La rivelazione dell’esultanza riflessioni su “Le Notti bianche” di F. Dostoevskij



di Elena Corsino
Per parlare de  Le Notti bianche di F. Dostoevskij si può cominciamo col dire che una notte
bianca di maggio, nel nord della Russia, è davvero  bianca. Intorno alle otto della sera il cielo
incomincia a scolorare; se la giornata è limpida l’azzurro del cielo si fa grigio perla e dopo il
tramonto diventa bianco, un po’ come prima di una nevicata, ma molto più chiaro e luminoso. La
terra è pervasa da una luce pallida che nulla aggiunge e nulla toglie alle cose, le quali stanno così
come sono, in una sorta di scarna manifestazione del loro essere.
Se si cammina per la città o in campagna in una di queste notti pare di trovarsi in uno spazio
surreale dove il silenzio e la luce acerba rendono le cose impalpabili. Se poi si cammina in una città
di riflessi e specchi d’acqua com’è Pietroburgo, allora viene da domandarsi se ciò che vediamo (e
noi stessi) esista davvero o se tutto non sia altro che un sogno, dove neppure le ombre testimoniano
la concretezza delle cose – nelle notti bianche non ci sono ombre intorno alle cose.
Quali pensieri, quale strana visione della realtà suscitano notti così, notti in cui quasi per un
naturale ossimoro è dato percepire l’armonia che viene dalla conciliazione degli opposti, come alle
volte accade in quello spazio privilegiato dell’anima che Dostoevskij esplora ne Le Notti bianche
con la leggerezza di chi conosce bene il luogo. Aveva ventisei anni Dostoevskij quando scrisse il
romanzo, e proprio quando ancora nulla di ciò che poi avrebbe radicalmente mutato la sua esistenza
si poteva presagire, prende vita questo “dolce sogno che, per tanto tempo ancora, si ricorda al
risveglio”
2
. Un’opera che sta a un confine biografico ed esistenziale, a un passo (un anno o poco
più) da quello sconvolgimento che dovette essere la condanna a morte, revocata poi all’ultimo
istante, seguita dagli anni di esilio in Siberia.
Eppure il sogno de Le Notti bianche non è una visione vana, bensì un incontro straordinario e
reale fra due creature del sottosuolo che emergono in un paesaggio cittadino deserto, illuminato da
una luce livida: il sognatore, “creatura di genere neutro”
3
 che vive di poca vita reale e di molti
sogni, e Nasten’ka, creatura di genere femminile, la cui voce cristallina irrompe nell’atmosfera
ovattata della notte con tutta la sua giovanile e giovialmente popolana concretezza. L’incontro de Le
                                                           
1
 Le citazioni in italiano da Le Notti bianche sono tratte dalla mia traduzione, Roma 2006.
2
 F. Dostoevskij, Le Notti, op. cit., p. 100.
3
 F. Dostoevskij, Le Notti, op. cit., p. 32.

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