Manager, che vita “sconcertante”

Manager, che vita “sconcertante”

Quattro dirigenti d’azienda narrano come è cambiato il mondo del lavoro nel libro di racconti “Sconcerto globale”. Con ironia, spirito di autocritica e una convinzione: dimenticare l’etica alla fine non paga. Intervista al manager-scrittore Giovanni Favero. IL COLLOQUIO DI LAVORO:partecipa all'indagine. OPEN SPACE: troppo caos e poca privacy

di LUCA BALDAZZI
Colleghi d’ufficio pronti a sbranarsi, perfino a uccidere per un incentivo in più. Giovani stagisti “cinquecento euro al mese e coltello tra i denti”, perché iniziano in dieci e ne resterà forse uno. Un dirigente d’azienda che, novello Faust, ha fatto un patto col Diavolo via e-mail. Benvenuti nel mondo del lavoro del terzo millennio. Così, con scene d’ordinaria follia e molta ironia, lo narrano alcuni dei suoi stessi protagonisti.
Sono dirigenti e manager affermati Giovanni Favero, Gino Saladini, Cristina Volpi e Luciano Ziarelli, autori degli otto racconti che compongono l’antologia “Sconcerto globale”, appena pubblicata dalle edizioni Apogeo. Letteratura accompagnata alla musica: il libro ha una prefazione di Enrico Ruggeri ed è accompagnato da un cd con letture e una “colonna sonora” delle storie realizzata da Luigi Fiore. Il volume – dal sottotitolo “Racconti di manager in bilico” – sarà presentato a Cervia (Ravenna) il 25 e 26 maggio durante il congresso nazionale dell’Aidp, l’Associazione italiana dei direttori del personale (www.aidp.it), con una lettura dal vivo dello stesso Ruggeri.
Al congresso si parlerà di valorizzazione dei talenti e delle risorse umane per il successo delle aziende. Ma nella fiction del libro affiora anche l’altra faccia della medaglia, il lato oscuro del management: i casi di mobbing, i rapporti umani che possono diventare spietati, i sacrifici al dio profitto. Anche se alla fine, in quasi tutti i racconti, sopravvivono e vincono in ufficio quelli che sanno dimostrare uno “scatto” di coscienza, etica, umanità. Ne parliamo con Giovanni Favero, manager di un’importante compagnia di assicurazioni, che ha ideato il progetto dell’antologia e scritto due racconti.
“Nelle nuove aziende – dice un personaggio di una delle sue storie – non c’è più nessuno che sappia ‘fare il mestiere’”. Solo piani di ristrutturazione e costi, ovvero persone, da tagliare. È davvero così spietata e “sconcertante” la vita da manager?
“Con questo libro io e altri colleghi abbiamo voluto lanciare una provocazione. Con ironia, ricorrendo alla fiction e a qualche iperbole. Nel racconto che lei cita, parlo di un manager assicurativo di ‘vecchia scuola’ che viene prepensionato, torna dopo un mese per una visita di cortesia nella sua azienda e non la riconosce più. Il suo modo di lavorare era basato sulla creazione di una squadra di professionisti e sulla cooperazione per raggiungere stabilità e risultati di lungo periodo: tutto questo è stato sostituito da una competizione interna selvaggia, e da un nuovo giovane manager senza nessun attaccamento all’impresa, la cui visione dipende totalmente dalle pressioni degli azionisti e degli analisti finanziari. Ma in questo racconto non ci sono vincitori né vinti. C’è piuttosto un dubbio, la domanda finale che si fa il ‘vecchio’ manager: l’azienda può essere un altare su cui immolare tutto il resto? Il libro vuole offrire uno spunto di riflessione e di autocritica sul lavoro oggi. È un rischio lasciare fuori la dimensione etica e la vita interiore, per le persone ma anche per le aziende, che a volte navigano troppo ‘a vista’ e sono sottoposte a pressioni eccessive”.
Che consiglio darebbe a uno stagista che inizia oggi il suo percorso in un’azienda?
“Gli direi di vivere il lavoro col massimo impegno e con voglia di far bene. Ma di mantenere anche un sentiero professionale sanamente indipendente dalla vita aziendale. Si può fare bene anche senza avere il coltello tra i denti, guardando il lavoro del vicino di scrivania e impegnandosi giorno per giorno per crescere. Lo stage è uno strumento importante, che consente all’azienda e al candidato di valutarsi reciprocamente: certi meccanismi di competitività troppo esasperata ne distorcono il significato e il valore”.
Un consiglio che vale anche per i manager?
“Certo. Bisogna saper trovare un compromesso. Un punto di equilibrio personale, tra l’immolarsi per l’azienda e il puro e semplice ‘navigare a vista’”.
Un altro bersaglio dell’ironia dei suoi racconti sono certe convention aziendali, dove il brillante economista di turno dice agli imprenditori solo ed esattamente quello che vogliono sentirsi dire…
“Nella vita delle aziende abbiamo importato forse un po’ troppo una cultura di tipo televisivo. A volte convegni e convention aziendali diventano in pratica dei reality show, preparati per far ‘passare’ un messaggio che già pre-esisteva, e non per fare un’analisi reale del mercato. È uno sbaglio: è sempre meglio costruire una comunicazione positiva e sana, sia all’interno sia nei confronti dei clienti. Sta qui il messaggio ‘provocatorio’ del nostro libro: il comportamento poco etico, in azienda, alla fine non paga”.

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