TOLLERANZA E GIUSTIZIA


Sulla tolleranza

Ci sono due situazioni in cui si parla di tolleranza oggi, e in nessuna delle due è un valore positivo.
In un caso si tratta di tollerare caratteristiche o comportamenti che non danneggiano nessuno, come
essere omosessuali, seguire una qualche religione o appartenere a una certa etnia.
Accettare queste differenze non vuol dire essere tolleranti, vuol dire seguire le più basilari norme
del vivere civile. In questo caso anzi “tolleranza” è un termine paternalistico, quasi offensivo: dire
che chi appartiene a una minoranza deve essere “tollerato” sottintende che chi invece appartiene alla
maggioranza è in qualche modo nel giusto, ma con grande magnanimità “tollera” i comportamenti
“devianti” dalla norma. Tanto è vero che dire «io sono tollerante con gli immigrati» ha già una nota
po’ stonata, ma dire «io sono tollerante con gli ebrei» suona pericolosamente antisemita. Di più: il
termine suggerisce in modo velato che questi atteggiamenti si possano accettare solo fino a un certo
punto (va bene tollerare i gay, basta che non si bacino in pubblico. E mica si sogneranno di sposarsi
fra loro?!?).
Nell’altro caso si tratta di tollerare un comportamento che invece è dannoso: per esempio disturbare
la quiete notturna, fumare in pubblico, evadere le tasse, invadere la Polonia, eccetera.
In questo caso la tolleranza è perniciosa: i comportamenti dannosi non vanno giammai tollerati.
Questa formulazione ovviamente non è una ricetta che risolve ogni problema legale che mai si
presenterà ai giudici di tutto il mondo. Per esempio: i chiromanti e gli astrologi secondo alcuni in
fondo non fanno male a nessuno, e anzi possono dare una stampella a chi ha un disperato bisogno di
aiuto e non sa a chi rivolgersi. Secondo altri sono truffatori che circonvengono persone incapaci di
un pensiero razionale, e oltre ad approfittarsi di loro contribuiscono a perpetuare il loro stato di
minorità.
Insomma, bisogna valutare di volta in volta se il comportamento è dannoso, ma in ogni caso non è
la tolleranza il valore di riferimento. Il principio da seguire, secondo la brillante formulazione di
Martin Luther King, afferma che «My liberty ends where yours begins». Perciò se un
comportamento lede la libertà di qualcuno non va accettato; se non la lede, allora rientra nella sfera
intangibile della libertà di chi lo attua e non c’è niente da tollerare.
Breve excursus storico
Il primo trattato famoso sulla tolleranza è l’Epistola sulla tolleranza, scritta dal filosofo John Locke
nel 1685 in Olanda, e pubblicata in latino nel 1689.
Locke sostiene che si debbano “tollerare” tutte le opinioni in materia di religione: sicuramente un
concetto rivoluzionario nel Seicento. Ma con qualche eccezione: non andrebbero tollerati atei e
cattolici. Gli atei perché secondo Locke non potrebbero mantenere patti, promesse e giuramenti, che
sono i vincoli della società umana; e i cattolici perché «tutti quelli che entrano in tale Chiesa,
devono, ipso facto, abbandonarsi alla tutela e al servizio di un altro principe». Se questa Chiesa
fosse tollerata, il magistrato dovrebbe rispettare una «giurisdizione straniera» nel suo Paese e
«vedere i suoi seguaci come soldati contro il proprio governo».
Sono più ampie le vedute di Voltaire, espresse nel suo famoso Trattato sulla tolleranza, pubblicato
in Francia nel 1763: tutte le opinioni religiose vanno rispettate.
Nel 1779 poi il tedesco Gotthold Ephraim Lessing pubblica il dramma Nathan il saggio, in cui parla
della tolleranza, ma anche lui si riferisce solo alle religioni – anzi, solo a quelle monoteistiche.
Allora che tolleranza è? Questo breve excursus storico dimostra che il concetto di tolleranza
dipende dal contesto storico. Del resto è ovvio: in generale tutti i valori dipendono dal contesto.
Nell’Utopia di Thomas More, la società ideale del Rinascimento, c’erano le guerre e la pena di
morte. Allo stesso modo Locke detta la linea sulla tolleranza ma esclude atei e cattolici (Marx,
conscio di questi limiti, è più lungimirante: scrive che i valori della futura società comunista
saranno stati dettati dalla società stessa, e non può essere lui a stabilirli in anticipo).
Oggi anche la tolleranza come la intendeva Voltaire è superata. O meglio, è ormai accettata, almeno
a livello ideologico. Certo, se si parla con un vescovo fondamentalista, un ayatollah o un rabbino

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