ERANO STANCHE E SFINITE, COME PECORE SENZA PASTORE...


“Gesù, vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (Mt 9, 36).
Predicatore itinerante, Gesù “va attorno per tutte le città e i villaggi” annunciando instancabilmente il Regno che è giunto e curando i malati che
cercano salvezza. Lo zelo apostolico di Gesù, il suo inarrestabile ardore missionario, è animato da un fuoco che brucia nel suo cuore e che non
gli dà riposo: la compassione. Egli soffre con quelle folle stanche e sfinite, che si arrendono stremate non avendo più la forza di camminare. La
loro sfinitezza non è dovuta al fatto che seguono Gesù, che camminano dietro a lui ormai da lungo tempo: al contrario! La stanchezza delle folle
è dovuta alla loro fame che non ha dove saziarsi, alla loro sete che cerca una fonte dove placarsi, ma che non la trova… Camminare nella vita
senza cibo né acqua è arduo, e diviene ben presto impossibile, la sfinitezza prevale, lo scoraggiamento ha la meglio e il cammino della vita si
arresta, lasciando il posto alla disperazione, al buio, all’angoscia. Le folle hanno bisogno del pane che sazia la loro fame di Dio, la loro sete di
vita e di vita in pienezza.
Gesù ha questo pane vivo disceso dal cielo (è lui stesso!), egli ha quest’acqua viva che disseta per la vita eterna. Perciò non si risparmia nelle
fatiche apostoliche: il lavoro è tanto, ma la posta in gioco è la vita di tante persone che soffrono, che muoiono di fame, della fame di Dio. E così
Gesù non si tira indietro: annuncia la Parola a tempo opportuno e non opportuno, guarisce gli ammalati ogni giorno, anche di sabato, perché egli
sa di essere la salvezza per quella gente.
Quelle folle, come tante pecore senza pastore, hanno bisogno di qualcuno che li guidi su pascoli erbosi, ad acque tranquille; qualcuno che,
camminando innanzi a loro, li guidi sulla via della vita, alla verità tutta intera: come somigliano, quelle folle, all’umanità di oggi… quanta gente
sbandata percorre sentieri di morte e di menzogna; quanta gente, ormai sfinita dal peso di una vita senza senso e senza gioia, si trascina un
giorno dopo l’altro, non sapendo che risposte darsi… Fiumi di parole vuote invadono le nostre giornate, mentre le folle sentono il bisogno di
parole pesanti, che danno senso, che lasciano il segno: l’uomo ha bisogno di parole che danno la vita eterna.
L’espressione “come pecore senza pastore” non è nuova nella Bibbia. La troviamo, ad esempio, già nel libro dei Numeri, in bocca ad un altro
grande pastore d’Israele: Mosè, uomo di dura cervice, che in altre occasioni aveva faticato a lasciarsi aiutare. Ma qui (Nm 27, 12-23) il Signore
gli rende noto che è al termine della sua corsa: “Sali su questo monte e contempla il paese che io do agli Israeliti. Quando l’avrai visto, anche tu
sarai riunito ai tuoi antenati”. A questo punto Mosè si rende conto che, morto lui, il popolo si troverà senza una guida, se lui non vi provvede in
tempo; anzi, potranno nascere lotte, battaglie per la successione, se lui non prepara un uomo che, investito della sua autorità, possa prendere il
comando. Allora si rivolge al Signore con queste parole: “Il Signore, il Dio della vita in ogni essere vivente, metta a capo di questa comunità un
uomo che li preceda nell’uscire e nel tornare, li faccia uscire e li faccia tornare, perché la comunità del Signore non sia un gregge senza
pastore”. Il Signore disse a Mosè: “Prenditi Giosuè, figlio di Nun, uomo in cui è lo spirito; porrai la mano su di lui, lo farai comparire davanti al
sacerdote Eleazaro e davanti a tutta la comunità, gli darai i tuoi ordini in loro presenza e lo farai partecipe della tua autorità, perché tutta la
comunità degli Israeliti gli obbedisca”.
Mosè, dunque, forma il suo successore, lo prepara a guidare la comunità degli Israeliti, perché abbiano un pastore. Sappiamo già l’importanza
capitale, per la storia della salvezza, di questa decisione…
Ma torniamo a Gesù. Scopriamo che la somiglianza con la decisione di Mosè è impressionante. La compassione che, come abbiamo visto, arde
nel cuore di Gesù è seguita da una constatazione: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi” ( Mt 9, 37), dunque per prima cosa preghiamo il
padrone che mandi operai. Ma poi Gesù pensa che c’è un’altra cosa che lui può fare: può farsi aiutare dai suoi discepoli. Sì, è una buona idea
farsi aiutare…Chiama a sé i dodici, li rende partecipi della sua autorità (dà loro il potere sugli spiriti immondi e su ogni sorta di malattia e
infermità), li istruisce per bene e infine li manda (cfr. Mt 10,1-5). Qui vediamo il Gesù pastore che genera altri pastori, l’evangelizzatore che
forma evangelizzatori.
Il papa Benedetto XVI ci ricorda, nel suo messaggio per la Quaresima 2006, che «anche oggi lo sguardo commosso di Cristo non cessa di
posarsi sugli uomini e sui popoli. Egli li guarda sapendo che il progetto divino ne prevede la chiamata alla salvezza. Gesù conosce le insidie che
si oppongono a tale progetto e si commuove per le folle: decide di difenderle dai lupi anche a prezzo della sua vita. […] È necessario che il
nostro sguardo sull’uomo si misuri su quello di Cristo».
Anche oggi Gesù decide di farsi aiutare, e si rivolge a noi. Dunque anche noi siamo chiamati a fare nostra la compassione per l’umanità smarrita
che arde nel suo cuore; anche noi siamo chiamati da Cristo come i suoi discepoli, siamo da lui fatti partecipi della sua autorità, siamo da lui
istruiti e da lui mandati, perché anche gli uomini d’oggi possano incontrare nei nostri occhi lo stesso sguardo compassionevole di Cristo. «Il
digiuno e l’elemosina, che – continua il Papa – insieme con la preghiera, la Chiesa propone in modo speciale nel periodo della Quaresima, sono
occasione propizia per conformarci a quello sguardo».
Avere lo stesso sguardo di Cristo significa cogliere in chi incontriamo la fame e la sete di Dio, bisogno fondamentale di ogni uomo, necessario 
quanto il cibo che sazia la fame del corpo. «Chi opera secondo la logica evangelica […] sa che chi non dà Dio dà troppo poco, come diceva la
beata Teresa di Calcutta: “La prima povertà dei popoli è di non conoscere Cristo”. Perciò occorre far trovare Dio nel volto misericordioso di
Cristo: senza questa prospettiva, una civiltà non si costruisce su basi solide».
Confortati da queste splendide parole che il Papa, nostro pastore, ci rivolge (un Papa che ha voluto dedicare la sua prima enciclica, quella
programmatica del suo pontificato, proprio al tema di Dio che è amore, primo e fondamentale punto del kerigma cristiano), rinnoviamo la nostra
generosità nello spenderci per Gesù, nella missione evangelizzatrice che Egli ci affida. Muoviamo il nostro cuore a compassione per chi ancora
non conosce Cristo e diamoci da fare. Sappiamo che Gesù conta su di noi!

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