La quaresima nella vita del cristiano

Sono due gli elementi che hanno caratterizzato la Quaresima fin da quando ha preso forma attorno ai quaranta giorni precedenti la Pasqua: la dimensione di preparazione al battesimo per i catecumeni e quella di penitenza per i peccatori chiamati a conversione. Così recita la costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium: “Il duplice carattere della Quaresima che, soprattutto mediante il ricordo o la preparazione al battesimo e mediante la penitenza, dispone i fedeli alla celebrazione del mistero pasquale con l’ascolto più frequente della parola di Dio e la preghiera più intensa, sia posto in maggior evidenza tanto nella Liturgia quanto nella catechesi liturgica” (n. 109).


Sono dimensioni quanto mai fondamentali per una vita cristiana adulta che si confronta con l’oggi della storia in una società secolarizzata in cui si fatica a testimoniare e discernere la differenza cristiana, ossia “la vita buona del Vangelo” che essa annuncia. Il tempo quaresimale, in questo, è davvero “il tempo favorevole”, l’occasione propizia affinché non solo i catecumeni adulti si preparino a ricevere i sacramenti dell’iniziazione cristiana, ma ogni fedele faccia memoria del proprio battesimo e rinnovi attraverso la penitenza il movimento di ritorno a Dio nella libertà e per amore. Se infatti il venir meno di un contesto sociale segnato dalla cristianità ha comportato una diminuzione della pratica cristiana da parte di quanti la vivevano per abitudine o addirittura per obbligo, oggi chi avverte con forza l’istanza di conversione che la Quaresima richiama vi può rispondere in piena consapevolezza, libero da condizionamenti: si tratta di rifiutare gli idoli seducenti, di tentare un allontanamento dal cattivo operare per una rinnovata fedeltà all’unico Signore vivente e vero.

Gli strumenti che rendono il cammino quaresimale un percorso di liberazione segnato dall’amore sono anch’essi sapientemente ricordati dal concilio che li attinge alla tradizione millenaria della Chiesa: “l’ascolto più frequente della parola di Dio”, “la preghiera più intensa”, “una penitenza quaresimale che non sia soltanto interna e individuale ma anche esterna e sociale”, “il digiuno”, “in modo da giungere con animo sollevato e aperto alla gioia della domenica di Risurrezione” (Sacrosanctum Concilium 109-110).

La conversione, allora, sarà un ritorno nutrito e sostenuto da una rinnovata assiduità alla parola di Dio ascoltata sia nella lettura delle Scritture all’interno della liturgia sia nella meditazione solitaria e personale: lì è Dio che rinnova costantemente, attraverso i suoi profeti, l’appello alla conversione rivolto ai credenti in lui, al suo popolo. Non dimentichiamo che il Vangelo stesso si apre con l’invito di Giovanni il Battista e di Gesù: “Convertitevi e credete al Vangelo!” (Mc 1,15; cf. Mt 4,17). E’ quindi, anche per noi oggi, sempre tempo di conversione perché‚ sempre, nonostante la vita di fede e il nutrimento sacramentale, gli idoli seducenti ci allontanano da Dio, ci inducono a dimenticare il Vangelo, a contraddire la volontà di Dio che ci vuole liberi da ogni seduzione idolatrica: sempre l’itinerario cristiano ha bisogno di “correzioni di rotta” perché sempre il divisore ci distoglie dal cammino intrapreso. Peccato e conversione non appartengono a un passato ormai trascorso, ma sono coesistenti in noi: non si è autentici cristiani una volta per tutte, ma si resta peccatori che hanno bisogno di conversione, di ritornare al Padre nella sequela di Gesù, venuto proprio per i malati e i peccatori (cf. Lc 15,7).

Ora, questa conversione – e la penitenza che rende manifesto ciò che dimora nel cuore dell’uomo – non è un mutamento solo intellettuale, un cambiare mentalità, ma è anche un modificare le abitudini di vita, un impegno pratico, “esterno e sociale” come ricorda il concilio: diventa un comportamento diverso da quello del mondo, un atteggiamento conforme ai sentimenti di Cristo. Si tratta davvero di acquisire lo sguardo di Dio sulla realtà che ci circonda, come ammonisce san Paolo: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2). Questo rende possibile anche cogliere il bisogno dell’altro, la sofferenza del debole, il grido dell’oppresso, la solitudine dell’emarginato: farsi prossimo di chi è in difficoltà diviene allora la via regale per tornare a Dio con tutto il cuore e predisporsi così a celebrare degnamente la Pasqua di risurrezione, avendola attesa “con la gioia dello Spirito santo ... e con l’animo ardente di gioioso desiderio” (Regula Benedicti 49,6-7). “Dolorosa gioia” chiamavano i padri la Quaresima: sì, se sappiamo viverla nutrendo gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù (cf. Fil 2,5), allora la nostra sarà una Quaresima vissuta non per forza ma per amore, nella potenza trasfigurante dell’amore.

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