Pubblicata l'ultima intervista al regista, rilasciata cinque giorni prima di morire. “Nei miei film ho aperto gli occhi con ironia all'Italia che viveva il boom, facevo capire che si poteva andare a gambe all'aria. Come infatti è finito”, raccontava.
“Si, la vita è una bella avventura, tanto bella ma quella che sto io vivendo adesso però è una avventura di merda, un'avventura schifosa che non vorrei vivere”. L'ultimo sfogo di Mario Monicelli, morto suicida lo scorso 29 novembre, si legge nella sua ultima intervista (del 24 novembre) concessa al direttore della rivista mensile “Teatro e cinema contemporaneo” Gianfranco Bartalotta.
“Mi sembra di vivere in un mare di pus in questo mio scorcio di vita, con questa generazione bianca, selvaggia, proterva, corrotta, pronta a sopraffare, è una bruttissima avventura che vorrei scomparisse presto e rapidamente”, prosegue il regista toscano nell'intervista che uscirà nei prossimi giorni.
“Se uno vuole raccontare la vita così com'è non la si può raccontare sempre e solo drammatica, tragica, disperata con grida e pianti in quanto in essa ci sono anche elementi di ironia, di comicità – ha spiegato ancora il regista, scomparso a 95 anni - Così non si può sempre raccontare di una vita facile, divertente, perché prima o poi si incontrano in essa i dolori che fanno comprendere di che tempra, di che misura, è l'uomo, ed è li che si rivela la sua qualità”.
Tanti fotogrammi della sua carriera, i momenti più importanti sui set e nella sua vita, i ricordi dell'infanzia e gli studi in Toscana e i difficili anni del fascismo. Un'intervista confessione che, adesso, suona quasi come un testamento che parla di aneddoti e idee. “L'amore per il cinema nasce nel dopoguerra – racconta Monicelli - Sono stato attratto dal mezzo magico, meraviglioso, assai popolare. Feci l'esperienza dilettantistica de I ragazzi della via Paal. Quindi ho cominciato con il cinema senza più lasciarlo”. E poi quella “commedia all'italiana”, che faceva ridere ma allo stesso tempo era pungente e lasciava l'amaro in bocca “La sostanza è drammatica. Un film come Amici miei è un film sulla vecchiaia, la morte, la fine”, ha proseguito il regista nell'intervista. “Ho aperto gli occhi con ironia, con garbo, e qualche volta con tratti un po' duri, all'Italia che viveva il boom – ha concluso - e facevo capire che bisognava stare attenti che si poteva andare a gambe all'aria. Come infatti è finito”.
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