la paura dei barbari

TODOROV
Il sottotitolo aggiunto alla traduzione italiana del libro di Todorov ne suggerisce sin dall'inizio uno dei pregi: il superamento della seducente semplicità dello "scontro delle civiltà", formula diffusa in Occidente in seguito alla pubblicazione, nel 1996, del libro di Samuel Huntington. Todorov dimostra che simili letture semplificate della complessità del mondo internazionale sono fallaci, e anche pericolose: suscitano reazioni emotive più che analisi. Invece di alimentare la paura evocata nel titolo, l'autore propone un approccio razionale, "illuministico", che denunci e abbandoni falsi stereotipi e mistificazioni: prima fra tutte, la rappresentazione di un mondo rozzamente contrapposto in blocchi di civiltà.
È noto ormai ai più avvertiti fra gli specialisti delle scienze umane che le società non sono blocchi solidi, al loro interno omogenei, che si scontrano tra loro. Al contrario, si connotano come entità fluide, attraversate da tensioni interne e in relazioni di scambio reciproco con l'esterno. Interno ed esterno non sono dati connaturati dei sistemi sociali, bensì l'esito di una produzione identitaria: un continuo processo di costruzione (e ricostruzione) culturale, di cui sono artefici i leader politici predominanti. Sulla base delle loro esigenze di legittimazione del potere esercitato, essi scelgono quali frazioni della memoria collettiva (vera o più spesso fittizia) usare per scrivere il racconto nel quale si riconosceranno in quel momento i membri del gruppo. Si tratta di un'identità che ha ormai perso il carattere naturale, legato al sangue e al radicamento su un territorio, per definirsi come fatto culturale, soggetto a variazioni, imposto dagli strati sociali politicamente dominanti. È interessante notare che questo rinnovato apparato concettuale è lo stesso usato dalla più aggiornata storiografia per rileggere le fonti relative ai regni romano-barbarici dell'alto medioevo. È stato dimostrato che non è tutta di germani la quota di barbari che tradizionalmente era così definita; che le diversità etniche fra romani e barbari erano meno determinanti delle differenze di ceto sociale; e che leaderbarbari creavano identità etniche, fondate su racconti culturalmente elaborati capaci di coagulare gruppi differenti intorno a uno stesso "nucleo di tradizione".
Attraverso l'uso di queste stesse categorie, Todorov giunge a dimostrare che anche i "barbari" che oggi fanno più paura all'Occidente, gli islamici, sono un complesso identitario variegato e niente affatto unidimensionale, come vorrebbero invece sia gli islamisti (in quanto élite politica) sia la maggior parte degli Occidentali. Essi attribuiscono la vocazione dell'islam a scontrarsi con l'Occidente a una sorta di "Dna culturale" immutabile, pericolosamente simile, nelle conseguenze disumane, al mito del sangue nelle teorie razziste del XIX secolo. Non si tratta di buonismo, bensì di un monito contro "il sonno della ragione": affinché la cultura non ricada nei tranelli tesi da un rigido determinismo, da cui essa stessa si è da poco affrancata. 
Rosa Canosa

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