Prima di passare alla storia come il filosofo del Deus sive Natura e il fondatore di un razionalismo non metafisico Spinoza è stato il difensore indomito della libertà di pensiero e di espressione. Per insegnare ai suoi discepoli che la libertà degli uomini non è un dato naturale, ma il risultato
di uno sforzo attivo, egli ha edificato una scienza degli affetti che muove
dal rifiuto di fare della mente la domina del corpo. È il messaggio insistente che la sua Etica continua a trasmetterci. Avendo studiato a fondo,
negli anni della giovinezza, la metafisica di Cartesio e la teoria della libera volontà, Spinoza è stato il primo a comprendere che una mente metafisicamente estranea al corpo era destinata a divenire il suo corpo estraneo, e il peggior nemico della sua potenza. Per arrestare il flusso di quelle secolari ambizioni di dominio, egli non si è limitato a ridefinire la coppia agire/patire in un modo che rende definitivamente falso il vecchio
adagio per cui azione e passione sono la stessa cosa: ha esplicitamente affermato (al termine di una tipica argomentazione scettica, quasi unica
nello spinozismo) che la mente non può indurre il corpo a muoversi o a
stare in quiete più di quanto il corpo possa indurre la mente a pensare
1
.
Fino a che punto questo principio di non interazione fosse già implicito (o implicato) nella teoria degli ordini paralleli che Spinoza aveva dedotto, con la dovuta lentezza, dagli attributi noti della sostanza è la domanda che negli ultimi anni ha ripreso ad animare il dibattito filosofico e
scientifico su Spinoza e lo spinozismo. È un dibattito a cui hanno preso
parte numerosi storici del pensiero, scienziati e filosofi della mente,
1
E3p2 (G, II, 141). Gli argomenti più forti a sostegno di tale principio si trovano
nello scolio (E3p2s; G, II, 142-143). uscendone quasi sempre, come accade con gli sport estremi, più prudenti e solidali. Le loro discussioni hanno permesso di rivedere certe
interpretazioni (oserei dire consolidate) del monismo spinoziano alla
luce di un esame più approfondito dei suoi meccanismi interni di funzionamento. Gli studi di Edwin Curley, Alan Donagan, Errol E. Harris,
Jonathan Bennett e Michael Della Rocca, in ambito anglosassone, e
quelli di Emilia Giancotti, Cristina Santinelli, Marco Messeri e molti altri, qui da noi, hanno così permesso di gettare nuova luce sui problemi
di quello che si può forse considerare il primo monismo antiriduzionista della filosofia moderna. Il più evidente di questi problemi riguarda,
secondo una lettura standard, il complicato rapporto tra riduzione ontologica (idea = ideato) e antiriduzionismo concettuale (mentale ≠ corporeo), la cui coerenza appare a molti minata proprio dal principio di
non interazione. Per liberare il sistema spinoziano da questo strano «divieto» Donald Davidson è andato in cerca di qualche traccia di interazione fra gli schemi impliciti della teoria spinoziana degli affetti, col risultato non trascurabile di riportare questa teoria al centro della discussione
2
. Poi è venuto il turno di Damasio, il quale ha spiegato che il cuore dello spinozismo sta per lui nella scoperta davvero profetica che le
emozioni sono il nutrimento della memoria e della ragione: la mente cognitiva non potrebbe funzionare senza la mente affettiva
3
. Credo che
Davidson e Damasio (e molti altri) abbiano ragione: occorre tornare
alla teoria degli affetti per ottenere una visione più completa della filosofia spinoziana della mente. Ma ciò impone a sua volta di ricominciare
dal problema più ampio, il rapporto fra libertà e necessità, perché è
questo a fornire il primo incastro attraverso cui passano le soluzioni più
solide e insieme più innovative dello spinozismo.
Il tema della libertà pone però allo studioso di Spinoza un problema
particolarmente arduo, perché la definizione di res libera depositata al
principio dell’Etica ha il doppio effetto di rendere la libertà un possesso
esclusivo della sostanza e di condannare gli enti finiti alla dipendenza
ontologica. Deve essere anche per questo se la hegeliana definizione di
«acosmismo» pesa ancora come un macigno su molti tentativi di precisare il grado e la natura della libertà degli uomini nello spinozismo. Negando la sostanzialità dei modi finiti, Spinoza sembra infatti deciso a negare loro ogni realtà, ogni autonomia e, in una parola, ogni libertà. Naturalmente, che così non possa essere fa parte dei presupposti del discorso etico, perché non avrebbe senso proporre un modello di perfezione a qualcuno che non è libero di realizzarlo. Ma che così non sia an-
12 PREMESSA
2
Davidson, Spinoza’s affects, p. 99.
3
Damasio, Alla ricerca, p. 25.dava dimostrato con gli strumenti che Spinoza ci ha fornito, perché,
come ha osservato Emilia Giancotti, «il fatto che si parli della libertà
umana implica che se ne dia e presupponga una definizione»
4
. Occorreva individuare lo strumento teorico mediante cui Spinoza ha riaperto il
discorso sulla libertà degli uomini, e questo strumento è la definizione
della coppia agire/patire che sta alla base della sua scienza degli affetti,
nella terza parte dell’Etica:
Dico che agiamo quando avviene, in noi o fuori di noi, qualcosa di cui
siamo causa adeguata, cioè [...] quando segue dalla nostra natura qualcosa in noi o fuori di noi, che può essere inteso chiaramente e distintamente soltanto per mezzo di essa. Dico viceversa che noi patiamo,
quando in noi avviene qualcosa, o qualcosa segue dalla nostra natura, di
cui noi non siamo se non causa parziale.
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Quale sia l’importanza di questa definizione è presto detto. Ciò che Spinoza stava distinguendo per la prima volta in modo chiaro e sistematico
non erano le azioni intenzionali, ma gli affetti e i comportamenti razionali
6
. La ridefinizione del concetto di azione fa crescere di rimando la
classe delle passioni, che ora non include più soltanto i casi in cui subiamo qualche azione dall’esterno, ma anche le reazioni provocate in noi
dalle azioni subite. Sfortunatamente, il fatto che gli affetti spinoziani includano una gamma così ampia di comportamenti osservabili (e non di
meri stati d’animo) viene spesso oscurato dalla nozione di affetti della
mente. Qui occorreva evitare un equivoco ricorrente.
Tracciando la sua distinzione fra azioni e passioni, Spinoza non si è
limitato a distinguere due categorie di motivi per agire, ma due tipologie
di desideri-in-azione, e quindi due grandi modalità del comportamento
umano: i comportamenti razionali e i comportamenti irrazionali. Egli ha
spiegato che a queste modalità del comportamento corrisponde qualcosa
di molto importante a livello corporeo: un aumento oppure una diminuzione della potenza di agire, aumento e diminuzione che si presentano
alla mente coi caratteri fondamentali della letizia e della tristezza, e a cui
la mente può rispondere desiderando, immaginando o infine provocando, il ripetersi o il non ripetersi dell’esperienza rilevante. Tutto ciò è
noto, e fa parte della storia del pensiero moderno. Io ho cercato di ricostruire le basi di questa scienza degli affetti facendo attenzione a non
confondere la pedagogia spinoziana con una morale della libertà «interiore». Applicando alla sola mente la teoria dell’azione e della passione,
PREMESSA 13
4
Giancotti, Teoria, p. 262.
5
E3def2 (G, II, 139).
6
Parkinson, Rational act, p. 2.Spinoza non intendeva proporre agli uomini una morale del ripiegamento interiore, perché la mente non è l’interno del corpo più di quanto il
corpo sia l’esterno della mente. Quando Spinoza passa a considerare le
operazioni del corpo, la distinzione tra azioni e passioni si offusca, perché nessuno ha stabilito cosa il corpo possa fare in base alle sole leggi
della sua natura. La scienza degli affetti si applica perciò alle sole operazioni della mente, tuttavia il suo vero oggetto è il corpo, perché gli affetti
non ci parlano soltanto della forza degli oggetti esterni, o del grado di
ospitalità dell’ambiente in cui viviamo, ma soprattutto del livello attuale
della nostra potentia agendi corporea. Ecco allora il significato positivo
del parallelismo: la libertà della mente è libertà del corpo, ed è la sola liberazione che un filosofo possa proporre agli uomini. Come ha spiegato
Laurent Bove, essa è libertà di agire, potenza «in atti» di agire
7
.
Durante la preparazione di questo libro alcune persone mi hanno offerto
il loro aiuto. Voglio ringraziare Carlo Montaleone per il suo invito a studiare Spinoza mantenendo i piedi bene infissi nel presente. Fabio Del
Prete, Elena Gritti, Morgana Marchesoni e Andrea Zhok hanno cercato
di capire che cosa stessi facendo in una fase in cui non era del tutto chiaro nemmeno a me: le risposte affiorate devono molto alle loro domande.
Un sentito ringraziamento a Gianfranco Mormino per avermi aiutato a
migliorare la descrizione dei rapporti fra Spinoza e Leibniz, fornendomi
preziosi stimoli per nuove ricerche a venire e a Fernanda Caizzi, direttrice della collana, per averne curato le fasi della pubblicazione.
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