalha de Meloria, 1284). Transtornada pelas lutas entre os grupos de famílias ligadas por parentesco da nobreza (XIV), e pela crise econômica (perda dos domínios sardos, 1326), cai sob o domínio dos Viscontti (1399-1402) e portanto dos florentinos. Após o enterramento do porto (XVI) desenvolveu-se como centro cultural (escola galileiana).

Do ponto de vista histórico/ religioso, Pisa foi importante porque ali se desenvolveram alguns Concili, mas, estes não foram reconhecidos como Concili Ecumenicos. O primeiro (1135), foi convocado por Innocenzo II para afrontar a separação de Anacleto II. O segundo (1409) foi uma tentativa de alguns cardeais de recompor a grande separação do ocidente: o papa Gregorio XII e o papa de Avignon, Benedetto XIII, foram destituídos e, então foi eleito Alessandro V; a tentativa faliu e os dois papas não aceitaram a deposição. O terço, conhecido como “conciliabolo di Pisa”, foi convocado em 1511 por Luigi XII da França na tentativa de opor-se ao Papa Giulio II, que respondeu convocando o V conselho lateranense (1512). Obteve escassas adesões e foi transferido para Milão, Asti e se fechou em Lion em 1512.

Pra se pensar ....

Desespero anunciado

Desespero anunciado Para que essa agonia exorbitante? Parece que tudo vai se esvair O que se deve fazer? Viver recluso na pr...