TOMMASO SULLA COSCIENZA RIFLESSIVA

Dai testi analizzati, S. Tommaso concepisce la coscienza riflessiva o autocoscienza sempre come una capacità o possibilità della conoscenza, perciò sempre in riferimento all’anima razionale o all’intelligenza; cioè S. Tommaso ritiene come “caratteristica” di un soggetto capace di un atto immateriale ed universale.
Il procedimento dialettico usato nel De Veritate, giustificato dal particolare valore di manuale accademico di quest'opera, influenza implicitamente l'analisi della verità come concetto, attribuendole una polisemia strutturale analoga a quella relativa all'essere, che Tommaso ha in comune con la speculazione aristotelica (la sua "Metafisica" di principi e cause). Ma diversamente dall'Aristotele della Metafisica, Tommaso considera l'anima qualcosa di più che non la sola forma del corpo, dal momento che essa è un essere indipendente, distinto e separato dal corpo pur informandone le attività, quindi capace di un ritorno completo su di se (autocoscienza).

Nel pensiero di S. Tommaso vi è, senza alcun dubbio, un’esperienza di tipo diverso da quella sensitiva anche se tutto ha origine dall’esperienza sensitiva. Anzitutto è poco corretto parlare di esperienza sensitiva e di esperienza intellettiva nell’uomo perché questo modo di dire può essere malinteso. Potrebbe sottintendere una specie di dualismo altrettanto riprovevole quanto il dualismo tra forma e materia, anima e corpo. L’esperienza è una sola come una sola è la realtà umana nella sua molteplicità di aspetti e di valori in linea strutturale e in linea dinamica.
La analogia tra la visione sensibile e quell’intellettiva è ripetutamente riaffermata in molte pagine di S. Tommaso. Ma particolarmente è l’accostamento della visio intelligibilis al scire. Ciò che conferma ancora una volta che il conoscere è, fondamentalmente, un vedere. L’uomo è costituito di anima e di corpo: vi è un vedere dei sensi e un vedere dell’anima (III Sent., d. 35, q. 67, a. 2).
L’atto d’essere è insieme la misura prima delle cose, di ogni esperienza e di ogni nostra attività conoscitiva. L’ordine del conoscere rispecchia l’ordine delle cose, ne è la traduzione e l’espressione mentale e linguistica (De Verit., I, a. 1, ad 5). L’uno e l’altro son fondati sul qualcosa di assoluto che dona assolutezza prima alla realtà e di conseguenza all’esperienza e alla conoscenza.
Mentre infatti in Hegel si ha la risoluzione del finito nell’infinito come Assoluto immanente per S. Tommaso abbiamo la partecipazione dell’ente finito come ens creatum all’infinito trascendente come Ipsum esse subsistens. Heidegger prende come punto di partenza un’interrogazione sull’Essere, cui concetto non coincide con l’Essere reale e trascendentemente analogico.
È certo che ogni formulazione filosofica porta con se l’atmosfera culturale e scientifica dell’epoca in cui si è inserita, perciò è difficile trovare certe tematiche odierne in S. Tommaso; bensì c’è anche i limiti della propria struttura personale, non si può vedere tutto e parlare di tutto; più importante è la coerenza interna di un sistema, e questo, penso io, S. Tommaso porta alle ultime conseguenze.
Il vero limite del tomismo (come di ogni altro idealismo) è quello per cui esso ritiene perfetta un'azione o un'idea umana solo se essa è perfettamente conforme a una predeterminata idea di Dio. Tommaso cioè ha l'ambizione di credere che la sua idea di Dio sia la più perfetta possibile. Non a caso egli privilegiò nettamente la facoltà razionale dell'anima, rispetto a quella vegetativa e sensitiva, spezzando così la simbiosi degli elementi, la loro interdipendenza. Per lui gli elementi restano sì uniti, ma solo perché quelli inferiori sono subordinati a quello superiore.

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