INCONTRO DEL 15 OTTOBRE 2011
“Il segreto di Nazareth”, questo è stato il tema del nostro incontro che si è svolto nel mese di ottobre.
Ma che cos’è il mistero di Nazareth? Cosa ci vuole indicare? Qualcuno ha scritto saggiamente che “Il mistero di Nazareth ci dice in modo semplice che Gesù, Parola che viene dall’alto, il Figlio del Padre, si fa bambino, assume la nostra umanità, cresce come ragazzo in una famiglia, vive l’esperienza della religiosità e della legge, la vita quotidiana scandita dai giorni di lavoro e dal riposo del sabato, il calendario delle feste”. Come ogni uomo che viene al mondo anche Gesù domanda di essere accolto da una famiglia, accolto dai suoi, accolto da tutti noi.
In sostanza Nazareth è il luogo della memoria di Gesù. Lì si è immerso nella nostra umanità dove si è fatto uomo, facendo sua l’esperienza di amicizia e conflittualità, salute e malattia, gioia e dolore. Esperienza preziosa, che si è poi trasformata nel linguaggio che Cristo ha utilizzato per dire la Parola di Dio. Da dove verrebbero, se non dalla famiglia e dall’ambiente di quel piccolo villaggio, le parole di Gesù: il contadino che semina, la donna che impasta la farina, il pastore che ha perso la pecora, il padre con i suoi due figli. Dove ha imparato Gesù la sua sorprendente capacità di raccontare, immaginare, paragonare, pregare nella e con la vita?
Anche noi diventiamo ciò che abbiamo ricevuto. Per essere più chiari: l’avventura della vita umana inizia da ciò che abbiamo ricevuto. E’ la famiglia che forgia – nel bene come nel male – la nostra umanità.
Il rischio maggiore oggi è rappresentato dal fatto che i nostri figli possano crescere privi (e privati) di una loro memoria. La tecnologia a disposizione ha permesso loro di fruire di un orizzonte molto più ampio rispetto alle generazioni che li hanno preceduti. Un orizzonte del presente che rischia di assorbirli totalmente, impedendo loro di costruirsi una loro memoria.
Qualcuno ha definito le vite dei giovani come dei sentieri d’acqua e ha parlato di “tempo punteggiato” che fatica a collegare i vari istanti che dovrebbero formare la loro storia.
Coltivare la memoria appare necessario a fornire una propria identità, quale base di partenza per il progetto del futuro di ognuno di noi. Allo stesso modo anche la fede è la “memoria di un dono di salvezza ricevuto che trova nel presente il luogo della sua celebrazione”.
Sulla scorta di un simile quadro, si è tentato di contestualizzare la nostra realtà quotidiana, chiedendoci se anche le nostre famiglie possano rappresentare dei “luoghi di memoria”. Dal confronto che ne è emerso sono state affrontate interessanti tematiche, attinenti alla quotidianità familiare. Il tempo da dedicare alla famiglia, ad esempio, contrapposto alle numerose difficoltà a ritagliare spazi sufficienti ed idonei a causa delle forti limitazioni imposte dai ritmi (a volte pesanti) della vita d’ogni giorno. Le difficoltà culturali, sociali incontrate nel vivere la nostra fede come coppia e come educatori primi dei nostri figli, spesso in contrapposizione agli innumerevoli stimoli che ci giungono dall’esterno e ad un relativismo dilagante che stravolge il concetto di libertà. Come ebbe a ricordare il beato Giovanni Paolo II, la nostra storia si trova necessariamente implicata in un “… combattimento fra libertà che si oppongono fra loro, cioè, secondo la nota espressione di san Agostino, un conflitto, fra due amori: l'amore di Dio spinto fino al disprezzo di sé, e l'amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio” (Familiaris Consortio n. 6).
Da tutto ciò ne consegue l’impegno, urgente, a ritrovare la rotta giusta, a seguire la via maestra, che ci aiuti ad affrontare gli ostacoli sul nostro cammino di sposi e genitori. Quel “combattimento” ci assorbe le energie, ci indebolisce, spesso ci fa sentire inadeguati, rischia di farci scendere a compromessi. Tutto ciò è umano, è comprensibile. E forse è proprio in questi momenti che occorre tornare – noi come i nostri figli – ai “luoghi di memoria”, alle nostre famiglie, alla nostra comunità (nella sua accezione di “famiglia di famiglie”), quale approdo sicuro dove poter attingere di nuovo alla linfa dell’amore di Dio.
E poi via, di nuovo.
“Il segreto di Nazareth”, questo è stato il tema del nostro incontro che si è svolto nel mese di ottobre.
Ma che cos’è il mistero di Nazareth? Cosa ci vuole indicare? Qualcuno ha scritto saggiamente che “Il mistero di Nazareth ci dice in modo semplice che Gesù, Parola che viene dall’alto, il Figlio del Padre, si fa bambino, assume la nostra umanità, cresce come ragazzo in una famiglia, vive l’esperienza della religiosità e della legge, la vita quotidiana scandita dai giorni di lavoro e dal riposo del sabato, il calendario delle feste”. Come ogni uomo che viene al mondo anche Gesù domanda di essere accolto da una famiglia, accolto dai suoi, accolto da tutti noi.
In sostanza Nazareth è il luogo della memoria di Gesù. Lì si è immerso nella nostra umanità dove si è fatto uomo, facendo sua l’esperienza di amicizia e conflittualità, salute e malattia, gioia e dolore. Esperienza preziosa, che si è poi trasformata nel linguaggio che Cristo ha utilizzato per dire la Parola di Dio. Da dove verrebbero, se non dalla famiglia e dall’ambiente di quel piccolo villaggio, le parole di Gesù: il contadino che semina, la donna che impasta la farina, il pastore che ha perso la pecora, il padre con i suoi due figli. Dove ha imparato Gesù la sua sorprendente capacità di raccontare, immaginare, paragonare, pregare nella e con la vita?
Anche noi diventiamo ciò che abbiamo ricevuto. Per essere più chiari: l’avventura della vita umana inizia da ciò che abbiamo ricevuto. E’ la famiglia che forgia – nel bene come nel male – la nostra umanità.
Il rischio maggiore oggi è rappresentato dal fatto che i nostri figli possano crescere privi (e privati) di una loro memoria. La tecnologia a disposizione ha permesso loro di fruire di un orizzonte molto più ampio rispetto alle generazioni che li hanno preceduti. Un orizzonte del presente che rischia di assorbirli totalmente, impedendo loro di costruirsi una loro memoria.
Qualcuno ha definito le vite dei giovani come dei sentieri d’acqua e ha parlato di “tempo punteggiato” che fatica a collegare i vari istanti che dovrebbero formare la loro storia.
Coltivare la memoria appare necessario a fornire una propria identità, quale base di partenza per il progetto del futuro di ognuno di noi. Allo stesso modo anche la fede è la “memoria di un dono di salvezza ricevuto che trova nel presente il luogo della sua celebrazione”.
Sulla scorta di un simile quadro, si è tentato di contestualizzare la nostra realtà quotidiana, chiedendoci se anche le nostre famiglie possano rappresentare dei “luoghi di memoria”. Dal confronto che ne è emerso sono state affrontate interessanti tematiche, attinenti alla quotidianità familiare. Il tempo da dedicare alla famiglia, ad esempio, contrapposto alle numerose difficoltà a ritagliare spazi sufficienti ed idonei a causa delle forti limitazioni imposte dai ritmi (a volte pesanti) della vita d’ogni giorno. Le difficoltà culturali, sociali incontrate nel vivere la nostra fede come coppia e come educatori primi dei nostri figli, spesso in contrapposizione agli innumerevoli stimoli che ci giungono dall’esterno e ad un relativismo dilagante che stravolge il concetto di libertà. Come ebbe a ricordare il beato Giovanni Paolo II, la nostra storia si trova necessariamente implicata in un “… combattimento fra libertà che si oppongono fra loro, cioè, secondo la nota espressione di san Agostino, un conflitto, fra due amori: l'amore di Dio spinto fino al disprezzo di sé, e l'amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio” (Familiaris Consortio n. 6).
Da tutto ciò ne consegue l’impegno, urgente, a ritrovare la rotta giusta, a seguire la via maestra, che ci aiuti ad affrontare gli ostacoli sul nostro cammino di sposi e genitori. Quel “combattimento” ci assorbe le energie, ci indebolisce, spesso ci fa sentire inadeguati, rischia di farci scendere a compromessi. Tutto ciò è umano, è comprensibile. E forse è proprio in questi momenti che occorre tornare – noi come i nostri figli – ai “luoghi di memoria”, alle nostre famiglie, alla nostra comunità (nella sua accezione di “famiglia di famiglie”), quale approdo sicuro dove poter attingere di nuovo alla linfa dell’amore di Dio.
E poi via, di nuovo.
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