Libertà interiore :Prigioniero di se stesso.
A volte l’uomo si sente così, sente che potrebbe essere diverso, che la libertà dipende
esclusivamente da lui, ha la certezza di essere il carceriere, spesso spietato, di se
stesso, ma… i tentativi di liberarsi cadono sistematicamente nel vuoto.
A volte l’illusione di avercela fatta, o comunque di aver fatto dei passi in avanti, lo
scuote con un brivido di euforia… seguita da un’impotenza amara al riconoscimento
del primo fallimento.
Dominano la sfiducia e la rassegnazione, che, a volte, sfociano nel cinismo.
Esternamente le cose non vanno così male, anzi, all’occhio altrui, è giudicato anche
abile, fortunato, soddisfatto, “realizzato”… ma i conti con se stesso non tornano.
Prigioniero di sé, o meglio, delle proprie strutture di sopravvivenza.
Nella vita piccoli e grandi traumi, ferite emotive generano dolore, un dolore che a
volte è meno tollerabile di quello fisico e a cui si è impreparati.
Il bambino, automaticamente, e poi l’adulto dominato dal bambino interiore, per
difendersi dal dolore, per sopravvivere, mettono in atto delle strategie a cui non
riescono più a rinunciare: rimuove, nega, proietta, evita, se la prende con sé, col
proprio corpo, con gli altri, col mondo, col destino, con Dio, si anestetizza, controlla
ossessivamente, si identifica nel perfezionismo, vive nel passato o nel futuro, cerca
disperatamente il piacere riempiendo il vuoto con sostanze, delega la propria
autonomia ad altri.
Le difese sono diventate prigioni; come uscirne?
Solitamente all’inizio c’è un “fai da te”, una messa in atto di tentativi di soluzione. Se
l’impresa riesce, con notevole incremento di autostima, si accede, normalmente, a
una migliore qualità di vita.
Quando invece i tentativi non solo non risolvono, ma contribuiscono a mantenere o
peggiorare il problema, chi non si rassegna a un riduttivo livello d sopravvivenza
chiede aiuto agli esperti del settore: psicologi e affini. In questo campo le proposte
sono diversificate e ognuna ha una propria validità, corroborata da anni di studi,
ricerca, sperimentazione, pratica professionale e dà un contributo alla soluzione del
problema.
Le perplessità e la sfiducia però affiorano e si intensificano quando il lavoro
psicologico non dà i risultati sperati.
Le reazioni del cliente possono essere le più varie, per citarne alcune: auto
colpevolizzazione e senso di inadeguatezza o accusa al professionista, al metodo o
alla categoria di incapacità, rifiuto a voler proseguire il cammino evolutivo o ricerca
affannosa di un terapeuta o un metodo migliori… “quello giusto”.
A volte l’uomo si sente così, sente che potrebbe essere diverso, che la libertà dipende
esclusivamente da lui, ha la certezza di essere il carceriere, spesso spietato, di se
stesso, ma… i tentativi di liberarsi cadono sistematicamente nel vuoto.
A volte l’illusione di avercela fatta, o comunque di aver fatto dei passi in avanti, lo
scuote con un brivido di euforia… seguita da un’impotenza amara al riconoscimento
del primo fallimento.
Dominano la sfiducia e la rassegnazione, che, a volte, sfociano nel cinismo.
Esternamente le cose non vanno così male, anzi, all’occhio altrui, è giudicato anche
abile, fortunato, soddisfatto, “realizzato”… ma i conti con se stesso non tornano.
Prigioniero di sé, o meglio, delle proprie strutture di sopravvivenza.
Nella vita piccoli e grandi traumi, ferite emotive generano dolore, un dolore che a
volte è meno tollerabile di quello fisico e a cui si è impreparati.
Il bambino, automaticamente, e poi l’adulto dominato dal bambino interiore, per
difendersi dal dolore, per sopravvivere, mettono in atto delle strategie a cui non
riescono più a rinunciare: rimuove, nega, proietta, evita, se la prende con sé, col
proprio corpo, con gli altri, col mondo, col destino, con Dio, si anestetizza, controlla
ossessivamente, si identifica nel perfezionismo, vive nel passato o nel futuro, cerca
disperatamente il piacere riempiendo il vuoto con sostanze, delega la propria
autonomia ad altri.
Le difese sono diventate prigioni; come uscirne?
Solitamente all’inizio c’è un “fai da te”, una messa in atto di tentativi di soluzione. Se
l’impresa riesce, con notevole incremento di autostima, si accede, normalmente, a
una migliore qualità di vita.
Quando invece i tentativi non solo non risolvono, ma contribuiscono a mantenere o
peggiorare il problema, chi non si rassegna a un riduttivo livello d sopravvivenza
chiede aiuto agli esperti del settore: psicologi e affini. In questo campo le proposte
sono diversificate e ognuna ha una propria validità, corroborata da anni di studi,
ricerca, sperimentazione, pratica professionale e dà un contributo alla soluzione del
problema.
Le perplessità e la sfiducia però affiorano e si intensificano quando il lavoro
psicologico non dà i risultati sperati.
Le reazioni del cliente possono essere le più varie, per citarne alcune: auto
colpevolizzazione e senso di inadeguatezza o accusa al professionista, al metodo o
alla categoria di incapacità, rifiuto a voler proseguire il cammino evolutivo o ricerca
affannosa di un terapeuta o un metodo migliori… “quello giusto”.
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