L'epifania del Signore


L'Epifania è una delle principali feste religiose dell’anno, che la Chiesa cattolica festeggia dodici giorni dopo il Natale, il 6 gennaio.
Questo vocabolo deriva dal greco Eptfaneia cioè "manifestazione", assumendo nella tradizione cristiana il significato del primo manifestarsi dell’umanità e divinità di Gesù Cristo ai Re Magi.
Molti capolavori di pittura fiorentina di mano dell’Angelico, del Botticelli, di Leonardo, di Filippo Lippi, del Gozzoli, furono ispirati dall’Epifania; come pure, nel XII e nel XIII secolo, venivano cantate laudi per essa. Si ha notizia che la stamperia di San Jacopo di Ripoli, ancora nel 1480 e nel 1485, pubblicò delle laudi di Feo Belcari, una delle quali s’intitolava ‘Dell ‘offerta de’Santi Magi’ e suonava così: "Offerite tre doni al dolce Dio, / Siccome e’ Santi Magi con gran fede: / oro incenso e mina col cor pio / E troverete Dio pien di merzede".
 
 
Anche monna Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo il Magnifico, compose una laude da cui ci piace trarre alcuni versi: "E’ Magi son venuti dalla stella guidati, co’ lor ricchi tributi, in terra inginocchiati e molto consolati, adorando il Messia".
Nel secolo XV aveva sede nella Chiesa di San Marco, cara a Casa Medici, una Compagnia di laici, i cui membri seguivano determinate regole a carattere religioso illuminate soprattutto dalla preghiera e dall’apprendimento dottrinale dei principi della fede cristiana. Essa era quella intitolata ai Santi Re Magi, così appellata per la particolare devozione che i suoi iscritti nutrivano per i tre regali sapienti, dediti all’astronomia, Melchiorre, Gaspare e Baldassarre, rappresentanti le stirpi giapetica, semitica e camitica i quali, guidati dalla ben nota stella cometa, entrarono a Betlemme ad adorare Gesù Bambino offrendogli rispettivamente oro, incenso e mirra, e ritornando poi ai loro paesi per diffondervi la lieta novella. I tre popolarissimi sovrani sono considerati anche oggi, nel mondo cristiano, patroni dei viaggiatori, dei mercanti e dei cavalieri. Lo stemma della Compagnia, cappato di nero e di bianco, testimoniava quanto detto, mostrando nella parte nera centrale superiore una stella d’oro a sei punte, simboleggiante la cometa che fece strada ai Magi.
La Compagnia era famosissima in Firenze per la sua fastosa organizzazione della cosiddetta "Festa de’ Magi", che fino a tutto il XV secolo essa per l’Epifania allestiva, con solenne apparato, nel centro cittadino ogni tre anni (dal 1447, ogni cinque).
Della Compagnia, detta anche "La Stella", fecero parte i maggiori componenti della famiglia Medici. Annoverava pure confratelli di elevata cultura come Donato Acciaiuoli, uno dei più insigni umanisti ed oratori, Gentile Becchi, il notaio e studioso di letteratura latina Cristoforo Landino il quale sosteneva che "era necessario esser latino chi voleva esser buon toscano", Giovanni Nesi, Alamanno Rinuccini, Giorgio Antonio Vespucci e il poeta Luigi Pulci.
L’origine del sodalizio risale probabilmente alla fine del XIV secolo, anche se la prima esplicita menzione della sua effettiva presenza nel panorama devozionale fiorentino si ha soltanto nel 1417: da un documento di quell’anno apprendiamo infatti che la Signoria decise di sovvenzionare la "compagnia de ‘Magi que in ecclesia sancti Marci de Florentia congregatur" proprio per rendere ancora più fastoso il corteo da essa organizzato, ogni tre anni, il 6 gennaio.
Questa Compagnia era certamente fra le più importanti confraternite del Quattrocento sia per la qualificata e imponente presenza dei suoi ascritti, sia perché era soprattutto seguita con particolare attenzione, per non dire gestita (a partire dal 1436), dalla famiglia Medici, amante del sapere e delle belle arti nonché deferente ai Re Magi tanto -solo per citare un esempio- da fare affrescare nella propria cappella del palazzo -oggi Medici-Riccardi- di via Larga il celeberrimo e allegorico viaggio dei Magi a Betlemme. La pittura murale venne commissionata direttamente da Cosimo il Vecchio a Benozzo Gozzoli il quale, nel 1459, lo dipinse prendendo più di un suggerimento dalle celebrazioni che si allestivano in città per l’Epifania, includendovi i membri della famiglia Medici, compreso Giuliano e il più famoso fratello Lorenzo in età giovanile.
Inizialmente fu proprio Cosimo il Vecchio a far sì che in San Marco avesse sede la Confraternita dei Santi Re Magi, la quale in principio si riuniva addirittura nella splendida cappella della sacrestia, dall’ampia volta a crociera, e poi si spostò nella vicina sala del Capitolo dove il Beato Angelico affrescò la Crocifissione, opera insigne.
La Compagnia dei Magi, la cui festività solenne ricorreva naturalmente il 6
gennaio, fu per anni, come già ricordato, l’organizzatrice dell’attenta rievocazione dell’ultima tappa del viaggio dei Re Magi. Gli scrupolosi confratelli organizzavano "la cavalcata dei Magi", tre cortei separati che si riunivano poi davanti al Battistero (in seguito, a partire dal 1429, in piazza della Signoria) e proseguivano uniti fino alla Basilica di San Marco dove veneravano Gesù Bambino incominciando così a recitare: "Noi siamo i tre re venuti dall’Oriente / che abbiam visto la stella / annunciare la novella / del Signore. / Per monti, piani e valli / lungo è stato il cammino / in cerca del divino / Redentore". Tale rievocazione, di per sé alquanto suggestiva, non pare però che avesse particolare valenza religiosa ma fosse essenzialmente considerata uno spettacolo, sia pure religioso. Nella Compagnia erano nominati appositi "festaiuoli" i quali, secondo un decreto della Signoria, dovevano ricevere il massimo rispetto dagli altri confratelli.
La Compagnia dei Magi venne soppressa nel 1494, dopo la cacciata dei Medici da Firenze, probabilmente in seguito all’avversione che nutriva per essa il Savonarola, il quale vi vedeva uno strumento e una testimonianza di quel potere a lui così inviso. I locali dove i fratelli si riunivano vennero ceduti ai frati di San Marco e la confraternita non fu più ripristinata perché la festa dell’Epifania incominciava a prendere un aspetto sempre più profano.
Nella corruzione popolare, infatti, la parola Epifania era divenuta in Firenze "Befanìa" o "Befana" indicando la festa che dava inizio al periodo del Carnevale, con i primi cortei mascherati che derivavano direttamente dalle sacre rappresentazioni medievale, o "misteri", dedicati al viaggio dei Magi a Betlemme. In questa antica forma di rappresentazione della "Befana", gruppi di giovani appropriatamente vestiti, mimavano scene che si riallacciavano al significato religioso della festa. Col passare del tempo la sacra austerità dei misteri si attenuò, finché essi furono del tutto soppiantati dai profani cortei mascherati. Questi raggiunsero il massimo splendore nel Settecento, con sfilate di carri riccamente addobbati e spesso decorati da artisti, che trasportavano varie Befane, figure femminili che significavano la festa, tra le quali una primeggiava per ricchezza e sontuosità di vesti principesche. Per la cronaca diremo che nelle "Befanate" del 1766 il carro più ammirato fu quello dei gioiellieri che raffigurava il Trionfo di Bacco. Sull’iniziale splendore delle vesti e dei cani, in seguito prevalse l’aspetto grottesco delle maschere e la festa assunse forme sempre più popolari.
La Befana era spesso attorniata da "Befanotti" o "Befani", giovani dal volto tinto di nero, abbagliati in modo sgargiante e spesso ridicolo, che in un qualche modo richiamavano i Re Magi.
Del viaggio e dei doni recati dai Magi alla capanna di Betlemme divennero simulacri la questua, che veniva fatta da gruppi di giovani la sera della vigilia, prima a vantaggio degli stessi questuanti e poi per pubblica beneficenza, e i cortei mascherati. Le canzoni di questua, dette "befanate", accompagnavano la raccolta e si distinguevano in religiose e profane. Queste ultime divennero, col tempo, sempre più numerose e frequenti. In cambio delle canzoni, i Befani ricevevano doni, consistenti spesso in solo vino.
I cortei mascherati provenivano in larga parte dai quartieri popolari: vi partecipava una gran folla rumorosa e schiamazzante che issava su larghe pertiche dei fantocci ("befane") fatti con cenci che rappresentavano donne o uomini in atteggiamento grottesco. Spesso questi fantocci erano trasportati su un carretto alla luce di fumose torce, circondati da gruppi di giovani che suonavano in stridule e lunghe trombe di vetro (usanza che si è protratta fino alla fine dell ‘Ottocento). I cortei convergevano sotto le logge del Mercato Nuovo, dove, in mezzo ad un gran fracasso, veniva dato fuoco alla Befana, come ci documenta un celebre dipinto del pittore macchiaiolo Giovanni Signorini.
In seguito, a poco a poco, la festa subì un processo di ulteriore, lenta trasformazione. In Firenze, come in gran parte della cristianità, perse i suoi chiassosi caratteri pubblici e finì per essere riservata ai bambini. Vennero in primo piano gli aspetti paurosi e più adatti ad incutere timore, forse in questo rifacendosi ad uno dei significati originari degli antichi misteri medioevali, quello della rievocazione delle strage degli innocenti voluta da Frode: "Ninna nanna, ninna oh questo bimbo a chi lo do? Lo darò alla Befana che lo tenga una settimana, lo darò all’Omo nero che lo tenga un mese intero".
E nello stesso tempo, quasi per esorcizzare e compensare tale effetto di paura, si privilegiò il momento dell’offerta dei doni, adatta anch’essa ai gusti dei piccoli destinatari. Nasceva così il personaggio della Befana, l’immagine di una vecchietta brutta e cadente ma magicamente buona e generosa, che nella notte tra il 5 e il 6 gennaio passava sulla terra con un gran sacco di regali sulle spalle. Scendeva, mentre nelle case dormivano, attraverso le cappe dei camini per lasciare, ai bambini cattivi, cenere, carbone e grosse cipolle rosse e, ai bambini buoni, dolci, giocattoli e oggetti d’uso personale, sistemandoli nelle calze che, prima di andare a letto, i bambini stessi appendevano al camino, prototipi per le calze confezionate ai nostri giorni industrialmente.
Se tale usanza è sempre rimasta viva a Firenze come altrove, la rievocazione dell’Epifania nei suoi aspetti maggiormente culturali, oltre che cultuali, per molto tempo nella città aveva come unico araldo lo sfavillante affresco del Gozzoli finché per volontà dell’Amministrazione Comunale di Firenze, in concerto con l’Arcivescovado della città e l’opera del Duomo, la splendida "cavalcata dei Magi" non è stata riproposta ai grandi e ai piccini. Tutti, in tale occasione, possono ricercare in essa, fra i tanti significati (religiosi, culturali, di aggregazione...) che i fiorentini vollero e vogliono darle, quello che più li aggrada. I "Magi" dalle sontuose vesti, accompagnati dal Corteo della Repubblica Fiorentina, sfilano seguendo un percorso che si snoda, partendo da piazza Pitti, lungo le antiche vie cittadine, per raggiungere la piazza del Duomo dove, all’interno della Cattedrale di Santa Maria del Fiore e alla presenza delle massime autorità religiose, vanno ad offrire doni all’immagine di Gesù Bambino, bambino circondato da tanti bimbi della città in un giorno che diviene il loro giorno, fra i lanci di palloncini con i messaggi al Bambinello e i doni distribuiti dall’Opera del Duomo di Firenze.

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