Montaigne: Filosofia e vita

L’Europa non è per Montaigne il centro del mondo, né l’uomo è il cuore dell’universo: quelle che a noi paiono usanze ragionevoli, se osservate dal punto di vista di chi non ne partecipa (ad esempio i cannibali, o i Persiani di Montesquieu), si rivelano come morbosi gesti insensati, che poggiano più sull’abitudine che non sulle prescrizioni di una presunta ragione legiferante. Questi, che noi in via del tutto pregiudiziale bolliamo con l’etichetta di “selvaggi”, non possono esser detti barbari solo perché dotati di una cultura diversa, giacchè – se così fosse – noi stessi diverremmo barbari ai loro occhi, e ciascuno lo sarebbe dinanzi ad ogni altro: più che una dogmatica e violenta imposizione delle nostre “verità”, imposte con l’efferata arma della crociata, sarà opportuno aprirsi a queste culture “altre”, tentando il dialogo – ed è quel che Montaigne fa nel momento in cui cerca di comunicare con gli indigeni brasiliani condotti in Francia nel 1571 -, partendo dal presupposto che la ragione debole non ha svelato più a noi che a loro la verità e che, pertanto, la via meglio percorribile resta quella del confronto, attraverso il quale ricomporre quel mosaico dalle mille tessere che è la verità: anzi, a rigore, si potrebbe dire che non si può andar d’accordo perché si è raggiunta la verità – giacchè il raggiungimento di essa è e resta un concetto limite, un’idea nel senso kantiano -, ma, viceversa, che si è raggiunta la verità nel momento in cui si va d’accordo, quando cioè il sordo monologo di una cultura illudentesi di conoscere ogni cosa cede il passo al libero circolo di idee che trova nel dialogo la sua forma più appropriata. In questo senso, si può legittimamente affermare che lo scetticismo di cui Montaigne fa professione in sede etica e gnoseologica non si traduca, sul piano pratico, in un gretto vivere in conformità delle usanze vigenti dettato dall’impossibilità di cogliere la verità delle cose; al contrario, il dubitar di tutto induce Montaigne a dubitare anche della validità delle tradizioni, senza piegarsi – ché sarebbe un dogmatismo – ad esse, ma saggiandole una ad una con la ragione, debole sì, ma non a tal punto da non accorgersi dell’assurdità dei dogmatismi.
Autore: Diego Fusaro

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